Fiscal compact: limiti e potenzialità

, di Giulia Spiaggi

Fiscal compact: limiti e potenzialità

Il Fiscal compact, noto anche come patto di bilancio, è stato firmato il 2 marzo dagli Stati dell’Unione europea ad eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca, ed entrerà in vigore il 1º gennaio 2013, se almeno dodici membri della zona euro l’avranno ratificato. I tempi relativamente brevi in cui il trattato è stato firmato riflettono la situazione precaria in cui si trova l’Unione e la necessità di attuare nuove politiche. La volontaria esclusione di due paesi e l’abbandono del principio dell’unanimità sancisce l’abbandono del metodo comunitario che ha guidato il processo di integrazione fino ad ora e che prevede l’accordo tra tutti i paesi membri per le decisioni principali. Inoltre il trattato riconosce l’esistenza di due velocità di integrazione in Europa, in cui i paesi della zona euro oltre che la moneta condividono maggiori responsabilità nella soluzione della crisi.

Il trattato contiene una serie di regole, vincolanti ai fini del rispetto dell’equilibrio di bilancio, che riguardano la stabilità, il coordinamento e la governance dell’Unione economica e monetaria. Tra i punti principali c’è l’impegno ad avere bilanci pubblici in equilibrio, o meglio ancora positivi al netto del ciclo economico, in cui il deficit strutturale non deve superare lo 0,5% del Pil mentre per i Paesi il cui debito è inferiore al 60% del Pil il limite è l’1%. Inoltre ogni Stato deve garantire correzioni automatiche quando non raggiunge gli obiettivi di bilancio concordati ed è obbligato ad agire con scadenze determinate.

Come previsto dal Patto di stabilità e crescita il deficit pubblico dovrà essere mantenuto sotto al 3% del Pil, in caso contrario scatteranno sanzioni semi-automatiche. Inoltre, dovranno essere inserite nuove norme nella legislazione nazionale, preferibilmente sotto la forma di leggi di tipo costituzionale. La Corte europea di giustizia verificherà la trasposizione del trattato nelle leggi nazionali dei paesi che lo applicheranno. In caso di inadempienze uno Stato potrebbe essere deferito alla Corte e incorrere in una sanzione pari allo 0,1% del Pil.

Sul piano istituzionale, sono previsti due vertici l’anno dei leader dei paesi che utilizzano l’euro (e che hanno ratificato il nuovo trattato), mentre gli altri paesi che sottoscriveranno il trattato, ma che non avranno ancora adottato l’euro, verranno invitati ad almeno uno dei due. Fino ad ora il trattato è stato ratificato da Grecia, Portogallo e Slovenia. I recenti sviluppi politici hanno messo in discussione la ratifica del trattato in alcuni paesi come l’Olanda in cui è caduto il governo o l’Irlanda dove è previsto un referendum in merito il 31 maggio.

I sostenitori del trattato hanno ragione nel dire che, in caso di bocciatura, l’Irlanda non potrebbe più accedere al Fondo salva-Stati e andrebbe in default. Ma il ministro delle Finanze tedesco Schaeuble si è detto certo che l’accordo verrà ratificato da tutti i paesi sottoscrittori. Intanto in Francia il trattato è diventato oggetto di discussione della campagna elettorale: il socialista Hollande ha detto di volerlo rinegoziare in quanto è incentrato sull’austerità mentre occorre dare spazio alla crescita economica. Una proposta che ha incontrato l’opposizione della Germania che non intende apportare modifiche al trattato a breve termine.

Non sono solo i politici a criticare i termini del patto; anche molti economisti, soprattutto di scuola keynesiana, non sono d’accordo sui vincoli imposti dal Fiscal compact. Recentemente vari premi Nobel tra cui Kenneth Arrow e Peter Diamond hanno affermato che l’inserimento nella Costituzione del vincolo di pareggio del bilancio rappresenta una pessima scelta politica, mentre aggiungere ulteriori restrizioni quale un tetto rigido della spesa pubblica avrebbe effetti negativi in caso di recessione. Infatti nei momenti di difficoltà diminuisce il gettito fiscale e aumentano spese quali i sussidi di disoccupazione, cioè gli ammortizzatori sociali che limitano la contrazione del reddito disponibile e del potere di acquisto. Nell’attuale fase dell’economia gli ingenti tagli alla spesa pubblica e gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere il pareggio di bilancio finirebbero per danneggiare una ripresa già di per sè debole. Invece l’economista e premio Nobel Paul Krugman ritiene che l’inserimento in Costituzione del vincolo di pareggio del bilancio possa portare alla dissoluzione del Welfare state.

Oltre alla mancanza di misure per stimolare la crescita il problema principale del trattato è che lascia insoluto il problema della sovranità; infatti si basa ancora sull’accordo tra governi nazionali, anche se in un gruppo più ristretto. Si tratta quindi di un meccanismo che non è basato su principi democratici; per questo i governi più forti riescono ad avere un ruolo egemone, in particolare Germania e Francia. Questo alimenta il malcontento in paesi come la Grecia che si vedono imporre misure di austerità che rischiano di deprimere ulteriormente l’economia.

Per superare il deficit democratico i paesi dell’eurogruppo dovrebbero costituire il nucleo di uno stato federale competente per le questioni monetarie e fiscali. Questa responsabilità ricade soprattutto su Francia e Germania, che dovrebbero avviare questo processo per lanciare una nuova fase di integrazione e di crescita per l’Europa, ma anche sull’Italia, che ha sempre vauto un ruolo propulsore sul paino dell’integrazione politica ed istituzionale e la cui assenza, ancora oggi, su questi temi, pesa negativamente sulla possibile evoluzione del quadro europeo.

Immagine: Invito ad un dibattito pubblico sul referendum che si terrà in Irlanda il 31 maggio per votare la ratifica del Paese al Fiscal compact e agli altri trattati sottoscritti il 2 marzo 2012. Fonte: Flickr

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