Sfruttando la metafora del gioco del bowling, racconta l’abitudine americana di incontrarsi sulle corsie da bowling, organizzare tornei e riunirsi in associazioni sportive, rendendo corposa la natura di una società vivace, in cui i singoli individui dimostrano la loro propensione a stringere legami interpersonali. Le associazioni sono per gli americani lo strumento per percepire, al di fuori di ogni singola esistenza, il mondo esterno come proprio: la realtà di cui si fa parte.
Putnam osserva un’inversione di marcia nelle ultime due decadi: le associazioni tradizionali stanno scomparendo, la fitta rete di vincoli interpersonali si sta sfaldando, la società americana assume una forma sempre più individualizzata. Ci si incontra meno, non si stringono più rapporti con il vicinato, non ci si riunisce in gruppi organizzati, diminuisce l’impegno a mettere in comune le proprie esperienze con altre persone. E così il tempo libero è diventato una risorsa da consumare da soli. Anche per giocare al bowling.
Due sono le principali forme di capitalizzazione sociale, spiega Putnam. Si parla di “capitalizzazione sociale integrativa” quando un individuo, che appartiene a un determinato gruppo religioso o etnico o definito in base al ceto, fa qualcosa per qualcuno che appartiene a un altro gruppo, diverso dal suo, con la prospettiva di esserne ricambiato.
le persone si tirano indietro, cercando di ridurre al minimo i colpi inferti dalla società che hanno attorno, ritirandosi così negli spazi privati
Si parla invece di “capitalizzazione sociale che instaura un legame”, quando qualcuno fa qualcosa per le persone «come lui» (agenti di polizia cattolico-irlandesi bianchi, per esempio, o gli operai neri battisti dell’Alabama, o i docenti agnostici di Harvard), con la prospettiva di essere ricambiato dai membri del suo stesso gruppo.
Ma si parla di due forme ormai in declino. Non è affatto il prevalere dell’una sull’altra, ma l’indebolimento di entrambe: la sfiducia permea qualsiasi rapporto e le persone si tirano indietro, cercando di ridurre al minimo i colpi inferti dalla società che hanno attorno, ritirandosi così negli spazi privati.
Accanto al fallimento della capitalizzazione sociale, c’è il fallimento dei modelli di integrazione razziale su scala statale. Fallisce il Meltin’ Pot, il modello integrativo americano, che ha reso possibile agli States la scalata globale, nutriti dall’ardore, dalla forza, dalla volontà di migliaia di uomini di centinaia di etnie diverse, che spinti dal sogno americano e dalla coscienza della possibilità del successo, sono arrivati ad essere la superpotenza mondiale del nuovo millennio. Gli Stati Uniti chiudono le frontiere, rendendo limpido agli occhi del mondo come non riescano più a controllare la situazione interna del loro stesso paese.
Gli Stati Uniti chiudono le frontiere, rendendo limpido agli occhi del mondo come non riescano più a controllare la situazione interna del loro stesso paese
La frattura è nei sobborghi, nelle periferie, nelle grandi città: il Sogno Americano si è rivoltato contro la stessa America. Non c’è più un successo personale positivo che portava grandezza alla nazione, ma solo un successo personale negativo. Perché se gli Stati Uniti sono il più grande paese del mondo, sono anche quello dove il divario tra ricchi e poveri è maggiormente accentuato, ed il traguardo personale che le persone cercano è di uscire dalla povertà, dalla miseria, a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo. Il muro costruito alla frontiera col Messico per fermare l’invasione messicana e ridurre lo spaccio di droga non è certamente la soluzione.
E se fallisce il modello del sogno Americano, fallisce contemporaneamente l’integrazione nel più grande Stato europeo, la Francia della Rivoluzione Francese, dei diritti dei cittadini, degli ideali della libertà, della fraternità e dell’eguaglianza. Le sommosse nelle periferie parigine sono il lampante esempio che qualcosa non va, che qualcosa manca, che non si può più andare avanti così.
se fallisce il modello del sogno Americano, fallisce contemporaneamente l’integrazione in Francia...e in numerosi altri casi
Potremmo elencare molti altri casi: le popolazioni marocchine che cercano ad ogni costo di penetrare i territori spagnoli di Ceuta e Melilla sulle coste nord-africane per ottenere la cittadinanza spagnola e fuggire nella ricca UE; la difficile integrazione delle popolazioni slave in Italia, Germania, Francia; le rivendicazioni di realtà micro-regionali in Spagna e Francia, spesso con risvolti più che violenti; la pace appena raggiunta nell’Irlanda del Nord, ma che sembra ancora, terribilmente, un semplice sogno.
Si è parlato, ad esempio, di «Europa delle regioni». Certamente, sotto un profilo strettamente culturale e spirituale, questi fermenti che stimolano e dolorosamente travagliano dall’interno la vita degli Stati non vanno sottovalutati. Testimoniano anzi un’ansia e una ricerca difficili a interpretarsi, oscillano in modo contraddittorio tra aperture a orizzonti amplissimi e chiusure quasi rionali, anch’esse a loro modo significative.
L’integrazione sta fallendo, nell’immigrazione, nella povertà, nell’impossibilità degli Stati a garantire la sicurezza, il lavoro, una casa, la possibilità di una vita sicura ai propri cittadini. A livello europeo ci si chiede: l’integrazione economica è sufficiente? Per quanto la pace sia perno fondamentale dell’integrazione europea, fino a che punto possiamo parlare d’integrazione?
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