La democrazia in Europa

Populismo: un male comunitario?

, di Giorgio Venturi

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La democrazia in Europa

Uno spettro si aggira per l’Europa – è lo spettro del populismo. Quelle che un tempo erano le forze conservatrici, che impedivano il progresso politico, sembrano, dopo una parziale vittoria delle democrazie, tornare a risvegliarsi. Voci reazionarie, integraliste e xenofobe fanno sentire sempre più forte il loro mormorio, quasi a ricordarci che la democrazia non è un dato di fatto, ma una verità di ragione, che con il tempo e la pratica si costruisce, giorno dopo giorno, con il dialogo.

Il rimontante populismo di questo periodo non risparmia destra o sinistra. Come a dire che non porta avanti un progetto politico: non sicurezza e ordine, né equità sociale; ma la ricerca di un diverso metodo di comunicazione con il proprio elettorato. Il populismo, e la sua controparte incarnata nella persona fisica del demagogo, non presentano un programma di rinnovamento della società, ma comunicano con le speranze della gente. Non offrono soluzioni ai problemi, ma conferme a convinzioni e pregiudizi; non costruiscono sulla realtà delle istituzioni, ma regalano sogni confusi; non parlano al cervello, ma al cuore dei cittadini, facendo leva sui loro istinti più bassi. Aggregano le masse intorno ad un sogno, invece di unirle nel rispetto reciproco e nella fiducia verso la democrazia.

Come tutti i processi aggregativi, la coesione viene creata rispetto ad un altro, che incarna le cause dei problemi oltre che dei disagi. L’identificazione dell’altro segue un canovaccio già ben collaudato: chi viene da un paese diverso, chi professa una differente religione o semplicemente chi è di un altro schieramento politico.

Passiamo da un discorso più astratto ad uno più concreto ed europeo con qualche rapido esempio. Il caso italiano è emblematico, con la figura di Berlusconi, che ha riunito in sé il potere economico, politico e mediatico, contro il fondamentale principio democratico della divisione dei poteri. Inoltre la concezione stessa dello Stato rimane quanto mai indebolita dopo cinque lunghi anni di governo. L’Olanda ha visto in questi anni la rapida ascesa, quanto l’improvvisa morte, di Pym Fortuyn: portavoce delle istanze più xenofobe ed integraliste di un paese che ha nella sua eredità una lunghissima tradizione di tolleranza. La Francia dopo una difficile stagione di politica interna ed europea si affida, per le prossime elezioni presidenziali, a personaggi come Ségolene Royal e Nicolas Sarkozy, che della comunicazione, più che dei contenuti, hanno fatto il loro programma. Per non dimenticare, sempre in Francia, il caso di Le Pen.

Non ci sono masse migliori di altre, ma solo governanti, capaci o incapaci.

La realtà europea non è sola in questo scenario; si cambia continente, ma le dinamiche, mutatis mutandis, persistono. La sicurezza delle istituzioni democratiche che veniva dal ricordo, non troppo distante nel tempo, degli orrori e delle aberrazioni della seconda guerra mondiale, viene oggi messa in discussione dall’Iran di Ahmadinejad. La strumentalizzazione dell’olocausto, che per un paese europeo è ancora inimmaginabile, viene con leggerezza asservita ad una politica di potenza.

Troppo facile la tentazione di appellarsi all’ignoranza del popolo. Non ci sono masse migliori di altre, ma solo governanti, capaci o incapaci. Il perché di questa ondata di populismo va quindi ricercato non nelle sue proposte, ma nelle aspettative e nei timori di chi viene attirato ed illuso da questi nuovi demagoghi. A proposito va quindi notato come una forte instabilità economica riesca a rendere il terreno politico fertile per i semi del populismo. La povertà, l’eccessiva opulenza altrui, la mancanza di ammortizzatori sociali, la divisione sempre più netta tra ricchi e poveri, rendono ogni tentativo di moderatismo destinato a fallire.

La sconfitta politica del populismo non sempre equivale ad una sua sconfitta culturale.

I periodi di crisi sono sempre stati un humus fertile per la vittoria del populismo. Questo però trae la sua forza dalla contrapposizione; dall’essere all’opposizione (democratica o non) di qualcosa. Quando esso arriva al governo o al potere perde, all’esame dei fatti, delle politiche ad esso ispirate, la sua propulsione ideale. La sua realtà e la sua esistenza sono legate al malcontento, all’insoddisfazione, ma non potendo offrire delle soluzioni reali ai problemi reali, mostra tutta la vacuità dei suoi proclami; le verità prima urlate, ora, si palesano nella loro natura di menzogne. E così il populismo crolla. Ma non sempre la sua uscita dalla scena politica è indolore.

La sconfitta politica del populismo non sempre equivale ad una sua sconfitta culturale. La vera debolezza della democrazia è il non essere semplice procedura. Essa è un fenomeno insieme politico e culturale. In un paese dove vi sono istituzioni democratiche, non si può ancora dire che vi sia la democrazia. È necessaria anche un’educazione dei cittadini alla prassi di una convivenza democratica, al rispetto delle istituzioni, alla fiducia nella giustizia, alla sicurezza dei loro diritti e all’ineluttabilità dei loro doveri. La negazione di questi principi è insieme la causa e l’eredità di ogni populismo. La battaglia che va quindi combattuta, in primo luogo dalla classe politica dei paesi che oggi in Europa si dicono democratici, non è solo politica, ma anche e soprattutto culturale.

E l’Unione europea? In tutto questo il nostro continente con la sua democrazia ed il suo deficit democratico risente molto della debolezza delle istituzioni. La lontananza dei luoghi di decisione dalla possibilità di influenza del cittadino sono la principale causa della sua crisi. Il vuoto di partecipazione, in caso di benessere sociale si traduce solo in disinteresse; ma nel momento in cui vi sono reali motivi per l’insoddisfazione delle masse, il vuoto viene colmato da chi, più che saper dare risposte, riesce ad indicare un capro espiatorio. Questo rischio insito nello sviluppo della democrazia liberale era già ben chiaro all’inizio della sua storia. Con le parole, più attuali che mai, di Benjamin Constant: “Il rischio della moderna libertà è che, assorbiti nel godimento della nostra indipendenza privata e nel perseguimento dei nostri interessi particolari, rinunciamo con troppa facilità al nostro diritto di partecipazione al potere politico”.

C’è bisogno di volontà politica da una parte e fiducia nella democrazia dall’altra.

A scanso di equivoci, non vorrei che questo discorso fosse frainteso. La situazione europea non è drammatica. Ma il polso delle istituzioni deve fare riflettere. C’è bisogno di volontà politica da una parte e fiducia nella democrazia dall’altra. Il cammino verso una democrazia sostanziale è ancora lungo, oltre che pieno di ostacoli. Questi sono anni di cambiamento, ma la volontà politica non sembra per ora tale da poter dare una direzione chiara ai movimenti di cambiamento che animano il dibattito in seno alla società civile. La speranza è che l’Europa riesca ad uscire dall’impasse in cui si trova, per il bene delle sue istituzioni, della democrazia, ma soprattutto dei suoi cittadini.

Fonte immagine:Flickr

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