Le contraddizioni europee di Mario Monti

, di Nicola Vallinoto

Le contraddizioni europee di Mario Monti

L’articolo è stato inizialmente pubblicato da imille.org

Sono convinto che non avremo mai gli Stati Uniti d’Europa. Già solo per il fatto che non ne abbiamo bisogno”, così ha sentenziato Mario Monti in un’intervista rilasciata al giornale tedesco Die Welt poco prima dell’incontro bilaterale dell’11 gennaio a Berlino con Angela Merkel.

L’affermazione del Presidente del Consiglio ha fatto saltare dalla sedia anche Barbara Spinelli che in un articolo pubblicato il giorno seguente sul Fatto Quotidiano e intitolato “Il paradosso dell’europeista che non crede nell’Unione” la considera, a dir poco, “sconfortante”. Si tratta di “una brutta capitolazione, perché se non ne abbiamo bisogno ora, quando?” È vero, “non sono più in gioco pace e guerra”. L’editorialista continua dicendo che “secondo Monti l’utopia è già realizzata grazie alla sussidiarietà. Ma la sussidiarietà funziona se l’Europa ha una sovranità statuale: altrimenti non significa nulla. Non saremmo nella fossa, se l’Unione esistesse.

Una frase che sorprende i federalisti europei perchè pronunciata da un ex-Commissiario europeo che è, tra l’altro, tra i fondatori del Gruppo Spinelli di cui fanno parte personalità del mondo politico e culturale europeo come Ulrich Beck, Amartya Sen, Daniel Cohn Bendit, Jacques Delors, Joschka Fischer e Guy Verhofstadt.

Il Manifesto del Gruppo Spinelli afferma chiaramente che l’obiettivo principale resta l’Europa federale e post-nazionale, l’unica strada per superare definitivamente l’Europa intergovernativa e i rigurgiti nazionalisti mai sopiti. Per il Gruppo Spinelli l’Europa federale è un obiettivo da realizzare di cui abbiamo, oggi più che mai, urgentemente bisogno. La crisi economico e finanziaria, infatti, ha reso evidente la mancanza degli Stati Uniti d’Europa.

Una dichiarazione di Monti più aperta a uno sviluppo federale dell’UE, alla vigilia dell’importante incontro la Cancelliera, avrebbe rafforzato le posizioni più avanzate presenti nel partito di Angela Merkel. Come quella di Ursula von der Leyen, ministro tedesco del Lavoro e vicepresidente della CDU, che a inizio settembre aveva affermato sul settimanale Der Spiegel che il suo obiettivo sono gli Stati Uniti d’Europa. Per la von der Leyen “questa è l’unica soluzione per superare le differenze economiche che dividono i governi europei. La moneta comune non è sufficiente ad affrontare la concorrenza globale e solo l’unione politica europea permetterà di integrare definitivamente le politiche finanziarie, fiscali ed economiche lasciando finalmente esprimere la grande forza rappresentata da un’Europa unita.

Peccato davvero che Mario Monti non abbia voluto far pesare la nuova credibilità del governo italiano nei confronti di Francia e Germania spingendo l’acceleratore verso gli Stati Uniti d’Europa. Eppure il suo discorso al Senato del 17 novembre con l’affermazione “Non esiste un noi e un loro: l’Europa siamo noi” aveva fatto sognare i sostenitori di un’Europa libera e unita.

Mario Monti al Congresso dell’Unione dei Federalisti Europei, Bruxelles 2011

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  • su 30 gennaio 2012 a 17:12, di leprechaun In risposta a: Le contraddizioni europee di Mario Monti

    Ho sempre pensato agli “Stati Uniti di Europa” come ad una utopia. Eppure questa utopia sembra essere l’unico sbocco possibile per una Europa politica, non solo cioè intesa come area di scambio comune, come mercato. Allo stesso tempo, è difficile pensare a processi politici e decisionali unificati tra paesi che parlano una congerie di lingue diverse e con culture così diverse. La cifra dell’Europa è la diversità, cosa che una parte della cultura tedesca non capisce, per motivi sui quali è meglio non indagare. Uscire da questa aporia comporta uno sforzo di fantasia politica nella quale fino ad oggi non mi sono imbattuto. Forse l’idea del “federalismo parlamentare” di Joscka Fisher.

