Europa, aree interne, futuro. Come sta andando in vista delle europee?

, di Davide Emanuele Iannace

Europa, aree interne, futuro. Come sta andando in vista delle europee?

Le Europee del 2024 rappresentano una grande occasione, ma anche un grande rischio per il futuro del Parlamento europeo e, più in generale, delle Istituzioni comunitarie e dell’Europa unita. Alcuni studi presentano la minaccia del sovranismo antieuropeista come sempre più concreta. Ciononostante, questa condizione rappresenta una preziosa occasione di confronto e di riflessione sulla questione, mai realmente sopita, del federalismo europeo.

Verso le europee

Le elezioni per il rinnovo del Parlamento comunitario sono, un momento di profonda riflessione sullo stato delle cose in Europa stessa, una cartina al tornasole non tanto per i partiti – che sfruttano ogni singola elezione come cartina al tornasole – ma anche per la società civile, la partecipazione giovanile e no, lo stato delle relazioni esistenti e delle percezioni verso l’Unione Europea da parte della popolazione attiva. È sempre interessante notare come le elezioni europee siano spesso una preoccupazione giovanile, e come vi sia un grave errore di percezione sulla relazione tra quella grande entità che è l’Unione e lo spazio intorno a noi, esseri umani, e lo spazio intorno a noi, quello locale ed attivo.

È proprio questo il tema su cui oggi intendo soffermarmi: lo spazio locale. In quanto esseri umani siamo portati a porre una grande attenzione sulle cose che ci toccano più da vicino, come l’esistenza stessa e la sussistenza della materia intorno a noi. I ragionamenti che concernono questa sfera si dispongono/si collocano in una scala locale: quando questi vengono sviluppati in tale senso si tende a dimenticarsi che la scala locale sovrintende ed è parte di un tutto formato anche dalla scala nazionale e quella sovranazionale. Ragionare su scala locale, di certo, non vuol dire che sia impossibile immaginare, e quindi agire, anche su una scala non locale come quella nazionale, se non sovranazionale. O, banalmente, non avremmo mai avuto questi due livelli di scala di politica, governance, policy e qualsiasi altra cosa. Effettivamente non avremmo realizzato le profonde interconnessioni tra quello spazio quasi astratto e questo così reale che è la fisicità che ci circonda. Connessioni che si realizzano con progetti finanziati da bandi Erasmus+ e dai fondi di coesione regionale. Connessioni che si realizzano con l’incontro, e talvolta scontro, tra persone provenienti dai paesi più diversi e dalle realtà socioeconomiche così tanto varie che caratterizzano la società contemporanea.

È in quest’ottica che le regioni, intese come spazio geografico e non politico, trovano un loro senso all’interno dell’Unione Europea e delle sue politiche, e di eventi come le prossime elezioni europee. Lo spazio locale diventa di riflesso il luogo in cui l’Europa “avviene”, cioè si concretizza manifestandosi al di fuori di quella ristretta bolla istituzionale all’interno della quale funzionari e parlamentari prendono le decisioni. L’Unione si realizza, infatti, nella sua base territoriale, nei finanziamenti vinti dalle organizzazioni giovanili e nei progetti realizzati sotto lo stimolo dei fondi e dei percorsi iniziati dagli enti dell’Unione.

Le aree interne

Magari in futuro ci sarà uno spazio in cui poter parlare con calma della concettualizzazione dell’Europa con particolare attenzione alle regioni, concetto che ogni tanto viene rilanciato da un determinato attore o da una riflessione. Vogliamo quindi trattare di un punto che spesso viene dismesso nella politica tout court giornaliera, che è il tema dell’area interna. La SNAI (Strategia Nazionale per le Aree Interne) della Repubblica Italiana ne ha dato una precisa definizione. Al netto di quale sia, possiamo immaginare cosa sia un’area interna. Se la nominiamo così, o col termine rurale, la mente corre ai villaggi isolati sui monti dell’Appennino o alle basi delle Alpi, i ridenti paesi della Provenza persi tra i vigneti, o quelli spersi tra le colline verdi d’Irlanda. Ci vengono in mente le cittadine svuotate post-industriali della Germania Est. Tante sono le possibili immagini che ci saltano all’occhio.

