Le elezioni in Polonia e Slovacchia. Un take federalista

Le elezioni lette con l’occhio del federalismo

, di Davide Emanuele Iannace

Le elezioni in Polonia e Slovacchia. Un take federalista
Foto: Panorama Warszawy z mostu Siekierkowskiego, 2020, di Qbolewicz, CC 4.0, https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Panorama_siekierkowski.jpg

Le elezioni in Europa continuano a correre. Abbiamo in precedenza visto gli effetti che quelle in Spagna hanno avuto per l’assetto europeo. Oggi tocca invece ad altre due nazioni europee che hanno un loro peso sempre maggiore sulle politiche dell’Unione: Polonia e Slovacchia.

Iniziamo, per puro ordine temporale, con la Slovacchia. Vecchia costola centrale della grande Repubblica Cecoslovacca, la Slovacchia si trova in una posizione indubbiamente importante per l’Unione Europea e per il continente. Tra l’Est e l’Ovest, non lontana da un’area critica come l’Ucraina. La Slovacchia è balzata alle cronache per la recente rielezione di Robert Fico, ex-membro del partito comunista slovacco che ha transitato nel mondo post-sovietico, e ha fatto a sua volta galoppare la Slovacchia verso la Zona Euro. A Bratislava è rimasto scandalosamente famoso per quel che è successo al giornalista Jan Kuciak e alla sua fidanzata, Martina Kušnírová. Kuciak investigava sui presunti rapporti tra l’italiana n’ndrangheta e la corruzione presente nelle sedi del partito di Fico stesso.

Uno scandalo solo apparentemente rimosso, che getta luci e ombre sul futuro della Slovacchia. Primo certamente alle elezioni, non ha i seggi per una maggioranza. Lo stesso ISPI disegna possibili scenari in cui non per forza sarà il vincitore delle elezioni a sedere sul seggio del primo ministro. Questa mancanza di una maggioranza assoluta potrà significare due cose: tendere ancora di più a destra, o moderarsi con una maggioranza larga, instabile ma certamente più moderata.

Il programma di Fico è in chiara rottura con il resto dell’Europa. Il suo programma ha posizioni ben dichiarate anti-NATO, anti-UE, pro-Russia e diversi elementi conservatori portano a definirlo a più lati come “l’ Orbán slovacco”. Oltre che le sue politiche, ci sono due elementi che dobbiamo tenere in considerazione come effetto di questa elezione e che hanno forse un valore anche oltre i confini slovacchi. Innanzitutto, questo ci ricorda la memoria corta che l’elettore medio possiede. Lo scandalo di Fico ha portato Pellegrini a prendere il suo posto nell’oramai distante 2018. Sembrano passati eoni, ma parliamo di meno di dieci anni. Molto, e la situazione sanitaria e politica han dimostrato questo, può cambiare. Non cambiano però le ombre ancora lunghe – e i temi ancora lasciati in sospeso – sull’omicizio di Kuciak e sui traffici interni al partito di Fico stesso. Al contempo, il cambiamento radicale delle sue posizioni porta a riflettere anche sul tipo di discorso pubblico che in parte avanza in Europa – Italia e Ungheria capofila. Un discorso pubblico che tende a localizzare e dichiarare chiari nemici, simboli e persone, istituzioni ed entità, che possono essere crocifisse come l’origine dei mali che affliggono la nazione.

Nemici come Soros fanno sempre la loro presa sull’elettorato disperato in cerca di un obelisco da tirare giù, un mortale ostacolo per la loro grandezza. Una retorica che ricorda altre tristi retoriche che, continuamente, continuano a ricomparire nel discorso storico.

La Polonia, invece, anche lei recentemente alle urne, ci offre uno sguardo diverso su questa tendenza appena descritta, una direzione opposta a quella slovacca. La coalizione di sinistra, guidata da Donald Tusk – già elemento cardine della politica europea comunitaria – ha assunto il 50,4% dei voti, contro il 30 circa per cento di quanto ha preso il primo partito, PiS, di Kaczynski. Un risultato che spezza di fatto quel blocco definito Visegrad, che si appresta forse a perdere uno degli elementi che, insieme all’Ungheria, lo ha tenuto insieme e lo ha reso una spina nel fianco per Bruxelles per anni.

