La sensazione che unisce

Considerazioni dal seminario di Bardonecchia ad oggi

, di Massimiliano Malvicini

La sensazione che unisce

Sono distanze, pensieri e persone lontani, infinitamente differenti l’uno dall’altro ed inerenti a realtà socio culturali sicuramente diverse, ma decisamente naturali nel loro agire ed operare comune.

Il fatto che, osservando il cielo da una piccola abitazione immersa nel verde delle colline torinesi o contemplando il mare mangiando una paeja al tramonto o camminando tra i boulevards di Parigi, si possa provare quel brivido emotivo che ci fa sentire parte di un’essenza più ampia del nostro far parte di una comunità locale, è meraviglioso. Non c’è da stupirsi come le idee sull’Unione Europea siano nate in modo spontaneo da alcune menti che hanno trascritto i pensieri comuni a molte persone su un documento ufficiale, arrestando l’incendio delle guerre che da secoli frantumavano generazioni e generazioni di abitanti delle stesse terre e sotto lo stesso sole che illuminò centinaia di anni di storia d’Europa. C’è da stupirsi molto di più che queste idee vivano ancora oggi, da più di sessant’anni dalla loro costituzione, inglobate in un sistema costruito sopra di esse nel quale vengono affiancate agli organi più importanti, di volta in volta, energie ed ideali che contribuiscono allo sviluppo della stessa struttura.

Non è molto distante da una molecola di sintesi, la nostra Europa politica ed economica: se al centro della struttura si erge un insieme di ideali solido, essa si dirama in varie direzioni le cui entità finali sono rappresentate dai gruppi di persone a contatto con i cittadini di questa realtà materiale un po’ originale e pretenziosa. Ed ecco che, a volte, è necessario riorganizzare la struttura per sostituirne una parte o per riorganizzare l’ intero apparato centrale, e qui entrano in scena i chimici ai quali abbiamo conferito l’abilitazione per risolvere il problema. Problema che sempre ci riguarda, perché chi fruisce di questa struttura, siamo noi: ci viene garantito il compito di gestire l’espressione del senso di appartenenza geografico ed idealistico che lega una persona di Berlino ed una di Lisbona, un greco o uno svedese in quanto tutti loro possono definirsi “Cittadini Europei”. Non è un’appartenenza scontata quella del cittadino europeo, basti pensare che più di settant’anni fa non esisteva un’Europa unita e l’area che ora si raffigura come un gioco dell’oca, sembrava più il piano del Risiko; gli europei di allora probabilmente si configuravano in maggior misura nei loro contesti cittadini o nazionali, al massimo, ma i loro diritti si potevano esplicitare entro un determinato territorio delimitato da frontiere di ferro e filo spinato.

Oggi i diritti di coloro che sono nati in Europa sono molto più ampi e soprattutto si possono esercitare in tutto il continente senza oltrepassare alcuna barriera militarizzata. Appare molte volte scontato che si possa fare una gita di una giornata oltreconfine, ma è solo da poco tempo che esiste questa possibilità, nulla è scontato. Proprio per questo motivo, bisognerebbe fare ammenda più volte e domandare di più a quel senso di appartenenza tanto forte ed in qualche modo tutore della nostra attuale libertà del perché di certi comportamenti che minano la solidità dell’apparato di Bruxelles e Strasburgo.

E’ nella stessa misura di allerta il fatto che si continua a mettere sotto i riflettori quasi ed esclusivamente fatti inerenti a politiche nazionali o la problematica del motivo per cui i giovani non vengano incentivati in modo più convincente ad entrare nel grande apparato organizzativo ed amministrativo dell’Unione Europea che, si sa, non ha più bisogno di cambiar struttura, ma di elettroni pieni di energia, sì.

Fonte dell’immagine: Seminario di Bardonecchia 2010 - Foto di gruppo dei partecipanti

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