Cina

I prigionieri incatenati e l’equilibrio europeo

L’economia della chain gang

, di Simone Vannuccini

I prigionieri incatenati e l'equilibrio europeo

La crescita del Prodotto Interno Lordo cinese si regge per un 40-50% circa su una serie impressionante di sovra-investimenti delle grandi TNC (transnational companies) provocati dalla convenienza a creare direttamente nelle Zone Economiche Specialigli impianti (internalizzazione eccessiva) e reimpostare i prodotti finiti, piuttosto che sopportare le inefficienze burocratiche e i dazi presenti nel caso di un frazionamento della produzione di semplici componenti in più paesi in via di sviluppo.

L’esplosione di studi e riflessioni sul miracolo cinese, sul ruolo positivo del mercato che ha permesso a più di 200 milioni di persone di uscire dalla povertà (più di quanto abbiano mai fatto i programmi di aiuto e cooperazione allo sviluppo) sottostima questo dato inquietante.

Perché la sovrapproduzione generata dai troppi investimenti venga assorbita due sono le strade: o attuare politiche redistributive che aumentino la domanda interna, o esportare nei paesi ad alto consumo, segnatamente gli Stati Uniti. Considerando il vantaggio derivante dalle esportazioni e dall’immagine «pubblicitaria» che si sta creando sulla loro economia, i cinesi puntano ovviamente sulla seconda opzione.

...il cosiddetto «mercato» globale fa sì che gli investimenti si concentrino in Cina

La strabiliante propensione al consumo americana serve perciò a stabilizzare il rapporto tra offerta e domanda; il problema è che questa propensione è superiore alle disponibilità finanziarie statunitensi. Gli americani ricorrono quindi ai prestiti, ovviamente cinesi.

Ricapitolando, il cosiddetto «mercato» globale fa sì che gli investimenti si concentrino in Cina (grazie ai bassi costi del lavoro, che vanno incontro all’esigenza di flessibilità delle imprese post-fordiste); le distorsioni giuridiche-politiche interne all’«impero della seta» generano delocalizzazioni non funzionali, bensì complessive, che aumentano in maniera eccessiva la produzione; non potendo quest’ultima essere riversata sulla popolazione, l’unico modo di evitare una crisi di sovrapproduzione mondiale è quello di farla assorbire dal consumo americano finanziato dai capitali asiatici.

Questo «squilibrio macroeconomico mondiale» (così come lo chiamano gli economisti del Fondo Monetario Internazionale) rende bene l’idea dell’interdipendenza sistemica globale e riconduce alla ragione coloro che scommettono sulla rapida ascesa a iperpotenza della Cina o al perdurare dello strapotere incondizionato degli USA. Questi due paesi sono come i prigionieri durante i lavori forzati (chain gang), legati alle caviglie e impossibilitati a muoversi in autonomia.

Dall’equilibrio del terrore all’equilibrio del bisogno

Abbiamo appena decostruito un falso mito: considerato il legame di interdipendenza-incatenamento non è possibile per adesso ipotizzare chi prevarrà economicamente e politicamente tra USA e Cina; quello che però non abbiamo ancora detto è che in realtà un vincitore di questa competizione già esiste: è la Russia.

...non è possibile per adesso ipotizzare chi prevarrà economicamente e politicamente tra USA e Cina

L’erede dell’Unione sovietica sta lentamente ed astutamente mettendo in atto una strategia volta a creare l’«aggiornamento» dell’equilibrio del terrore in chiave energetica: l’equilibrio del bisogno. Considerando che le relazioni internazionali dei prossimi anni si articoleranno intorno alla questione delle risorse energetiche, chi, meglio di un paese che detiene le maggiori riserve mondiali di gas, e che è riuscito a tirarsi fuori dalla «catena» dell’interdipendenza economica globale, rivalutando il rublo fino a renderlo convertibile, può sperare di «ricattare» sia gli alleati che i nemici, ottenendo immensi guadagni in termini di potere economico, ma soprattutto politico?

L’equilibrio europeo

Esiste un’altra via rispetto allo scenario fin qui delineato, un altro equilibrio: l’equilibrio europeo. Vista in questi termini l’Europa non rappresenta solo l’equilibrio economico, un’isola di stabilità tra deficit americani e surplus asiatici, ma un modello alternativo per il futuro delle relazioni internazionali, un rovesciamento di paradigma che eviti il passaggio di consegne tra le iperpotenze e conduca invece verso un’armonia culturale, positiva, cooperativa e di condivisione che renda più equo, pacifico e sostenibile il futuro prossimo dell’umanità.

Fonte immagine Flickr

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