La Turchia è un Paese emergente ed ambizioso. Negli ultimi dieci anni, la sua economia è cresciuta a ritmi superiori al 5% annuo, con punte del 9% ancora nel 2011. Istanbul ha raggiunto l’incredibile popolazione di 13.5 milioni, spesso migranti in arrivo dalle province più povere. Tradizionale alleato degli USA e membro della NATO (nella quale entrò’ nel 1952), la Turchia di oggi ha ottime relazioni anche con Mosca e si è lanciata ad assumere un ruolo guida in Medio oriente. Durerà? O piuttosto Ankara resterà insabbiata in Siria, Paese con cui rischia una escalation militare? E soprattutto: dove è finita l’Unione europea, che con i Turchi aveva avviato un negoziato di associazione addirittura nel 1959? Chi si è perso per strada?
I primi alleati di Ankara restano pur sempre gli USA. Durante la Guerra fredda, la Turchia kemalista e militarizzata era un pilastro della strategia anti sovietica. Dopo un decennio di preparazione, la vittoria elettorale del partito islamico moderato ‘Giustizia e sviluppo’ (AKP) di Erdoğan (2002) ha poi segnato una svolta fondamentale. Per la prima volta un partito islamico si è trovato alla guida del Paese; non per questo però gli USA hanno cessato di supportare la Turchia; piuttosto, quest’ultima si è ritagliata un ruolo diverso. Da baluardo antisovietico essa si è trasformata in avamposto occidentale in Medio oriente con un ruolo di ‘modello’; un modello di convivenza di Islam e democrazia, nelle parole del ‘falco’ Wolfowitz del 14 luglio 2002. In altri termini, la Turchia si è assunta il ruolo di guida moderata del mondo islamico, e ha contribuito in termini di soft power laddove gli USA e Israele hanno, come è noto, fatto uso di hard power.
D’altra parte, i legami tra USA e Turchia sono ben chiari anche dando un’occhiata alle biografie di personaggi chiave quali il Ministro dell’economia (2002-2007) Ali Babacan, ex financial consultant a Chicago, o il suo collega alle finanze Mehmet Şimşek (in carica dal 2009), già manager per UBS e Merril Lynch. Nel corso degli anni, Erdoğan ha forgiato una Turchia conservatrice, neoliberale e business-friendly, proprio quello che gli USA cercavano. Come se non bastasse, ha dato il via a costruzioni e progetti di gasdotti e oleodotti, ponendosi quale Paese di transito tra regioni ricche di energia, Caucaso e Medio oriente, Russia ed Asia centrale. Qui però i giochi sono diventati più’ complessi. La Turchia riceve infatti petrolio da Baku (oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan)... sempre che a Tbilisi le acque tra Georgia e Russia siano calme. Il gas arriva dalla Russia (gasdotto Blue Stream) o dall’Iran (gasdotto Tabriz-Ankara), ed in entrambi i casi occorre fare i conti con interlocutori difficili, e non troppo graditi agli americani. Il ‘miracolo’ turco funziona anche grazie a buone relazioni con gli ayatollah e soprattutto ‘czar’ Putin. Sarà ancora così?
I rapporti tra Russia e Turchia non sono mai stati cosi’ intensi e importanti. Mosca è addirittura il secondo partner commerciale di Ankara. I vertici istituzionali dei due Paesi si consultano regolarmente e i rispettivi leader hanno concluso un gran numero di accordi. Imprese turche hanno investito in Russia in industria, costruzioni e turismo. Mosca ha venduto alla Turchia energia e contribuito alle relative infrastrutture. La politica russa ha spesso usato Gazprom come strumento per obiettivi di potere e sta ora per battezzare un secondo campione nazionale. Con l’offerta di Rosneft per il 50% di TNK-BP (British Petroleum), la Russia disporrà della più grande compagnia petrolifera mondiale, tra l’altro dopo avere digerito un pezzo di un gruppo storico della petrolchimica occidentale. Non è poco. Alle sette sorelle (ormai diventate cinque) si sono aggiunti i due campioni russi (Gazprom e Rosneft). Per questo la Turchia vuole restare in ottimi rapporti con Mosca.