    Detto questo, ovviamente è tutto da discutere, tanto più che ormai sono convinto che se le cose restano così come stanno (ammesso che così possano restare), è meglio tornare agli stati nazionali, non tanto e non solo perché la creatura europa è fragile e un suo tracollo può avere dimensioni terrificanti, quanto perché ormai si sta trasformando nel veicolo di un pericoloso attentato alla democrazia, una specie di “nuovo fascismo” nel senso di Roosevelt (leggete sul sito indicato sotto “Roosevelt”, il brano tratto dal suo discorso al congresso del 1938, sotto il capitolo “Democrazia”). Mi riferisco ad esempio alla dichiarazione di Draghi a Davos, voce dal sen fuggita che esplicita il pensiero politico della signora Merkel: “lo spread è un formidabile motore di riforma”. A parte l’uso retorico e generico della parola “riforma” (quale riforma? quali riforme? Una vale l’altra?), che tradisce la consueta visione tecnoautoritaria esplicitabile in una risposta del genere: “quelle che penso io, le uniche oggettivamente possibili e giuste”. A parte questo, dunque, questo pensiero è fascismo puro, di una specie certo nuova (non le orbace, il mascellone e i discorsi dal balcone) ma comunque – appunto Rooseveltianamente – fascista perché subordina le volontà degli stati democratici ai dettami di poteri privati più forti degli Stati stessi.

    Ci sono poi alcune cose fra le tante specie di europeisti che circolano, che a me restano francamente misteriose. Una di queste è quella che chiamo “ossessione per la competitività”, espressione il cui senso preciso mi sfugge, perché i contesti nei quali viene usata finiscono per suggerire che la persona che la usa non abbia nemmeno lei ben chiaro il senso di quel che sta dicendo.

    Un esempio l’abbiamo qui col discorso di Ursula von der Leyen: “La moneta comune non è sufficiente ad affrontare la concorrenza globale ...”

    Mi è francamente difficile dare un senso concreto ad una affermazione del genere: la UE già oggi, nel pessimo stato in cui si trova, è un universo finaziariamente ed economicamente chiuso. La gran parte dell’Import-export si svolge entro l’Europa. La Germania, ad esempio, Frau der Leyen, fa 160 Miliardi l’anno (7% del suo PIL) di surplus delle partite correnti, per quasi il 90% in Europa, esportando quanto e più della Cina (1.200-1.400 Miliardi l’anno). La UE esporta circa il 14% del suo PIL, e chiude con un saldo delle partite correnti sostanzialmente nullo (-0,3% del suo PIL). Il debito pubblico europeo è quasi totalmente interno (a differenza di quel che succede agli USA).

    Di quale concorrenza dovremmo dunque preoccuparci? Di quella della Cina? O non piuttosto di quella della Germania che in questo modo stabilisce di fatto un regime coloniale nel resto dell’Europa? Oppure la der Leyen pensa ad una replica generalizzata del modello tedesco a tutta l’Europa? Impossibile, per motivi aritmetici. Non può esistere un mondo dove tutti esportano più di quanto importino, perché se qualcuno è in surplus, qualcun altro deve essere in deficit. Non ci sono santi a pendere. Se si pensa che l’Europa nel complesso possa fare del surplus, dove mai potrebbe farlo? In Cina? In USA? Non scherziamo ...

    Quanto a Monti, nessuna sorpresa, non per me, almeno. E’ un uomo gesuiticamente “prudente”. Difficile espliciti fino in fondo il suo pensiero. Solo chi lo segue da anni, dalle sue recalcitranti dichiarazione può dedurre quale sia la sua ideologia.. Il suo germanocentrismo è incompatibile con una visione federalista.

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