Riflessioni sulle elezioni italiane

, di Simone Vannuccini

Riflessioni sulle elezioni italiane

L’analisi dei risultati elettorali è da sempre un esercizio interessante, e le discussioni che ne nascono diventano materiale per le riflessioni di “esperti da bar” o per le pagine scritte da giornalisti, commentatori e studiosi. Ma se il coordinamento involontario delle decisioni di voto di milioni di cittadini è tale da scardinare gli ostacoli che la legge elettorale imponeva alla governabilità, far uscire il paese da una situazione politica difficile, conflittuale e controversa e allo stesso tempo riportare al potere una coalizione che aveva già avuto la possibilità di guidare l’Italia per cinque anni (dimostrando tra l’altro di non riuscire a trasformare valori e proposte in azioni e di avere una limitata capacità di imporre una “visione politica” consona ai tempi e all’altezza di un contesto in continuo mutamento), qualche approfondimento aggiuntivo deve essere fatto.

Come è stata possibile l’esclusione dal Parlamento della Sinistra (comunista, alternativa, socialista, ecologista), fatto inedito nella storia repubblicana del nostro paese? Per quale motivo milioni di votanti, dopo cinque anni di governo del centrodestra e dopo lo schiaffo critico di Grillo ai partiti hanno deciso di dare nuovamente la fiducia a Silvio Berlusconi ed ai suoi alleati? Perché un partito territoriale e legato agli interessi (legittimi) del Nord-Italia, deciso a mascherare le proprie rivendicazioni devoluzioniste con prese di posizione xenofobe e atteggiamenti e riti “neo-medievali” è diventato la terza forza partitica nazionale, allargando la propria base elettorale a nuove regioni (tra le quali la Sicilia, attraverso il Movimento Per le Autonomie) e conquistando la forza per determinare le politiche e le riforme delle istituzioni?

Le motivazioni e le determinanti dei risultati sono ovviamente molteplici, complesse ed intrecciate fra loro: dall’impreparazione del nuovo centrosinistra alle scelte strategiche della “Sinistra l’arcobaleno”, dalle decisioni dei votanti influenzate da valutazioni strategiche (tra la quali l’astensionismo, il richiamo al “voto utile” e la consapevolezza dei limiti del sistema elettorale) alla ri-nascita di un centro politicamente e valorialmente definito, dall’abbandono di molti simboli storici (come la falce e martello) allo spostamento a destra del “Popolo delle Libertà”, varie tendenze hanno contribuito a plasmare un contesto imprevedibile. Se a tutto ciò aggiungiamo la difficoltà che ogni “uomo della strada” può incontrare nel tentativo di comprendere ed interpretare la crisi economica e finanziaria globale, le questioni dell’occupazione, della crescita e dell’immigrazione, il problema ambientale (spesso e purtroppo interiorizzato in maniera limitata o letto in chiave ristretta e localista) possiamo capire l’incertezza che ha caratterizzato le elezioni fino all’ultimo momento. Sarebbe però sbagliato non tentare di individuare alcuni temi importanti ed evitare di riflettere sui “microfondamenti” del comportamento dei votanti di questa tornata elettorale.

Due sono a mio avviso i punti fondamentali, strettamente legati sia da un punto di vista logico che culturale: a) l’inalterata attrattività della proposta berlusconiana e b) il travolgente successo della Lega Nord. Con grande delusione e sorpresa dei politologi che avevano già preconizzato la parabola discendente dell’esperienza della “discesa in campo”, i risultati della coalizione guidata dal presidente del Milan sono i migliori dal 1994.

Ma se nel 1994 (e poi ancora nel 2001) il carisma, la novità e l’approccio pragmatico-aziendalista di Berlusconi potevano spiegare una buona percentuale del suo successo, questa volta le cose sono diverse. E non si tratta del patto fortunato con Alleanza Nazionale. Nonostante le personalità siano sempre le stesse, gli slogan e le proposte non siano concettualmente variate nell’arco di 14 anni, il successo è aumentato perché è radicalmente cambiata la società italiana; il partito non si è adattato al suo “popolo”, ma è il “popolo” che ha metabolizzato così bene tutta una serie di preoccupazioni, rivendicazioni ed idee nate inizialmente come slogan elettorali o come strumenti populistici per la raccolta di voti da renderle reali.

