L’esempio europeo per il resto del mondo: una “federazione incompiuta” a sessant’anni dalla Dichiarazione Schuman

, di Claudia Muttin

L'esempio europeo per il resto del mondo: una “federazione incompiuta” a sessant'anni dalla Dichiarazione Schuman

L’articolo prevede una necessaria premessa: si pone come unico obiettivo l’analisi critica dei caratteri di originalità, delle contraddizioni e del successo stesso dell’esperimento europeo all’interno della vasta indagine sulle integrazioni regionali nel mondo. A questo proposito saranno evidentemente limitati tanto l’angolo della nostra prospettiva quanto le fonti a cui faremo riferimento; in particolare, sfrutteremo il punto di vista di chi osserva dall’esterno il modello di integrazione che ogni giorno viviamo in Europa, forti della consapevolezza che se da un lato questa prospettiva tende talvolta ad apparire ad uno sguardo attento fin troppo generosa (poiché spesso considera il successo della sfida europea come un traguardo raggiunto), dall’altro grava su di noi la responsabilità di dimostrare una capacità critica che ci sproni verso la giusta direzione, quella del completamento di un progetto, e non ci lasci dimenticare l’incompletezza della nostra condizione.

Dunque, prenderemo le mosse da un presupposto fondamentale che il pensiero federalista, lo studio delle integrazioni regionali e il nostro presente portano continuamente all’ordine del giorno: l’originale esperimento di integrazione del Vecchio continente rappresenta un modello per il resto del mondo. Proseguiremo chiedendoci perché e come lo sia. E concluderemo ponendoci un’altra questione: nel futuro prossimo e lontano sarà ancora un modello? Perché? Come?

1. Riflessioni sul perché. L’originalità del modello europeo

Perché l’Unione europea è un modello? Per la sua unicità, per il suo successo. Quest’ultimo deriva in parte dalle condizioni di contesto (che solo parzialmente accomunano gli attuali tentativi di integrazione regionale nel mondo all’esperimento europeo), in parte dalla precisa volontà di intraprendere la strada alternativa di integrazione sovranazionale manifestata sin dai passi del processo di unificazione.

Alcune delle principali condizioni di contesto che, abilmente sfruttate, hanno rappresentato la prima scintilla del motore dell’integrazione europea possono essere identificate con la terribile eredità dell’ultima Guerra Civile europea, la Seconda guerra mondiale, con il legame tra lo “stadio di civilizzazione” politica, sociale e culturale e la responsabilità storica del Vecchio continente, ed infine con l’allora neonato equilibrio bipolare che permise all’esperimento europeo di svilupparsi in un laboratorio relativamente freddo e quieto. Per quanto riguarda invece la manifestazione di volontà che la nascita dell’Unione europea rappresenta, la sua originalità discende evidentemente da una prospettiva radicalmente nuova.

A questo proposito ci può risultare estremamente utile considerare il contesto in cui si sviluppò “l’intuizione europea” alla conclusione della Seconda guerra mondiale: di fronte alla necessità di ricostruire le strutture politiche travolte dal conflitto, di fronte alla consapevolezza di dover affrontare responsabilmente il bivio storico “tra il paradigma dell’autarchia nazionale e quello dell’integrazione sopranazionale”, per primo il Vecchio continente scelse di unirsi nella diversità, in nome di un futuro di pace e prosperità sociale. E la straordinarietà di questa scelta risulta ancor più evidente se confrontata con gli altri tentativi di riorganizzazione politica che tra il 1947 e il 1951 vennero realizzati in altre due aree del mondo: l’India e la Palestina. Mentre la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) rappresentò il primo concreto tentativo di superare le strutture nazionali tramite una loro integrazione nell’ambito di un’unità superiore, le altre due forme di riorganizzazione (tutt’ora focolai di conflitti ancora irrisolti) furono invece basate sul concetto di unità etnica e culturale dello Stato, cioè su quei medesimi principi nazionalisti che avevano governato la ridefinizione delle frontiere europee alla fine della Prima guerra mondiale e che avrebbe poi condotto alla Seconda.

Le caratteristiche di originalità che spiegano il perché del successo del modello europeo, dunque, dipendono direttamente dalla scelta che ha portato gli Stati ad intraprendere la via dell’integrazione. Proprio questa scelta li ha condotti, in primo luogo, a rappresentare concretamente un nuovo modo di gestire i rapporti tra Stati, uomini e centri di potere, a suggerire che è realmente possibile porre fine al “sistema dell’equilibrio o egemonia” senza passare per una grande crisi generata dalla disputa per la successione “monarchica” - tanto da rendere in sessant’anni quasi inconcepibile e tendenzialmente anacronistica la pratica del modello fondato sull’affermazione della supremazia tramite la violenza - ed in secondo luogo a garantire loro la possibilità di vivere un periodo inedito di benessere e progresso (si pensi ai traguardi raggiunti grazie alla costruzione del mercato unico e del c.d. modello sociale europeo).