Ci salta immediatamente all’occhio la riflessione più e più volte fatta in particolar modo durante l’apice della pandemia di COVID-19 di oramai un paio d’anni fa, in cui l’area rurale viene riscoperta perché forte di quell’isolamento e di quella lontananza da quei contatti che, improvvisamente, andavano negati. L’esistenza dell’area interna è quindi in contrapposizione forte con quella di urbe, e non è un caso che l’area rurale sia di fatto l’area non urbana per eccellenza. Non partiremo ora con una lunga riflessione sul tema delle città, sul loro sviluppo e sulla loro centralità. Certamente, la città ha un suo ruolo dominante all’interno dello sviluppo delle civiltà umane, al di là di quella occidentale-europea. È, inoltre, importante sottolineare che la città è anche il luogo non solo dei servizi, ma anche della commistione e del contatto umano dove il progresso ed il futuro, fino ad ora, sono sempre stati sviluppati.

Eppure le aree interne esistono, sopravvivono con le loro sempre maggiori difficoltà e hanno una loro ragione d’essere, che si racchiude non solo nel loro ricco patrimonio culturale, sociale, e anche economico, ma nella capacità di rappresentare lo stimolo per una vita che segua un ritmo diverso da quello ultra-rapido delle città contemporanee, e che al contempo veda protagoniste una serie di connessioni tra centri urbani secondari, come i capoluoghi provinciali minori, e le differenti realtà dello spazio rurale stesso.

Intendo, prima di procedere, evidenziare il concetto. Le aree interne hanno un loro intrinseco valore che non si spende nel solo essere la non-urbanità del continente, e che al contempo non è solo quella “vita lenta” piacevole da vendere ai turisti spendaccioni stranieri o nazionali. È l’insieme di saperi: culture che permangono e che non sottintendono un estremo conservatorismo, anche se spesso si traducono in tal senso. Rappresentano, per molti giovani espatriati e mai tornati, una casa che non si dovrebbe per forza abbandonare, e su questo in qualche modo parlo di esperienza personale.

Non per niente, da idee simili nascono concetti come quello associazioni giovanili come Give Back, che cercano di ricostruire esattamente un ponte per il ritorno verso quelle Aree Interne, inteso non però come un banale “ritorno”, ma come un portare indietro dall’esterno quel set di competenze, abilità, expertise, che cresce e viene fatto crescere da studi, lavori, condotti al di fuori dei confini delle proprie terre natìe. Area interna non vuol dire isolamento, anzi. Non dovrebbe affatto significarlo.

L’Europa e le sue regioni

Questa concezione dell’area interna non più come luogo isolato non è qualcosa di cui ci si accorge solo su scala locale, ma che è lentamente entrato anche nella concettualizzazione di quegli attori su scala europea e anche regionale. Vediamo ad esempio il Rural Pact dell’Unione Europea, che pone sotto il suo ombrello una serie di progetti che sono determinati a rilanciare e supportare la vita nelle zone rurali, non solo tramite progettualità legate al campo energetico, ma anche tramite forme associative innovative e diverse da quelle precedenti.

C’è quindi attenzione anche da quel lato alto della governance, quello che guarda all’Unione nel suo complesso, verso quelle forme più locali di azione. Inoltre, a ben pensarci, ha solo senso che l’Unione cerchi in qualche modo la sponda diretta verso il mondo di prossimità, dove l’azione si tramuta il più delle volte in azioni dirette che sia i partecipanti che i cittadini possono vedere.

Anche per questo appare assolutamente in connessione con questa relazione con lo spazio sotto-nazionale che all’Unione, nei palazzi del Parlamento o della Commissione, si muovono i rappresentanti delle regioni componenti del continente. Esiste una relazione diretta tra le regioni, sia quelle geografiche che quelle politiche, e gli uffici e le policy dell’Unione. In Italia è esemplare il lavoro condotto dalla Regione Piemonte, che da più di vent’anni dispone di uffici e di un intero spazio culturale-ricreativo a Bruxelles.

In questo caso, la regione conta un vero e proprio Ufficio di Rappresentanza all’interno della città, ormai considerabile come la capitale d’Europa. Un ufficio che, come ha raccontato Massimo Lapolla - Policy Officer in R&D, Cohesion and Communication presso la Rappresentanza della Regione Piemonte a Bruxelles, rendono possibile il dialogo tra i territori, gli spazi locali, i loro attori, e l’Europa come istituzione.

È anche un modo di fare lobbying, questo, per tracciare delle linee di policy favorevoli alle regioni e alle loro problematiche, e nel frattempo esportare la “ruralità” fuori dai suoi classici confini, dandogli una sponda inattesa che in un certo senso è rappresentata dalla cosiddetta “Eu-Bubble”. Invece, al contempo vuol dire connessione con l’esterno, con quelle altre regioni che vivono problematiche e spazi non dissimili, con cui si possono condividere anche le soluzioni.