La società italiana di oggi è completamente differente rispetto a quella agli anni ’90, e nuove logiche di pensiero hanno iniziato a diventare condivise; logiche di conservazione e territorializzazione, individualistiche, volte alla massimizzazione del benessere locale anche a scapito di quello generale, spesso slegate dalla consapevolezza e dalla concezione di una responsabilità se non internazionale, almeno nazionale. Ecco perché la Lega ha trionfato, perché ha saputo diventare il mezzo privilegiato attraverso il quale esprimere un rinnovato sentire degli italiani, ed allo stesso tempo perché ha rappresentato una scelta equamente distante dalla partitica tradizionale e dall’antipolitica del V-day. Se non si può togliere agli uomini la volontà di partecipazione politica, è però plausibile che questa stessa volontà possa re-indirizzarsi verso quelle forze che, a differenza di tutte le altre, non hanno subito una trasfigurazione istituzionale tale da trasformarle in “caste” finalizzate alla loro stessa sopravvivenza, ma sono invece rimaste vicine ai cittadini, aperte all’ascolto dei loro problemi e dei loro interessi.

A questo punto resta però da spiegare perché la maggioranza degli italiani, nonostante il comprovato insuccesso delle politiche del Polo delle Libertà nel quinquennio di governo, non si sia scoperta “vaccinata” (così come aveva auspicato Indro Montanelli) ma abbia ritenuto giusto dare nuovamente fiducia ad un modello già sperimentato. Tirare in ballo l’ignoranza, l’irrazionalità o gli interessi personali degli elettori sarebbe quantomeno riduttivo, offensivo e non esplicativo rispetto alle scelte dei votanti; è invece necessario provare ad indagare su quale sia la natura dei processi cognitivi che guidano la scelta di un leader carismatico. Da questa prospettiva il voto italiano potrebbe essere interpretato come una particolare manifestazione di dissonanza cognitiva, nel senso in cui il concetto viene utilizzato dall’economista Albert Hirschman (ndr: è fratello di Ursula Hirschman, moglie di Altiero Spinelli, il padre del federalismo europeo in Italia ed autore del Manifesto di Ventotene):

«… questa teoria afferma che una persona la quale per l’una o l’altra ragione s’impegni ad agire in una maniera contraria alle sue convinzioni, o a quelle che crede essere le sue convinzioni, si trova in uno stato di dissonanza. Si tratta di uno stato sgradevole, e l’interessato tenterà di ridurre la dissonanza. Siccome il “comportamento discrepante” ha già avuto luogo, e non può esser disfatto, mentre le convinzioni possono esser cambiate, la riduzione della dissonanza può ottenersi principalmente modificando le proprie convinzioni nel senso di una maggiore armonia con le azioni [1]».

In questo caso è la situazione politica italiana, europea e mondiale a generare lo stato di dissonanza; l’economia e la società del consumo e della competizione generano frustrazione, povertà e stress, ma dato che il contesto “discrepante” viene preso come un dato di fatto immutabile, risulta più facile mutare le nostre convinzioni. L’intervento di un messaggio politico populista e “disconnesso” dalla realtà dei fatti può a questo punto essere fondamentale nel ridurre la dissonanza cognitiva, fornendoci una visione del mondo semplificata e “migliore”. Se ciò è vero, quanto più il messaggio sarà falsato, eccessivamente propagandato o ampiamente implausibile, tanto più verrà accettato e tanto meglio si diffonderà, perché funzionale a far dimenticare una realtà complessa e sfavorevole. Da questo punto di vista gli italiani hanno scelto di chiudere gli occhi di fronte ad un mondo sempre più tecnico e difficile da capire (o da semplificare per mezzo di un’ideologia) ed hanno accettato con piacere e sollievo il prezzo di un programma di governo fatto di promesse, ipocrisia e irresponsabilità, ottenendo in cambio una drastica riduzione del disagio provocato dalla vita nel mondo contemporaneo.

Come ho già detto in precedenza, una spiegazione esaustiva delle ragioni del voto sarebbe necessariamente molto più approfondita e specialistica, dovendo declinare gli effetti delle identità e delle appartenenza di gruppo (siano queste di partito, territoriali, sociali, economiche e così via), ma pensare la scelta elettorale come uno strumento collettivo per ridurre la forte dissonanza cognitiva generata dalle difficoltà di un mondo plurale e complesso è un’ipotesi intrigante e, per certi versi, realistica.

Non rimane adesso che attendere le proposte e le politiche che verranno dal nuovo Parlamento e dal nuovo Esecutivo, nella speranza che l’Italia acquisisca finalmente la consapevolezza del ruolo che le compete in Europa e nel Mondo. E se, come dice il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano “non possiamo smettere di camminare mentre tutto il mondo inizia a correre” diventa sempre più vero che se da una parte non esiste l’Europa senza l’Italia, dall’altra non esisterà alcuna Italia senza l’Europa.

