Quattro domande su innovatori, Germania e Europa

, di Pier Virgilio Dastoli

Quattro domande su innovatori, Germania e Europa

L’Europa ha vissuto per mesi sospesa al risultato delle elezioni federali in Germania e ora vive sospesa in attesa che in un Parlamento spaccato a metà si trovi una soluzione che dia al paese un governo stabile fino al 2017, pronto a negoziare con i partner europei dossier che sono stati congelati per volontà della cancelliera Merkel. L’impressione che si trae dalla lettura della stampa tedesca e dalle dichiarazioni dei leader è che i negoziati fra CDU-CSU e SPD saranno quasi esclusivamente concentrati su questioni di politica interna. I temi europei entreranno solo marginalmente nella discussione sul programma del futuro governo di coalizione.

Al di là della propaganda elettorale, la distanza fra democristiani e socialdemocratici in Germania sul futuro dell’Europa è minima perché gli uni e gli altri sono convinti che l’integrazione europea convenga alla Germania, che le regole e le sanzioni che garantiscono la stabilità finanziaria siano indispensabili e che dunque il cosiddetto “fiscal compact” fosse e sia una medicina amara da imporre ai partner indisciplinati. Gli uni e gli altri intendono difendere le prerogative del Bundestag in un’Unione europea dai contorni democratici evanescenti e le riserve verso gli organi tecnocratici europei come la Commissione sono equamente ripartite a destra e a sinistra, così come comune è la concezione di un federalismo economico minimo che consenta di salvaguardare un’unione monetaria che inglobi i paesi “in” (18 a partire dal prossimo 1° gennaio) e i paesi “pre-in” (gli altri sette che hanno condiviso il fiscal compact e il patto Euro-plus). Nel giro di dieci anni la Germania in fondo è passata dallo European Social Model (ESM) allo European Stability Mechanism (ESM).

È lontano il tempo in cui il governo del cancelliere Kohl, per bocca di Schaueble e Lamers, minacciava di tenere fuori dalla porta dell’Euro l’Italia di Berlusconi e la Spagna di Felipe Gonzalez per costruire un nucleo duro (kern-Europa) salvo poi spiegare che si trattava di un magnete e non di un nocciolo così come è lontano il tempo in cui Schröder e Amato aprivano la strada alla costituzione europea. Chi ha governato la Germania post-bellica sapeva che l’ancoraggio al modello comunitario era indispensabile per cancellare i dèmoni del passato ma chi governa la Germania unificata sa che la sua egemonia può vivere e svilupparsi solo in un’Europa integrata e che il primo Paese a pagare un caro prezzo dall’eventuale frammentazione dell’Unione europea sarebbe proprio la Germania.

C’è da chiedersi in che misura quest’ampia convergenza sui temi europei sia costata ai socialdemocratici la terza sconfitta in dodici anni, una causa certo addizionata alla scelta di uno Spitzenkandidat mediocre e all’onda lunga delle riforme introdotte da Gerhard Schröder fra il 2000 e il 2005. È una domanda a cui dovrebbero rispondere non solo i leader SPD se avranno la volontà di aprire un processo interno di riflessione autocritica ma è una domanda che si dovrebbero porre con urgenza tutti gli innovatori europei a otto mesi dalle elezioni europee. Essi ritiengono che basti la scelta di un candidato alla presidenza della Commissione europea, che nasconde dietro di sé il vuoto di vaghi programmi apparentemente unitari come è avvenuto dal 1979 in poi, per fare la differenza con gli immobilisi da una parte e la multiforme area di movimenti populisti e antieuropei dall’altra? Non si dovrebbe piuttosto lavorare alla definizione di un vero programma di governo per un’altra Europa spiegando agli elettori che l’Unione europea è uno spazio politico dove hanno diritto di cittadinanza visioni radicalmente alternative di politiche economiche e sociali e posizioni conflittuali sul significato della democrazia europea? Non si dovrebbe chiarire agli elettori che un programma di chi si candida a garantire beni comuni a dimensione europea sarà degno di questo nome solo se ci si impegnerà a gettare le basi per un vero governo europeo con poteri limitati ma reali che risponda al Parlamento europeo nel quale dovrà conquistarsi la fiducia? Non ci si dovrebbe infine impegnare davanti agli elettori ad aprire, immediatamente dopo le elezioni europee, un nuovo cantiere dell’Unione europea per andare al di là del Trattato di Lisbona verso un’Europa inclusiva e democratica?

Dalle risposte a queste quattro domande dipende anche la capacità dei socialdemocratici tedeschi di negoziare, con la forza di un’alleanza transnazionale, un patto di governo per la Germania e per l’Europa.

Articolo pubblicato originariamente su L’Unità

Fonte immagine German Ministry for Finance

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