Verso una politica europea
Nel corso degli anni alcuni episodi hanno fatto oscillare la posizione della Turchia: ben accolta l’abolizione della pena di morte nel 2004, così come il riconoscimento dei diritti della minoranza curda; ammonita la scelta di non riconoscere episodi storici quali il genocidio degli armeni e quello dei cristiano assiri. Inoltre si devono aggiungere sulla bilancia i recenti scontri di Piazza Taksim a Istanbul che hanno visto il governo turco incapace di fronteggiare, senza l’uso della violenza, una folla di manifestanti pacifici, col drammatico risultato di quattro morti e circa settemila feriti. Nel giungo scorso il Presidente di turno dell’Unione europea, l’irlandese Eamon Gilmore, ha sottolineato che “il processo di adesione è lo strumento più efficace per un programma di riforme nello Stato turco”. Dello stesso parere le altre diplomazie che invitano Ankara ad adottare nuove riforme incentrate sul dialogo. La Germania non esclude un imminente ingresso della Turchia nell’UE. Infatti, sulla possibile adesione, il Ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle ha parlato di una “buona decisione in un contesto difficile”. Da non sottovalutare il fatto che nella Repubblica Federale si contano circa quattro milioni di turchi e un milione di questi voteranno alle prossime elezioni del 22 settembre.
Un possibile dialogo fra le culture
Ma cosa comporterebbe l’entrata della Turchia nell’Unione europea? Partiamo dal presupposto che il 99% della popolazione turca è di cultura islamica, il che potrebbe da un lato favorire un dialogo con la nostra cultura cristiana, dall’altro un possibile contrasto. Nel 2002 l’ex Presidente della Convenzione Europea, Valéry Giscard d’Estaing, ribadì che le forti divergenze culturali “avrebbero reso impossibile una integrazione politica”. Inoltre aggiunse che “uno Stato che possiede il 95% del suo territorio in un altro continente (capitale compresa), non può essere considerato europeo”. La storia ci ha comunque insegnato che la Turchia è stata per molti secoli una terra europea, sia durante la dominazione romana, sia in quella bizantina.
Il problema di Cipro
Da non sottovalutare è il problema di Cipro. Nel 1974 la Turchia occupò militarmente l’isola, in soccorso della minoritaria comunità turco-cipriota, situata a nord. Gli scontri con la comunità greco-cipriota sfociarono nella morte di trecento uomini della Guardia Generale cipriota. Negli ultimi anni l’ex segretario dell’ONU, Kofi Annan, ha proposto un referendum, rilevatosi fallimentare, per l’unificazione del Cipro. Tutt’oggi Ankara non riconosce Cipro come una nazione e la questione si è trasformata in un dibattito che allontana ulteriormente la Turchia dall’Unione europea.
Una scossa all’economia europea
Tornando al piano economico, la forte crisi degli ultimi anni non ha risparmiato nemmeno Ankara, che ha subito una forte regressione. Ciononostante la turchia ha mantenuto un buon tasso di crescita medio, tanto da essere associata alle potenze del gruppo BRICS. L’apertura di nuovi mercati darebbe sicuramente una forte scossa all’Europa. In tal caso l’Accordo di Ankara raggiungerebbe il suo fine più grande, una vera integrazione economica europea. L’Europa dovrà prendere al più presto una decisione sul destino della Turchia; rimandare, ancora una volta dopo cinquant’anni, potrebbe allontanare le due culture.
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