Fonte dell’immagine: World Wide Web

Note

[1Hirschman, Albert O. (1965), “Obstacles to development”, Economic development and cultural change, 13, 385-393; trad.it. in Id. Come complicare l’economia, Il Mulino, Bologna, 1988

Tuoi commenti
  • su 17 aprile 2008 a 17:24, di Viviana Rospetti In risposta a: Riflessioni sulle elezioni italiane

    non sono una elettrice di Berlusconi (nè del suo schieramento) ma colgo una velata insinuazione di essere degli idioti rivolta agli elettori che hanni scelto il PDL. Mi spiego meglio: «… questa teoria afferma che una persona la quale per l’una o l’altra ragione s’impegni ad agire in una maniera contraria alle sue convinzioni, o a quelle che crede essere le sue convinzioni, si trova in uno stato di dissonanza. Si tratta di uno stato sgradevole, e l’interessato tenterà di ridurre la dissonanza..........». Secondo la teoria che lei riporta il 47% degli italiani quando ha apposto la X sulla scheda in realtà pensava non di votarlo ma di eliminarlo? Sul fatto di «... chiudere gli occhi...» forse sarebbe stato più corretto il famoso e già sperimentato «....TAPPATEVI IL NASO E VOTATE (l’originale era DC ma adesso andrebbe bene chiunque)...» Ad ogni modo, non intendendo offendere nessuna mente più colta e più dotata della mia con una analisi troppo semplicistica, ritengo di poter affermare che su una cosa almeno stiamo al passo con l’Europa e cioè CON QUESTO SISTEMA ELETTORALE CHI SBAGLIA VA A CASA. Con ossequio R. Viviana

  • su 6 maggio 2008 a 02:14, di ? In risposta a: Riflessioni sulle elezioni italiane

    Un esercizio molto semplice è da sempre quello di scaricare su altri le nostre ansie (generalizzazioni su immigrati,generalizzazioni su movimenti sociali ecc.. Da sempre l’uomo per giustificare proprie carenze di interpretazione reale dei fatti e pur di non mettere in discussione se stesso indica in altri la causa dei suoi fallimenti. Ora ci sono state le elezioni ed è andata come è andata, ancora addossare agli Italiani che hanno votato chi non merita il loro voto o peggio dire che essi sono dei cogl..... come affermato nelle elezioni del 2006 dal candidato premier del centrodestra o dire come oggi si dice che gli elettori non hanno capito,non compreso chi sono le forze politiche che li rappresentano è un tipo di «analisi» che offende chi la propone ed ancora peggio chi la legge. Caro Simone credo che il tuo pensiero, quello che tu esponi nel tuo intervento sia l’immagine esatta delle ragioni per le quali i Cittadini Italiani non hanno premiato il PD infatti credo che la classe dirigente di quel partito pecca di carenza nella conoscenza del paese reale,ma possibile che non notate l’assoluta incoerenza fra quello che si prospetta in campagna elettorale e quello che succede tutti i giorni ai Cittadini di questo paese. non basta prospettare in campagna elettorale «trasparenze amministrative»,risanamenti di bilancio...esse rimangono solo buone intenzioni se poi non vengono seguite da fatti concreti e coerenti con esse ad esempio l’esigenza di mettere mano alla legislazione sugli appalti pubblici con l’adozione di nuovi strumenti di verifica degli stessi,in Italia ci sono tantissime leggi ma mancano quelle essenziali ad esempio una norma sui suoli e sugli strumenti urbanistici piani territoriali di coordinamento ecc. che diano finalmente una certezza regolata di sviluppo al nostro territorio (ed ai Cittadini che lo vivono). Poi la non conoscenza “reale” delle questio non ha mai consentito di dare risposte coerenti ai bisogni di chi ci stà di fronte a problemi quali la disoccupazione,il degrado sociale ecc. certo il proliferare di piccole imprese ,cooperative che nascono solo per sfruttare la carenza organizzative dei pubblici servizi tipo ASL,il blocco delle assunzioni di nuovo personale non fa altro che favorire questa gente che tra l’altro costa alla collettività di più di assunzioni regolari per coprire tali servizi. Sul sistema bancario italiano non stò ad esprimere giudizi i gravissimi fatti di cronaca di questi anni parlano per me,una sola domanda ;.. non hanno notato lor signori ,,il proliferare di agenzie di prestito,non credo che questo sia un buon segnale infatti il “fenomeno” ci suggerisce che anche in questo campo, fra le leggi latitanti c’è anche quella che dovrebbe regolamentare il credito ed il prestito in Italia,mi domando perché non possiamo avere una norma che consenta prestiti sulle attività produttive ossia che finanzi un progetto economico e non solo il capitale. Credo che solo parlando ,vis a vi,di tali argomenti concreti ai Cittadini di questo paese ed elaborando con loro strategie politiche tali da consentire una reale presa di coscienza del proprio se, si possa aspirare in futuro di cambiare le sorti di questo grande paese. Ciao Claudio

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