La società civile tra sicurezza dello stato e sicurezza umana

, di Marco Riciputi

La società civile tra sicurezza dello stato e sicurezza umana

L’articolo fa parte di un servizio di orangelog.eu in occasione dei sessanta anni della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo celebrati al palazzo dell’’Unesco dal 3 al 5 settembre 2008.

Sicurezza umana e sicurezza dello stato sembrano inconciliabili. Il primo è un paradigma emergente per definire un’idea di sicurezza che mette l’individuo al centro. Diverse ONG lo sostengono perché considerano un limite, quando non un danno, declinare il concetto di sicurezza solo con le esigenze dello stato.

Quando pensiamo alla sicurezza abbiamo in mente un bene garantito dallo stato. Protezione dei confini, delle istituzioni, dei valori comuni e delle persone da qualsiasi interferenza esterna che normalmente è affidata alla politica e al potere militare.

Dopo l’undici settembre, la strategia antiterroristica globale ha generato conseguenze in diversi paesi ed è diventato d’attualità bilanciare la sicurezza dello stato con la tutela delle libertà civili. «L’idea che la sicurezza statale viene prima dei diritti individuali risale al sistema monarchico ed è un principio arcaico», sottolinea Felicita Hoffmann della Foundation for Subjective Experience and Research e invitata a parlare nel workshop ’Reconciling State Security and Human Rights’.

bilanciare la sicurezza dello stato con la tutela delle libertà civili

La signora Hoffmann, ex giudice tedesco, ricorda che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo stabilisce che il potere risiede nel popolo. In aggiunta, il Rapporto sullo sviluppo umano del 1994, afferma che per garantire la sicurezza globale non devono essere penalizzati lo sviluppo economico, la sicurezza alimentare e ambientale e le condizioni di salute delle popolazioni. «Questo rapporto anticipa la riconciliazione tra sicurezza statale e diritti umani» conclude la giurista, «e porta al concetto di sicurezza umana sviluppato anni dopo».

Nel workshop ’Dealing with the past in the post-conflict societies’, Bernardin Banituze, prete ruandese e consulente per Famille de Paix, e Iva Vuksic, in rappresentanza del Dipartimento per i crimini di guerra di Sarajevo, hanno raccontato le loro personali esperienze. Entrambi lavorano per favorire la riconciliazione tra le vittime e gli oppressori in Ruanda e Bosnia-Erzegovina, paesi che hanno sperimentato genocidio e violenze di massa in anni recenti.

Secondo Jonathan Sisson, relatore in rappresentanza del Center for Peace Building, sostiene che le vittime hanno «il diritto di sapere e il diritto alla giustizia. Solo in questo modo la dignità di un gruppo può essere ricostruita».

Ad ogni modo, la ricerca della verità in Ruanda e Bosnia-Erzegovina è un compito difficile. Padre Banituze apre il portatile e mostra a tutti le foto dei teschi ritrovati nelle fosse comuni. Poi passa agli oggetti di uso quotidiano che le persone in fuga portarono nella sua chiesa. «Cerchiamo di raccogliere storie e prove del massacro, ma anche solo trovare dei fondi per finanziare il nostro lavoro è un’impresa», si lamenta mantenendo comunque sempre un’espressione sorridente e per nulla abbattuta.

sembra che il principio della ‘sicurezza umana’ sia lontano dalla piena realizzazione

Anche i politici ostacolano il loro lavoro. Per ovvie ragioni di sicurezza nazionale cercano di minimizzare l’accaduto e negare la verità. «Ci sono pochi libri sul genocidio e molti di questi sono scritti da persone che vivono fuori dal Ruanda».

Iva Vuksic lamenta gli stessi problemi nella ricerca della verità, a partire dalla scuola. «I bambini imparano storie diverse, secondo il loro gruppo etnico di appartenenza», accusa la Vuksic temendo che questa didattica non permetta una reale riconciliazione con conseguenze nefaste per il futuro. Inoltre, entrambi hanno problemi ad accedere agli archivi pubblici, sempre per motivi di sicurezza di stato.

Dalle testimonianze sembra che il principio della ‘sicurezza umana’ sia lontano dalla piena realizzazione. Secondo Anwarul K. Chowdhury, già ambasciatore del Bangladesh in Cile, solo con una nuova cultura della pace si può creare un ambiente utile a salvaguardare e rafforzare il lavoro delle ONG. Nella sua relazione nel workshop ’Peace is Human Right’ afferma che la l’idea di pace ha salde radici nella Carta delle Nazioni Unite e che occorre «riconoscerne il valore di diritto fondamentale per poi svilupparne tutti gli aspetti positivi, dall’equità all’uguaglianza di genere».

Alla cerimonia di aperture per la celebrazione dei sessanta anni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la francese Simone Veil ha rilevato il ruolo fondamentale giocato dalle ONG nella protezione dei diritti umani. Ha ricordato la figura di Sophie Scholl, la giovane studentessa tedesca condannata a morte per la sua opposizione al regime nazista. «Oggi come ieri», conclude «la società civile è il guardiano delle libertà civili». Sembra che alle ONG sia oggi affidato il compito di riconciliare sicurezza dello stato e sicurezza umana.

Parigi - Human Rights Conference| 06.09.08

Immagine di Sophie Scholl, si ringrazia Gianluca Costantini

Articolo originalmente pubblicato su orangelog.eu

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Tuoi commenti
  • su 21 novembre 2008 a 20:30, di Federico Brunelli In risposta a: La società civile tra sicurezza dello stato e sicurezza umana

    Caro Marco, io continuo a credere che, per arrivare a considerare ciascun uomo un «fine in sè», dobbiamo puntare a rafforzare e democratizzare le istituzioni sovranazionali, fino alla creazione di un’Assemblea parlamentare dell’ONU e di una riforma del Consiglio di Sicurezza che lo renda il Governo democratico del mondo. Il volontariato resta un’attività meritoria ed indispensabile nella nostra società, ma ambisce strutturalmente a migliorare le particolari condizioni di poche persone. Solo la politica può creare congruenza tra scopi e strumenti e tornare ad essere l’arte del perseguimento del bene comune. Bisogna però ridare dignità alla politica, dandole gli strumenti adatti ad esprimersi nel tempo della globalizzazione. La Federazione europea sarebbe la prima e fondamentale svolta, emblema di come i diritti umani possono essere garantiti non su base etnica o in quanto membri di uno stato, ma in quanto persone umane.

  • su 22 novembre 2008 a 09:21, di Marco In risposta a: La società civile tra sicurezza dello stato e sicurezza umana

    La maggior parte degli oratori presenti non avevano questo approccio ’strutturalista’ - Assemblea parlamentare Onu, riforma Consiglio di sicurezza ecc... - ma consideravano indispensabile una ’rivoluzione dello spirito umano’ come primo passo per modificare le leggi del sistema internazionale.

    Solo l’ ex ambasciatore del Bangladesh Anwarul K. Chowdhury partiva da una riforma delle istituzioni.

    Due dietro le quinte. L’ex giudice tedesco Felicita Hoffmann, oggi paladina della divulgazione della Carta dell’Onu, all’epoca in cui esercitava ignorava l’esistenza del documento, al pari dei suoi colleghi.

    Era previsto anche un bel workshop gestito dal WFM, investito però da una tale disorganizzazione che, ancora oggi, presenti ed organizzatori si chiedono se e in quale sala sia andato in scena. Ricordo bene molti vagare e porgere domande ad uno spaesato personale del banco informazioni. Alla fine credemmo tutti che fosse stato annullato all’ultimo momento, sebbene nessuno ne avesse la certezza.

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