La prossima (vera) Rivoluzione

, di Simone Vannuccini

La prossima (vera) Rivoluzione

Recentemente un articolo dell’Economist ha sottolineato come la prossima rivoluzione in arrivo nell’economia mondiale sia da cercarsi nuovamente in Asia, stavolta non in termini di ristrutturazione della produzione globale, corsa al ribasso nei costi di tecnologia e manodopera o di balzi nella produttività; piuttosto, le tigri ed i dragoni dell’Oriente iniziano a pensare al Welfare state.

Schemi pensionistici, assicurazioni, salari minimi estesi a milioni di persone in Cina, Indonesia, Vietnam fanno impallidire – per la loro scala e soprattutto per la velocità della loro implementazione – la storia europea di graduali conquiste sociali, i rapporti di Beveridge e le fondamenta keynesiane delle politiche pubbliche. Il vantaggio asiatico, sottolinea l’articolo, è quello di poter imparare sia dagli errori europei – dove la sedimentazione dello Stato sociale ha creato vantaggi ma anche, in puro stile “public choice”, fallimenti dello Stato e gruppi di potere conflittuali fra loro, volti alla massimizzazione dell’interesse di parte – che da quelli americani, dove ad un sistema più flessibile ed in parte privatizzato non corrispondono prestazioni adeguate per tutti i cittadini e le categorie sociali.

Certamente, immaginare una trasformazione welfarista dei paesi asiatici suona alle orecchie degli analisti economici e politici come una possibile incognita da inserire nell’analisi ed un potenziale shock agli equilibri e disequilibri globali: quale sarà l’effetto macroeconomico aggregato sulla produzione mondiale quando centinaia di milioni di persone in più avranno la sicurezza e le risorse per inserirsi nel circuito della domanda globale, ma allo stesso tempo non potranno più offrire quelle condizioni lavorative tali da incentivare le imprese occidentali a delocalizzare e ristrutturarsi (e dunque a produrre beni di consumo di massa a bassi prezzi)?

Se da una parte il futuro welfare asiatico appare come una variabile imprevedibile, dall’altra parlare di rivoluzione appare concettualmente inadeguato; seppur su scale continentali ed in tempi estremamente rapidi – cosa che, per inciso, porta con sé instabilità – quello che vediamo in questi anni è un processo di transizione prettamente nazionale verso l’economia sociale di mercato da parte di alcuni Paesi in cui una crescita economica senza precedenti ha imposto la necessità sia di nuove regole riguardo la ripartizione e l’allocazione della ricchezza che di una ristrutturazione dei rapporti sociali.

Accanto a questa parziale rivoluzione ce n’è un’altra, meno evidente perché nascosta dalla crisi, dall’austerità e dal faticoso tentativo di costruire un’Europa politica: si tratta dell’elaborazione – per adesso in via teorica – di quello che sarà il welfare nel contesto della Federazione europea. Quali competenze nel campo dello Stato sociale, fermo restando il principio di sussidiarietà ma tenendo conto della singolarità del caso europeo, dovranno passare a livello europeo e quali, pur nel contesto di uno stato federale sovranazionale, resteranno ai singoli stati federati? La questione è di non poco conto, perché tocca – come sempre – le corde del potere e della sovranità, ma soprattutto perché si intreccia con la composizione auspicabile e necessaria di altri futuri poteri europei: il bilancio e la fiscalità federale. Devono essere previste nel bilancio della Federazione europea poste e risorse per un welfare federale, o è necessario limitarsi a garantire una legislazione enforceable sugli standard minimi di trattamento? Quale componente di una futura tassazione europea fatta di proventi della carbon tax e delle imposte continentali sul valore aggiunto andrebbero a finanziare quali interventi di sostegno al reddito, al lavoro o alle pensioni?

Se la prospettiva di un welfare asiatico appare come un possibile mutamento radicale dalle importanti conseguenze nello scenario globale, la vera rivoluzione può avvenire ancora una volta in Europa; qui potrebbero essere formulati i principi fondamentali alla base di un welfare sovranazionale multilivello, ovvero di un politica complessa e finora inedita. Già lo scenario europeo è scosso da campagne transnazionali a favore del reddito minimo garantito; già esistono fondi di perequazione a sostegno delle “vittime della globalizzazione” in Europa, ma il tema del welfare federale, cioè dell’evoluzione del Modello Sociale Europeo nel contesto degli Stati Uniti d’Europa, deve essere non solo sviluppato, ma ancora del tutto pensato. A noi la mossa per la prossima (vera) Rivoluzione.

Fonte dell’immagine Flickr

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