Mali, un conflitto che ha origini lontane

, di Giacomo Ganzu

Mali, un conflitto che ha origini lontane

Il conflitto in Mali, assurto all’attenzione mondiale nelle scorse settimane in seguito all’intervento francese, è emblematico della crisi che sta investendo l’intera regione nord africana.

La radice primaria è sicuramente locale: la regione, una delle più povere del pianeta, che vive stentatamente di agricoltura e che recentemente è stata direttamente colpita dalla diminuzione degli aiuti internazionali allo sviluppo, è da sempre in preda all’anarchia e alla violenza; sin dalla fondazione dello Stato del Mali la popolazione tuareg è impegnata in un aspro confronto con il governo centrale per rivendicare l’indipendenza della propria regione (i territori sahariani del Nord, chiamati Azawad).

Le tensioni fondamentaliste che scuotono il mondo arabo si sono inserite su questo terreno fertile, già a partire dalla guerra civile che ha insanguinato l’Algeria all’inizio degli anni Novanta e che si è conclusa con la sconfitta del Gruppo islamico armato. I resti delle forze islamiste si sono rifugiati nel Sahel e hanno dato vita alla cellula magrebina di Al Qaeda, finanziandosi innanzitutto tramite i sequestri a scopo di estorsione, in particolare di stranieri.

Recentemente, la dissoluzione dello Stato libico, otre ad aver accresciuto l’instabilità dell’area e aver alimentato la nascita di traffici e, conseguentemente, di bande criminali (alcune delle quali si sono ammantate della bandiera dell’Islam), ha aperto le frontiere a ingenti flussi di armi e al rientro in Mali della legione dei tuareg che prestavano servizio nell’esercito di Ghaddafi.

Questo insieme di fattori ha avuto, tra le tante conseguenze, anche quello di rafforzare il Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad e quindi di innescare una guerra civile nel paese che ha portato ad un colpo di Stato in Mali da parte di un gruppo di ufficiali e ha creato le condizioni affinché la regione tuareg dichiarasse la propria indipendenza.

Di fronte a questo scenario la comunità internazionale si è ritrovata, come spesso accade, impotente. Le Nazioni Unite si sono decise solo nel dicembre del 2012, su iniziativa francese, a creare, con una risoluzione, la Missione internazionale di appoggio al Mali (AFISMA), sotto il controllo operativo degli Stati africani della regione, con l’obiettivo di “ricostruire la capacità d’azione delle forze armate maliane” per recuperare il nord del paese e riconquistare nel giro di qualche mese il controllo del territorio. Ma l’operazione è fallita clamorosamente, anche per l’intervento di gruppi islamisti che hanno iniziato a conquistare il sud del paese, costringendo l’esercito maliano a battere in ritirata.

È stato questo precipitare della situazione che ha spinto la Francia ad intervenire direttamente nel conflitto. Formalmente l’operazione gode del supporto delle Nazioni Unite, come pure dei partner europei, e il fatto di fermare l’avanzata dei gruppi fondamentalisti ha suscitato un forte consenso. Ma è abbastanza evidente che non potrà trattarsi di un intervento risolutivo: nell’area il caos rimane solo momentaneamente congelato, ma la situazione di estrema povertà e la disgregazione delle istituzioni statuali in tutta la regione che va del Corno d’Africa al Sahel impediscono una vera stabilizzazione. Non c’è da stupirsi che il fondamentalismo islamico attecchisca e riesca a riorganizzarsi in questo contesto, accrescendo ulteriormente l’instabilità dell’area.

È evidente che occorrerebbe una capacità di intervento ben più profonda ed incisiva per avviare un percorso di rinascita della regione. Da parte loro gli Stati Uniti, sin da quando è venuto meno il confronto a tutto campo con l’URSS, non hanno più l’interesse strategico ad impegnarsi direttamente, né intendono reperire le risorse per farlo. Sarebbe naturalmente, per ragioni storiche e geografiche, e per ragioni di evidenti interessi economici e politici, compito degli europei cercare di stabilizzare l’area; ma la mancanza di unità politica fa sì che non esista una politica estera e di sicurezza europea, e ancor di più implica che l’Europa non abbia gli strumenti per essere un punto di riferimento politico.

La divisione degli europei sta costando molto ai cittadini del Vecchio continente in termini economici e sociali; ma sta costando molto anche a tante aree del mondo che beneficerebbero di una presenza politica europea e del suo supporto, prima fra tutte l’Africa. Speriamo che se mai gli europei riusciranno a dar vita ad una vera federazione per queste tormentate regioni non sarà ormai troppo tardi, e che non si crei una situazione di caos irreversibile nei prossimi decenni.

Fonte immagine Flikr

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