Potrebbe non essere facile. Turchia e Russia sono su fronti opposti del conflitto siriano, e la perquisizione turca di un aereo civile diretto da Mosca a Damasco dello scorso 10 ottobre (probabilmente suggerita dagli USA) è stata una provocazione diplomatica di cattivo gusto. Il ministro degli Esteri russo Lavrov ha per ora minimizzato, ma è chiaro che la Turchia potrebbe presto trovarsi nella sconveniente condizione di vedere incrinati i rapporti con Mosca per accontentare l’alleato USA. Oppure di usare la relazione con la Russia per liberarsi dalla dipendenza americana. Comunque vada, la diplomazia turca dovrà dare del suo meglio.
Anche perché in Medio oriente le cose non sono andate molto bene. La tanto conclamata svolta a Est, una scelta che il ministro degli Esteri Davutoğlu ha spesso sottilmente negato, non ha prodotto molti frutti. L’Islam radicale è in ascesa anche in Turchia, e le sue credenziali democratiche sono messe in dubbio da un crescente numero di arresti di giornalisti (come testimoniato dai rapporti OSCE) e da relazioni su torture e maltrattamenti nelle carceri. Nessun Paese è campione di democrazia, ma è certo difficile pensare che la Turchia di oggi possa essere un modello per i Paesi arabi. Il 12 settembre 2011 Erdoğan fu accolto al Cairo come un trionfatore, un eroe. Accadrebbe ancora adesso? Ora che la primavera araba si è mutata in autunno e il conflitto in Siria sta accumulando morti e tensioni, anche con Iraq e Iran? Ora che il primo ministro irakeno Al Maliki è appena stato a Mosca per grandi accordi su armi ed energia? Ora che esplosioni (19 ottobre) attribuite ai terroristi curdi (un’altra spina nel fianco) hanno interrotto il flusso di gas tra Iran e Turchia?
L’Unione europea intanto è rimasta alla finestra. L’ingresso nell’UE era un punto centrale della prima agenda di Erdoğan, ma dopo l’avvio dei negoziati tutto sembra essersi fermato. La realtà e’ che il famoso allargamento dell’UE del 2004 è stato fatto più a Washington che a Bruxelles, e con lo sguardo rivolto al passato, in particolare alla Guerra fredda. Sono entrati Paesi spesso ostili a Mosca prima ancora che le relazioni tra UE e Russia si definissero. Inoltre, all’allargamento non è corrisposto un ‘approfondimento’, ossia un tentativo di rendere le istituzioni europee più efficienti e democratiche; in una parola, più legittime. Nel caso specifico, inoltre, l’Unione europea (che ha recentemente vinto il Nobel per la pace...) ha acconsentito all’ingresso di Cipro (2004) senza essere riuscita a risolvere il contenzioso tra le due parti dell’isola, quella meridionale e quella settentrionale e turcofona. A suo tempo, Jacques Delors aveva già fatto notare il problema. Con la Turchia dentro l’Unione europea, forse quest’ultima avrebbe una politica estera degna di questo nome. Come avrebbe reagito l’UE alle provocazioni del conflitto siriano? Di più: sarebbe esploso un conflitto in Siria in presenza di un’Unione europea forte e vicina?
Il grandioso ponte sul Bosforo segnala ai viaggiatori il passaggio dall’Europa all’Asia. La Turchia di oggi però è soprattutto un ponte tra USA e Russia, e tra USA e Medio oriente, con il rischio concreto che entrambe queste relazioni si incrinino. Non sarebbe invece il caso di riportare il Paese in ambito europeo, e mediterraneo, con cui Ankara e Istanbul condividono larga parte della propria storia? Allora davvero la Turchia potrebbe costituire un ponte tra un’Europa in crisi e le emergenti economie asiatiche, e dare concretezza a quei cartelli sul Bosforo che oggi sembrano più che altro indicare un’attrazione turistica.
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