Un punto che queste elezioni hanno messo in rilievo in Polonia è l’affluenza. Ben il 73% degli aventi diritto si è diretto alle urne per far sentire la propria voce. Due elementi per spiegare questa elevata affluenza: un sentito sentimento dei polacchi di riprendere in mano il proprio paese dopo anni passati in una tragica situazione istituzionale, in cui lo stesso discorso pubblico ha teso a devastare le istituzioni del paese. Al contempo, forse la stanchezza verso il governo conservatore non ritenuto più in grado né di mantenere le sue promesse né, al contempo, capace di generare un discorso pubblico convincente. Alla popolazione polacca non sono sfuggite le ambiguità del governo – come il piazzare con le elezioni ben quattro referendum – e le posizioni di alcuni possibili alleati del PiS fortemente anti-ucraini.

Questa duplice elezione slovacca-polacca ci offre degli interessanti spunti di riflessione su quanto succede attualmente in Europa. Sembrano disegnare due flussi completamente opposti: da un lato l’avanzata del populismo – Fico -, dall’altro la riconquista dello spazio pubblico da parte della piazza dei cittadini e l’ascesa di moderati – Tusk. Dimostra sicuramente la centralità nel dibattito elettorale interno sia della politica internazionale, con l’Ucraina tema centrale in tutti e due i paesi, e al contempo il posizionamento rispetto l’Unione Europea stessa, altro tratto che potrebbe aver fatto tendere la bilancia da un lato o dall’altro. Ha dimostrato forse una certa stanchezza verso le estreme destre, che in entrambi i paesi hanno a malapena avuto accesso al Parlamento.

Certamente, ora per l’Europa, all’alba di queste elezioni, si aprono due sfide: da un lato riuscire a riportare Fico nei ranghi – puntando anche al suo passato politico e alle necessità di Bratislava -, dall’altro dimostrare ai polacchi che hanno sostenuto Tusk e non che la partecipazione attiva nella vita europea non è un costo, ma un beneficio, per tutti. L’Ungheria e Visegrad si ritrovano senza un alleato fondamentale, e al contempo con la possibilità di estendersi su un’altra nazione dell’Europa Centro-Orientale. Le sfide anche interne dei due paesi e le possibilità di manovra dei rispettivi futuri primi ministri ci diranno, in futuro, di più, come la politica europea cambierà nei prossimi anni e come la stessa Unione dovrà rapportarsi con i suoi stati-membri, in nome sia di un più equo sviluppo, dei diritti – che in Polonia abbiamo ben visto subire una importante retrocessione – e della stabilità dell’area.

È chiaro che i cittadini europei hanno sentimenti contrastanti sia verso le proprie autorità nazionali che comunitarie. Al netto di questo, è anche chiaro che ancora si permea l’attitudine politica di una speranza europeista. La sconfitta, di fatto, del PiS in Polonia, dimostra che tale speranza è ancora tale da animare le piazze sensibili verso alcuni temi, a sufficienza da alimentare la partecipazione al voto. Riuscire a investire su queste piazze e al contempo nel rafforzare i sentimenti democratici dei paesi indeboliti da anni di mal governo e mal gestione sarà necessario per non rendere elezioni come quella polacca un semplice temporaneo movimento, e non ripetere in futuro le vittorie di personaggi come Robert Fico, le cu ombre permangono e i cuoi temi affrontati, e il modo in cui li affronta, rischiano solo di aumentare divari e spaccature.

L’articolo è stato scritto e completato intorno la fine di ottobre e potrebbe non considerare le evoluzioni incorse a inizio novembre.

L’articolo corrente è edito anche per l’Unità Europea

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