2. Riflessioni sul come. L’Unione europea come incipit di successo

Passiamo a questo punto al secondo interrogativo: come l’Unione europea rappresenta un modello per gli altri tentativi di integrazione regionale nel mondo? Sembrerebbe farlo mostrando più profili del proprio carattere: da un lato attraverso gli aspetti più originali e al tempo stesso caratteristici dell’esperimento europeo, quelli legati alla natura e alla portata della scelta originaria, i valori, gli ideali e le speranze su cui è sorto il progetto dell’unificazione, dall’altro lato rivelando nuove caratteristiche imprevedibili ed impreviste emerse “in corso d’opera”. Per quanto riguarda queste ultime, in particolare, non necessariamente abbiamo il dovere di connotarle positivamente o negativamente, ma certamente non possiamo esimerci dal tenerle fortemente in considerazione nel riflettere sulle scelte che ci attendono in futuro.

In altre parole, l’esempio europeo rappresenta certamente un modello singolare; in questo senso ci sembra interessante sottolineare due dati di fatto, aspetti lampanti e forse inattesi di questa “singolarità”:

 il primo, la prolungata compresenza all’interno della costruzione della realtà europea di due atteggiamenti molto diversi e lontani tra loro, la tensione puramente ideale verso una res publica europea, variamente intesa, e la realtà di un sistema dominato dal valore dell’integrità della sovranità degli Stati;

 il secondo, la fotografia di un’Unione che ha soppiantato gli Stati membri in molti settori che tradizionalmente non dovrebbero essere oggetto di competenze ‘federali’, mentre arranca sul piano delle competenze sovranazionali potendo vantare, come realizzazione ‘federale’, solo la moneta unica.

Se alla luce di questi aspetti torniamo a chiederci come l’Unione europea rappresenti un modello per gli altri tentativi di integrazione regionale nel mondo, possiamo risponderci che attualmente incarna un modello di successo, ma non possiamo dimenticarci che finché permarranno queste contraddizioni rischierà di rimanere soltanto un “modello di incipit” di successo.

3. Riflessioni sul futuro. Perchè e come

Quanto detto finora ci porta necessariamente ad una riflessione critica sulle potenzialità future dell’esperimento europeo. Nel futuro prossimo e lontano, sapremo essere un modello completo di integrazione regionale di successo per il mondo? Probabilmente solo se supereremo le contraddizioni più profonde della nostra condizione, quelle che - a maggior ragione dal punto di vista del pensiero federalista - rendono manifesta l’incompletezza del nostro percorso.

Perché solo in questo modo, compiendo gli ultimi passi verso la costruzione della Federazione europea, l’Unione costituirà un modello di successo a tutto tondo? In parte perché rappresenterà compiutamente e concretamente (più di quanto non faccia già ora) il successo della politica del ponte su quella del muro, dimostrandosi “ponte nel periplo della democrazia dalle città alle nazioni e al mondo intero”, in parte perché solo così adempirà pienamente al dovere di responsabilità che ricopre all’interno della logica del “un mondo o nessuno”, in cui “la fase delle Modernità nazionali si concluderà con la nascita di un’era democratica globale o sfocerà in un’altra tragedia, questa volta di dimensioni mondiale non solo sul piano retorico”.

E a questo punto vale la pena di chiedersi: come saremo un modello di integrazione regionale di successo? Per risponderci possiamo sfruttare gli spunti raccolti fin’ora. Solo portando a compimento il nostro processo di unificazione, ovvero realizzando compiutamente il modello dell’integrazione federale di cui ci siamo fatti portatori a partire dalla scelta originaria, potremo essere in via definitiva e completa un modello di integrazione regionale di successo per il mondo e non solamente un modello di incipit.

Riferimenti bibliografici - si vedano a proposito il testo integrale della Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, una delle tante edizioni del Manifesto per un’Europa libera e unita (Manifesto di Ventotene - Eugenio Colorni, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli) ed infine i contributi “La costruzione europea: tertium genus o United States of Europe limited?” di Piero S. Graglia e “Passato, presente e futuro della Repubblica europea” di Fernando Iglesias, inseriti in Europa 2.0 – Prospettive ed evoluzioni del sogno europeo, Vallinoto e Vannuccini (2010).

Immagine: Dichiarazione Schuman, 9 maggio 1950, presso Quai d’Orsay.

Parole chiave
Tuoi commenti
moderato a priori

Attenzione, il tuo messaggio sarà pubblicato solo dopo essere stato controllato ed approvato.

Chi sei?

Per mostrare qui il tuo avatar, registralo prima su gravatar.com (gratis e indolore). Non dimenticare di fornire il tuo indirizzo email.

Inserisci qui il tuo commento

Questo campo accetta scorciatoie SPIP {{gras}} {italique} -*liste [texte->url] <quote> <code> ed il codice HTML <q> <del> <ins>. Per creare paragrafi lasciare semplicemente delle righe vuote.

Segui i commenti: RSS 2.0 | Atom