Crisi dell’Europa. Questione di aspettative

, di Simone Vannuccini

Crisi dell'Europa. Questione di aspettative

L’articolo è stato inizialmente pubblicato da imille.org

Ho sostenuto più volte che la natura della recessione in cui l’Occidente ed in particolare l‘Europa si trovano ormai dal 2007 ha a che vedere molto di più con le aspettative che con i fondamentali economici; il caso europeo è lampante in questo senso, dato che nonostante i rischi di default, la pressione sui debiti pubblici e le manovre restrittive il quadro economico aggregato dell’Unione (in termini di debito totale, disavanzo di conto corrente, deficit fiscale) non è disperato né critico quanto, ad esempio, quello americano.

Il problema che affligge il Vecchio continente e che da il là al crollo della fiducia nel futuro da parte di cittadini e imprese riguarda la questione istituzionale e, in modo più profondo, il ruolo della Politica come vettore di coraggio, iniziativa, cambiamento ed espressione del volto migliore della Società. Nelle tese riunioni che si svolgono a Bruxelles, Parigi e Berlino non si intravede alcun coraggio o cambiamento, e ben poca iniziativa.

Così, mentre le aspettative sulle opportunità di ripresa per il futuro declinano, le aspettative sui risultati dei summit dei capi di stato e di governo che si susseguono sempre più spesso sono più che inflazionate: ogni battaglia fino a tarda notte, ogni riga di accordo preliminare, ogni compromesso politico potrebbe potenzialmente aprire la strada per soluzioni reali e d’impatto, dal lancio di un grande New Deal europeo per lo sviluppo da affiancare alle necessarie misure di austerità nazionali, alla definizione di una precisa roadmap per la rifondazione del processo di integrazione politica su basi federali, partendo ad esempio dal settore della Difesa o della riforma del bilancio comunitario.

Purtroppo, anche l’ultimo Consiglio europeo, quello dell’8-9 dicembre 2011, ha tradito le aspettative con un risultato zoppicante: l’idea di un nuovo Trattato fondante un’”Unione di stabilità”, erroneamente (o volutamente per motivi di consenso interno) definita Fiscal Union da Angela Merkel, nasce con due grandi limiti: il primo è quello di introdurre ben pochi elementi di novità rispetto ai precedenti accordi (per esempio il patto Euro-plus, o il consenso sull’estensione delle risorse dell’EFSF-ESM, o ancora la richiesta di introduzione della golden-rule sul debito pubblico nelle costituzioni nazionali); il secondo riguarda invece l’eccessiva rigidità a favore della disciplina fiscale (con l’introduzione dei criteri per la riduzione del debito ed il controllo del deficit pubblico) e la totale assenza di un progetto sovranazionale per il rilancio della crescita.

Se a quanto detto aggiungiamo la nota stonata riguardante le modalità con cui questo “fiscal compact” è stato proposto e formulato, palesando il maggiore potere contrattuale del duopolio tedesco-francese rispetto agli altri paesi membri e alle istituzioni europee, sembra che una stima al ribasso delle aspettative sia necessaria. È quasi possibile distinguere fra le righe della bozza di trattato i punti in cui prevale il fastidio di Sarkozy per il sistema comunitario, e quelli in cui è espresso l’atteggiamento sfiduciato dei tedeschi nei confronti dei partner non virtuosi, un atteggiamento che si riflette nella sfiducia generalizzata degli europei per una Germania che pare abdicare al proprio ruolo di convinta, generosa e storicamente consapevole “federatrice” europea.

Ci sono però alcuni elementi positivi, che dovrebbero farci propendere per conclusioni dalle tinte meno fosche rispetto a quanto delineato finora; punto primo, il ritrovato peso politico italiano garantito dalla discontinuità ideologica e morale del governo Monti rispetto al recente passato. In secondo luogo, la rottura inglese, che apre enormi finestre di opportunità per il processo di integrazione europea. Terzo, le nuove modalità di ratifica e le tempistiche previste dalla bozza di trattato, chiaro frutto di un’urgenza di riforma istituzionale profonda di cui i governi sono consci, nonostante tentino di resistervi o, almeno, di cedervi con calma. In particolare, il primo punto è più importante di quanto sembri, soprattutto perché confermerebbe l’esperienza storica: l’Italia può rappresentare il vero e proprio ago della bilancia nella politica europea, spingendo per soluzioni federaliste, mitigando le posizioni franco-tedesche e garantendo con la propria presenza la possibilità di una sponda strategica sia alla Merkel che a Sarkozy, spesso “obbligati” ad andare d’accordo negli ultimi mesi.

Dunque, se dal lato economico le aspettative sono disperate e da quello politico sono state troppo fiduciose, i complicati (dis)equilibri politici che vanno plasmandosi in Europa in questi primi giorni del 2012 non soltanto non chiudono definitivamente le finestre di opportunità per una soluzione federale alla crisi, ma potrebbero addirittura essere fonte di nuova speranza. Restano però da capire quali sono, più in generale, le aspettative per l’economia globale: se l’Europa è ufficialmente in recessione, gli Stati Uniti sembrano incapaci di rialzarsi completamente, e persino i tassi di crescita di India e Cina (quest’ultima in particolare divisa fra una bolla del settore immobiliare e la dipendenza dalle esportazioni, vulnerabilità che i cinesi hanno iniziato ad affrontare solo recentemente) hanno iniziato a rallentare. Molto vulnerabili restano anche America latina e Medio-oriente, per non parlare del Nord-africa, ancora scosso dagli assestamenti “post-primavera”.

Insomma, il Mondo non ci aiuta; gli europei devono trovare da soli la forza e l’intelligenza per restituire a sé stessi una visione positiva del futuro, delle possibilità di progresso e di benessere per le presenti e le prossime generazioni. È una questione di aspettative, senza dubbio. Ma è anche una questione di prospettive e se, parafrasando Einstein, i problemi non possono essere risolti con lo stesso atteggiamento mentale che li ha prodotti, allora è giunto davvero il momento di un cambio di marcia, di una nuova prospettiva: è tempo per l’Europa federale.

Immagine: le parole d’ordine della Gioventù Federalista Europea di fronte alla Camera dei deputati. Roma, 14 gennaio 2012.

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  • su 13 febbraio 2012 a 01:41, di leprechaun In risposta a: Crisi dell’Europa. Questione di aspettative

    Devo dire che quanto si legge qui ha toni e contenuti ben diversi dagli orridi luoghi comuni della nostra stampa italiana, che identifica ormai la «Europa» con le autocrazie che si riuniscono per decretare questo o quello, in genere cose sbagliate, dannose, e quando la va bene, inutili. Mi spiace tuttavia non condividere l’ottimismo di fondo del pezzo. La situazione è grave, gravissima. La Grecia sta per essere fatta a pezzi e la cosa non resterà senza conseguenze, e queste conseguenze sono imprevedibili. Suggerisco la lettura di Swoboda, di Cohn Bendit, dal link indicato, passate quasi inosservate sulla stampa italiana. Se non si torna, in fretta, a discutere (e se necessario anche a litigare, non ne è mai morto nessuno) sull’Europa, sulla globalizzazione, sullo strapotere finanziario e in generale dei gruppi privati (e dunque, di democrazia), senza a priori e pregiudizi, e soprattutto senza retorica, dalle piaghe sociali che si aprono ogni giorno di più può uscire ogni genere di cose. Ricordiamo il 1930 e 1931. Ricordiamo i mostri che l’Europa fu capace di creare.

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