Il Caucaso: un puzzle di Stati a metà tra due mondi

, di Stefania Coco

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Il Caucaso: un puzzle di Stati a metà tra due mondi

Che cosa è oggi il Caucaso? Nessuno potrebbe dare una risposta certa a tale quesito, sebbene un tentativo in tal senso debba essere compiuto visto che il Caucaso è oggi crocevia di interessi regionali e globali e, con una estensione geografica pari a quella dell’Europa, tende sempre più a rappresentare il perno geopolitico ed il fragile elemento di raccordo tra Russia, Europa e Medio Oriente.

Le prime difficoltà appaiono evidenti nel momento in cui ogni tentativo di regionalizzazione dell’area caucasica si è rivelato un sostanziale insuccesso, viste le enormi difficoltà che, di fatto, in tale zona impediscono la realizzazione di un processo complesso ma quanto mai attuale quale quello di region-building.

Un primo grande ostacolo è rappresentato dalla definizione geografica dei confini della regione del Mar Nero; non a caso la Black Sea Economic Cooperation(BSEC), l’unica organizzazione di rilievo dell’area, il cui obiettivo primario è la creazione di una zona di libero scambio e che opera su diversi fronti quali, ad esempio, l’armonizzazione del settore bancario e finanziario, la protezione ambientale, la lotta alla criminalità organizzata e all’immigrazione clandestina, prevede come unico requisito d’ingresso la volontà di adesione dei singoli Stati ed il loro impegno a rispettare gli obiettivi dell’organizzazione stessa. Dunque nessun criterio di tipo geografico.

Ma ancora, facendo sempre riferimento alla BSEC, il differente status giuridico degli Stati membri, relativamente al rapporto con l’UE, può essere considerato come un ulteriore ostacolo alla cooperazione e dunque al processo di regionalizzazione stesso. Nella BSEC vi sono infatti Stati membri dell’UE (Grecia), Stati candidati a far parte dell’Unione (Bulgaria, Romania e Turchia), Stati ritenuti potenziali candidati (Serbia e Montenegro, Albania e Repubblica di Macedonia) e Stati che non hanno prospettiva alcuna, almeno per il momento, di entrarvi (Ucraina, Moldavia, Russia, Georgia, Armenia e Azeirbaigian). È evidente che gli Stati membri, così come gli Stati candidati, hanno obblighi internazionali più stringenti da rispettare.

Infine non bisogna dimenticare gli ostacoli di carattere economico. Difatti, se sulla carta quella caucasica è una regione dalle grandi potenzialità, in realtà le enormi carenze strutturali, dovute ad una pesante eredità di anni di economia pianificata che hanno impedito la nascita di un tessuto di piccole e medie imprese, limitano le opportunità economiche e l’interesse degli investitori esteri.

Tuttavia il Caucaso rappresenta un’area di grande interesse: l’area caucasica, difatti, oltre ad essere bacino di ingenti risorse energetiche, si pone a metà tra due sistemi di sicurezza: quello euro-atlantico e quello mediorientale. Dallo scorso maggio è entrato in funzione l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan(BTC). Si è così aperto un nuovo corridoio che aumenta la sicurezza energetica dell’Europa. Ma ancora, il corridoio TRACECA (Transport Corridor Central Europe – Central Asia), in fase di potenziamento, è destinato a riattivare una nuova “via della seta” e, quindi, il commercio e gli scambi anche culturali con questa regione ricca di materie prime.

Gli Stati Uniti hanno intrapreso una radicale azione di ristatalizzazione dei paesi della zona del Mar Nero, caratterizzati dalla scarsa efficacia e dal rapido indebolimento della legittimità dell’attore Stato. Il fine di tali politiche è proprio quello di ristabilire la sovranità in paesi come la Transnistria, la Georgia e l’Azeirbaigian. Un esempio lampante di tale politica ce lo offrono il caso georgiano e la sua Rivoluzione delle Rose (2004) guidata appunto da leader filo-occidentali contro il dominio del filo-russo Shevarnadze.

I paesi caucasici, dal canto loro, sono fortemente favorevoli all’ipotesi di un loro ingresso in Europa e nella NATO: sempre in Georgia, ad esempio, l’80% della popolazione vorrebbe entrare nella NATOe intensificare i rapporti con l’UE. Il principale timore di questi paesi è rappresentato dal pericolo di un’involuzione autoritaria della politica russa. La Russia sarebbe spinta ad agire in questo senso per una serie di ragioni: da una parte per fronteggiare la pericolosa crisi demograficache sta attraversando: nel 2050 potrebbe avere in tutto il suo territorio solo un centinaio di milioni di abitanti, rispetto ai 140 attuali; dall’altra per mantenere un’ influenza in queste aree, un tempo appartenenti al suo impero, ed oggi fondamentali per le loro risorse energetiche.

Mantenere il controllo del trasporto degli idrocarburi provenienti da tale regione significherebbe, per la Russia, poter stabilire un monopolio assoluto da esercitare nei confronti delle Repubbliche indipendenti, dell’Europa Occidentale e degli Stati Uniti. Con buona probabilità questa politica oggi sarebbe meno efficace, dato che l’Europa si sta dotando dei rigassificatori indispensabili per importare gas liquido dal Golfo Persico e dall’Africa Occidentale, aumentando la sua sicurezza energetica. Tuttavia è giusto procedere con cautela e prudenza soprattutto per evitare un rigurgito nazionalista in Russia che ne ritarderebbe l’europeizzazione e la democratizzazione. Una Russia che vede nei paesi del Caucaso, ancora fortemente legati alla potenza russa da vincoli storici, economici e politici [1], la chiave per mantenere la sua dignità, già violata, di superpotenza.

Fonte immagine: Flickr

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Note

[1Basti pensare all’Armenia, storicamente legata alla Russia dalla forte protezione da questa concessa al popolo armeno di fronte ai paesi confinanti, ovvero la Turchia e, oggi, l’Azeirbaigian.

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