Organizzazioni come Give Back Giovani Aree Interne e regioni come quella Piemonte, ma anche gli attivissimi Bund tedeschi, rappresentano un modo di fare governance su scala europea che ha un suo innato senso nel momento in cui l’UE risponde con favore alle istanze dal basso, forse però non ancora a sufficienza. Nel mondo locale vi è il potere di incidere direttamente sulla vita dei cittadini, motivo per il quale l’interesse per l’Unione dovrebbe in questo senso farsi pragmatico. Laddove spesso gli stati-nazione membri tendono a tradurre le azioni dell’Unione favorevoli in proprie vittorie, e quelle sfavorevoli in colpe comunitarie, il mondo locale diventa un partner per realizzare quel processo di europeizzazione che riguarda soprattutto i cittadini, prima ancora che gli stati stessi.

Su questa nota, devo citare - e mi si perdonerà l’auto-referenzialità - proprio la visita svolta al Parlamento europeo con i miei colleghi di associazione di Give Back stesso. Questa è stata organizzata con una MEP, l’on. Laura Ferrara, per guardare da vicino i meccanismi del Parlamento europeo, la sua sede, la sua storia. Una visita molto istruttiva, resa tale anche dalla chiacchierata svolta con un funzionario, italiano, il quale attualmente è impiegato presso il Parlamento comunitario. Visite come quella fatta con Give Back hanno una loro estemporaneità, ma in verità, rappresentano in maniera vivida quella connessione che dovrebbe essere più costante che estemporanea tra la realtà europea e quella locale.

Il caso dell’associazione di cui faccio parte è particolare: perché la sua nascita è legata indissolubilmente a un bando Erasmus+ che ha riunito tutti i soci fondatori sotto lo stesso tetto, e non solo metaforicamente. Le associazioni, e includiamo sia quelle giovanili che non, hanno un fondamentale ruolo nella connessione tra questi due livelli.

Inoltre, su questa nota, certamente, rientra il largo discorso della partecipazione alle votazioni per le Europee 2024. Il Parlamento europeo, se n’è discusso largamente su Eurobull e in altre sedi: è un elemento ancora incompleto della progettualità europea. È un organo legislativo, che non può sempre legiferare. È emanazione diretta del voto dei cittadini da decadi, ma al contempo non può esserne completamente espressione in virtù della Santissima Trinità composta insieme alla Commissione e al Consiglio.

Eppure, esprimere il proprio voto per il Parlamento europeo ha un suo valore intrinseco, culturalmente parlando, perché diventa atto civico e di rimando, azione politica, per il comune cittadino. Certamente, spingere al voto soprattutto i giovani e soprattutto quelle aree interne spesso dimenticate dalle altre forme di politica, vuol dire in qualche modo fare un’affermazione di esistenza e, al contempo, di collaborazione tra due livelli di governance che di primo impatto si penserebbero distanti. Essere rappresentanti in quella bolla europea che spesso, non sempre a torto, è stata rappresentata come distante dai problemi dei cittadini comuni, può diventare un primo passo per assicurarsi che l’UE incominci a pensare anche alle sue aree interne come una grande ricchezza, che può essere supportata con policy ad hoc, come nel caso di quelle politiche verso lo smart working. Ci torneremo su altra sede sicuramente, ma rimane certo che la dualità aree interne-Unione Europea ha un suo motivo d’essere per entrambi gli attori.

Associazioni come Give Back Giovani Aree Interne e Gioventù Federalista, di cui lo scrivente fa parte, rappresentano nella loro azione il senso di connettere tanto i giovani quanto una certa spazialità al macro-fenomeno federale ed europeo. La riscoperta di veri e propri tesori, in termini territoriali, e la capacità di attirare l’interesse del giovane europeo, sono chiavi di cultura interconnesse tra di loro che possono avere effetti positivi sul futuro dell’UE in termini di policy making ma anche verso quelle idee, contemporanee, di sostenibilità e innovazione che i giovani trascinano con loro e che sono, potenzialmente, la chiave di Volta d’apertura di questa complessa scatola – l’area interna – che abbisogna di un radicale cambiamento di mentalità e approccio per potersi sviluppare.

Il fatto che organizzazioni regionali – come il Piemonte – e europee – come il Parlamento comunitario – si facciano più attente alle problematiche di queste interconnessioni ed esplorino opzioni nuove e diverse, sono segnali positivi che la via merita esplorazione e interesse da parte degli attori coinvolti già ora o che potrebbero esserlo in futuro. Compresi quei portatori di interesse che solo apparentemente sono distanti, come università, centri di ricerca e attori privati, ma che invece potrebbero portare risorse nuove per un radicale cambio d’approccio alle aree interne e alla loro relazione con l’UE, più attento, curato, sulla loro natura unica ma al contempo interconnessa delle spazialità locali.

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