Disabilità e guerra: i conflitti osservati da un’altra prospettiva

Quando le barriere sociali ed architettoniche diventano una questione di sopravvivenza

, di Arianna Mappelli

Disabilità e guerra: i conflitti osservati da un'altra prospettiva
Foto di andreas160578 da Pixabay

Un’esplosione fa tremare le case, i muri si crepano e i vetri si rompono. Una bomba, poi un’altra. Silenzio, urla e ancora silenzio. La luce e il calore delle fiamme invadono la stanza. La parete è crollata e gli appartamenti si stagliano direttamente sulla strada riempiendosi di polvere e detriti. La disperazione negli occhi di chi ha perso tutto, la casa, i familiari. Lo smarrimento di chi è stato ferito, di chi non riesce più a camminare, di chi non sa come scappare e dove andare. Due occhi spuntano da sopra le scale, sono bloccati lì, la carrozzina sospesa tra due realtà scomode: il conflitto e le barriere non solo architettoniche, ma anche sociali.

La guerra è l’inferno che l’uomo infligge a sé stesso, il reale motivo non si sa. Nessuna questione politica, religiosa o economica giustifica un atto di violenza e cattiveria così disumano.

Da quando l’umanità ha fondato i primi insediamenti sono iniziate le guerre e la speranza di un mondo senza conflitti è più un’utopia che un desiderio. Il cammino fino al completo disarmo, fino a quando gli eserciti saranno una semplice rappresentanza storica, è lungo e forse nessuno nato in questo secolo avrà mai la possibilità di assistere ad un tale cambiamento. Portare avanti le contestazioni contro la guerra è un dovere di oggi per cambiare il futuro, ma bisogna tutelare le persone che adesso cercano di vivere una vita serena sotto il suono dei bombardamenti e l’odore del sangue.

La guerra rende tutti vulnerabili: uomini, donne, bambini, anziani, persone con disabilità, fisiche e cognitive. Quando inizia una guerra non si può dare per scontato che esistano limiti morali e civili per la quale chi non ha scelto di combattere sia reso libero e difeso.

È complicato quantificare i conflitti che oggi si combattono sul nostro pianeta. Tra vecchi e nuovi scontri, quelli dimenticati e quelli appena iniziati, le persone vengono sfrattate, torturate, perseguitate, costrette a scappare.

Senza la possibilità di attuare un confronto pacifico e fin quando la guerra resterà un’opzione per regolare i rapporti internazionali, si continuerà a parlare di come proteggere le persone da chi, invece di aiutarle a vivere in un mondo equo e giusto, li obbliga a fuggire dalle proprie case ed a ripararsi altrove.

La guerra non solo mette a rischio le persone con difficoltà motorie e cognitive, ma ne genera di nuove, aumentando il bisogno di trovare una soluzione normativa per tutelare le persone con disabilità.

DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO

Si parlò per la prima volta di Diritto Internazionale Umanitario a metà dell’Ottocento con Henry Dunant, fondatore del Comitato Internazionale della Croce Rossa. Il DIU è l’insieme delle norme che proteggono le vittime di guerra, per permettere di salvaguardare i diritti umani anche in caso di conflitto bellico e si basa a livello giuridico sulle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e sui Protocolli addizionali del 1977. Ha l’obiettivo di limitare l’uso della violenza negli scontri armati contro chi non prende parte alle ostilità ma anche tra “combattenti legittimi”. Impone di utilizzare l’ammontare di violenza strettamente necessaria affinché si indebolisca la forza militare del nemico senza recare maggiori danni e sofferenze inutili.

Il Diritto Internazionale Umanitario e la Dichiarazione universale dei Diritti Umani coesistono e sono fondati sul principio del rispetto della propria identità personale, sull’integrità fisica e mentale e sulla non discriminazione in base al sesso, etnia, religione. Tali principi sono stati messi in atto attraverso il divieto della tortura, delle pene collettive e altri. Le differenze sostanziali tra il DIU e DUDU si trovano nei soggetti da difendere: il primo protegge chi partecipa e chi no ad un conflitto armato, mentre il secondo tutela i diritti di qualsiasi individuo indipendentemente dalla situazione politica e socioeconomica del paese di appartenenza.

Secondo il Rapporto di Amnesty International 2022-2023 lo Stato di Diritto e il rispetto dei Diritti Umani sono sempre più deboli e la discesa, che si registra ormai da 10 anni non dà segni di ripresa. La lista riguardante la violazione dei diritti umani è lunga, ma si possono nominare i crimini di guerra sostenuti dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina; la guerra in Etiopia ha continuato a mietere vittime anche nell’ultimo anno ed altri paesi teatro di violenze sono Mali, Haiti, Venezuela e Yemen.

Ad oggi la crisi umanitaria più grave al mondo si trova nello Yemen, dove milioni di persone con disabilità vanno incontro ad esclusione e maggiori difficoltà nel tentativo di fuggire dal conflitto.

Le persone con disabilità, prima supportate dal Fondo di previdenza sociale e dal Fondo per l’assistenza e riabilitazione per disabili, adesso si trovano scoperte e vulnerabili. La guerra ha bloccato ogni servizio offerto dalle 300 organizzazioni presenti sul territorio (oggi ne esistono solo 26): l’erogazione di assegni a persone con disabilità, sostegno per l’istruzione e la salute. Nel 2017 tutte le attività vennero riprese ma per la mancanza di finanziamenti non recuperarono la totale regolarità.

Senza un supporto la fuga dalle zone di guerra è quasi impossibile. Le interviste svolte da Amnesty International raccontano come i lunghi viaggi siano spesso affrontati senza l’ausilio di sedie a rotelle o sostegni di alcun genere, e per persone con difficoltà motorie una tale fatica non è sostenibile.

In Yemen la guerra ha causato un collasso della sanità pubblica già colpita dalla crisi economica: esiste un solo centro per le protesi in tutto lo Yemen meridionale e non riesce a sostenere l’alto numero di richieste che continuano ad accumularsi a causa dei continui attacchi. Il numero delle persone con disabilità aumenta ed i traumi psicologici sono sempre più presenti soprattutto nei bambini.

Le discriminazioni che le persone con disabilità subivano precedentemente ad un conflitto non sono altro che peggiorate. Le condizioni di vita non migliorano, non c’è alcun tipo di aiuto, e come si legge in una lettera inviata al Capo delle Istituzioni Europee ed a molte altre figure impegnate nella questione ucraina dall’Associazione Europea Sindrome di Down (Edsa), non vengono rispettati i tre trattati fondamentali per tutelare tutte le persone in caso di conflitto: la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, la risoluzione 2475 (2019) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ed il diritto internazionale umanitario.

L’Edsa afferma che le persone con disabilità che vivono in Ucraina sono 2,7 milioni, molte delle quali si sono messe a disposizione per offrire aiuti agli sfollati interni, per cucinare pasti, lavorare negli ospedali o preparare bottiglie molotov. Queste persone affrontano il rischio di essere abbandonate, di subire violenze e di morire, il difficile accesso alla sicurezza, al soccorso e alle cure mediche. I centri di evacuazione sono spesso inaccessibili, come lo sono le informazioni fondamentali sulla sicurezza e la fuga.

La situazione delle persone con disabilità nelle zone di guerra non migliora, e non lo farà finché i conflitti andranno avanti e le strutture non saranno organizzate per ospitarle. I conflitti provocheranno sempre più danni al fisico e alla mente di chi li vive rendendo necessaria un’azione di soccorso veloce ed efficace per salvaguardare tutti, indipendentemente dalla loro condizione.

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