Soluzioni europee per una crisi globale

Relazioni del dott. Iozzo e della dott.ssa Viterbo

, di Stefania Bonino, Stefano Rossi

Soluzioni europee per una crisi globale

Basta aprire un qualsiasi giornale o sintonizzarsi su un telegiornale per rendersi conto di come la crisi finanziaria sia il primo argomento di interesse da qualche mese a questa parte. Vengono usati termini economici che risultano astrusi per tutti i non addetti al settore (ovvero la maggior parte delle persone), vengono snocciolate cifre così grandi che risultano difficilmente immaginabili, soprattutto vengono dipinti scenari più o meno catastrofici. In tutto questo vociare mediatico, talvolta strumentalizzato dalla politica per trarne vantaggio a fini meramente propagandistici, sono poche le occasioni per comprendere davvero a fondo cosa stia succedendo, difficoltà accresciuta tanto più notevolmente dall’osticità dell’argomento in questione. Per questo motivo risulta preziosa la chiarezza e la lucidità del relatore che si fa carico della difficoltà di spiegare la situazione a quanti siano estranei e non avvezzi al linguaggio economico-finanziario. In questo intento è riuscita la relazione sul tema “Soluzioni europee per una crisi globale” tenuta dal Dottor Alfonso Iozzo (del Council del World Federalist Mouvement con alle spalle esperienze di grande importanza in Sanpaolo e in Cassa Depositi e Prestiti) nell’ambito di un ciclo di conferenze organizzate a Torino dal Taurillon in collaborazione con il collettivo di Giurisprudenza.

Il Dottor Iozzo ha innanzitutto posto l’accento sul particolare momento storico in cui ci troviamo, un periodo di svolta, foriero di trasformazioni nei riferimenti del panorama globale. La similitudine portata ad esempio esprime bene questo concetto: così come avvenne per la scoperta dell’America, oggi la “scoperta” dell’Asia rappresenta un avvenimento di radicale trasformazione delle posizioni di potere a livello mondiale. Causa primaria di questo cambiamento è ovviamente il processo di globalizzazione che, in questo suo nuovo sviluppo foriero di profonde metamorfosi, necessita di nuovi equilibri e di un loro successivo consolidamento.

Dopo il crollo del muro di Berlino, si è andata sempre più radicalizzando l’idea di un unico forte centro di potere, rappresentato dagli Stati Uniti. Il compito di superpotenza si è delineato in particolare su due diversi fronti: quello di strenua sostenitrice della liberalizzazione del mercato e, parallelamente, di “controllore” degli equilibri internazionali, anche attraverso il ricorso all’uso della forza. Questo difficile compito per essere assolto fino in fondo richiedeva l’assunzione del ruolo di “gendarme fiscale”, oltre che politico: questo però è stato rifiutato dagli USA, che hanno più volte scaricato all’esterno gli effetti delle varie crisi economiche, per lo più tramite la svalutazione del dollaro. Oggi gli effetti di questa scelta politica iniziano ad essere più che evidenti, arrivando perfino a mettere in crisi il ruolo egemone detenuto finora dagli Stati Uniti in campo economico: per la prima volta la libertà di manovra di questo paese sta venendo a mancare. A complicare ulteriormente il quadro della situazione è poi il costante, e sempre rimandato, problema sull’uso delle risorse e delle materie prime: è evidente che in questi mutati orizzonti la divisione dei beni non può più essere quella adottata finora a livello mondiale.

Il rischio concreto è di andare incontro alla chiusura e al protezionismo, come soluzione più facile per affrontare la situazione dei mercati. La riorganizzazione profonda dell’economia e la progettazione a lungo termine sono infatti scelte quasi sempre controproducenti a livello elettorale, motivo per cui nessun governo si mostra mai ben disposto in tal senso. Questo è il motivo principale per cui si rende necessario un controllo dall’esterno, una pianificazione generale, così come avvenne nel caso del Piano Marshall: il piano europeo di ricostruzione del dopoguerra venne eterodiretto e fu vincolato per gli stati riceventi all’adozione di mezzi e scopi collettivi. Se è vero, quindi, che un difetto dei sistemi democratici è quello di non privilegiare le scelte a lungo termine, in Europa si è cercato di ovviare a questo problema delegando questo importante compito alle Istituzioni dell’UE. Tale esempio andrebbe ora applicato a livello globale. La cosa positiva di tutta questa situazione, infatti, è la riscoperta negli ultimi mesi del valore del sistema europeo, che può fornire un modello ed un esempio (per citare Sacharov) per gestire il processo di globalizzazione. Di fatto l’Europa ha già affrontato e in parte vinto la sfida della sua “piccola globalizzazione”. In particolare sono tre i settori in cui la competenza europea può assumere un valore rilevante: la moneta, il commercio e la politica agricola, a cui si deve aggiungere un interesse crescente nel settore energetico-ambientale. Il Dottor Iozzo ha così concluso la sua lucida relazione tornando sulla similitudine iniziale: come nel caso della scoperta l’America, e oggi della “scoperta” l’Asia, l’Europa può ancora ricoprire un ruolo di primo piano. Un notevole contributo al dibattito sull’argomento è stato poi apportato dalla Dottoressa Viterbo (Ricercatrice di diritto internazionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino), la quale ha sottolineato come la crisi debba essere considerata globale, dal momento che colpisce tutte le economie, anche se in maniera differenziata.

A questa situazione ci sono due possibili risposte: l’autarchia, il protezionismo, e la conseguente chiusura dei mercati, come già prospettato dal Dottor Iozzo, o l’integrazione a livello internazionale, con cessione di sovranità da parte dei singoli Stati per risolvere problemi comuni. La crisi finanziaria può essere cioè un’occasione per una maggiore collaborazione su scala internazionale, come ha recentemente dimostrato il G20, a cui hanno dato un contributo

... due le possibilità: o l’autarchia o una maggior integrazione in senso strettamente federale ...

fondamentale al dibattito anche alcuni paesi emergenti. Parallelamente è necessaria una riforma del Fondo Monetario Internazionale, negli ultimi anni oggetto di numerose critiche per la sua impostazione neoliberista e per quelle che da molti sono state considerate ingerenze nell’economia dei vari Stati. L’Unione Europea, in quanto unione monetaria, resta esclusa dal FMI, al quale possono prendere parte solo Stati singoli, ma si arriva oggi ad auspicare un peso maggiore dell’Europa nelle varie risoluzioni internazionali. Siamo dunque a un bivio in cui il processo di integrazione globale può chiudersi su stesso oppure proseguire forte di una nuova energia. E ancora una volta il ruolo dell’Europa può essere rilevante.

Fonte dell’immagine: World Wide Web

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