Eugenio Scalfari, nell’articolo pubblicato sulla “Repubblica” di domenica 6 luglio, sostiene due tesi avverse agli interessi che intende difendere.
La prima è quella secondo cui la BCE dovrebbe, in sostanza, seguire la politica della FED di abbassare i tassi, per battere l’inflazione che, in quanto importata, avrebbe poco senso contrastare con misure interne e per sostenere la crescita economica.
A fronte di questa tesi, a nostro avviso, occorre osservare che non sempre l’aumento dei prezzi può essere definito, sbrigativamente, “inflazionistico”, ma il segnale che il mercato dà sulla scarsità di un bene. Questo sembrerebbe il caso del petrolio, la cui offerta, da alcuni anni a questa parte, non segue la crescente domanda, prevalentemente americana, poi europea e, solo al terzo posto, cinese.
A questo segnale dell’economia reale, occorre dare una risposta in termini reali: diminuendo la domanda e/o utilizzando la risorsa scarsa in termini più efficienti: le misure della BCE ci spronano in questa direzione, come nei decenni precedenti aveva fatto la Germania della Bundesbank e che oggi, non a caso, ha un sistema economico di gran lunga più solido di quello italiano.
Invitare la BCE ad abbassare i tassi per sostenere la crescita, vuol dire dimenticare che tocca ai governi e, in particolare, alla Commissione europea, proporre un piano europeo di rilancio dell’economia. È quindi una responsabilità di Barroso e non di Trichet. Quest’ultimo, oggi, fa più di qualunque governo nazionale per difendere il potere di acquisto di salari e stipendi, cosa che non succederebbe se abbassasse i tassi, dando al mercato il segnale che la politica monetaria accompagnerebbe qualunque rialzo dei prezzi: a che livello sarebbe, oggi, l’inflazione europea se il cambio euro-dollaro fosse quello di otto anni fa? E che ne sarebbe della stabilità finanziaria mondiale, se anche l’euro seguisse la politica lassista americana?
La seconda tesi è che le autorità europee potrebbero fare ben poco per combattere pratiche speculative e collusive mondiali: anche questa tesi non convince e, quindi, fa bene Tremonti ad insistere. Si possono fare due esempi: il primo è la multa che la Commissione europea ha recentemente comminato a Microsoft per abuso di posizione dominante e la seconda, la più significativa per la sua portata, è stata l’opposizione del Commissario europeo Mario Monti alla fusione tra General Electric ed Honeywell. Quest’ultima aveva già avuto il via libera dell’autorità anti-trust americano, bravissima a ricordarci Adam Smith quanto si tratta degli altri, ma di memoria corta quando si tratta della sua industria: è stata, dunque, un’autorità europea, e non nazionale, a difendere il mercato.
Occorre quindi, a nostro avviso, rafforzare i poteri europei in materia di politica industriale ed economica e, per chiudere con questo punto, ritorniamo all’energia. A prescindere dalle speculazioni di origine finanziaria alimentate, non dimentichiamolo, dalla politica monetaria accomodante (anche qui) di Greenspan, a livello mondiale c’è una pratica collusiva, sotto gli occhi di tutti, ed è quella dell’OPEC.
Sarebbe però sbagliato, oltre che politicamente impraticabile, pensare di smantellarla per spingere i produttori a pompare tutto il petrolio che gli americani (gli europei, pro-capite, ne consumano la metà ed i cinesi ne importano un terzo degli USA) vogliono consumare.
Riteniamo, piuttosto, che occorra riprendere, prima che sia troppo tardi, il grande precedente europeo della CECA, con il quale si è messo sotto controllo sovranazionale il carbone, allora la principale fonte energetica, e l’acciaio. Nel caso dell’energia da fonti esauribili occorrerà fare la stessa cosa: promuovere, con un’iniziativa europea, la costituzione di una Comunità mondiale dell’energia, in modo che i produttori possano essere pagati con prezzi concordati e con un paniere di valute stabili ed i consumatori programmare la riduzione progressiva dei consumi di energia fossile a favore di fonti di energia alternative.
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