Sull’identità europea

, di Giovanni Cassani

Sull'identità europea

Ci sono due punti di vista per esaminare l’identità europea: uno consiste nel considerare cosa hanno condiviso i popoli europei lungo i secoli già trascorsi, l’altro è invece quello di guardare a cosa potrà unire i popoli che abitano l’Europa nei secoli che devono ancora giungere. Personalmente considero questa seconda prospettiva molto più interessante, e di questa mi occuperò in questa breve introduzione.

Un primo modo, semplice ed immediato, per avvicinarsi all’identità di un organismo culturale è quello di partire dai simboli con cui questo stesso organismo ha deciso di farsi identificare. L’Unione europea ha un inno, un santo patrono, un motto e una bandiera. Molti conoscono l’Inno alla Gioia – ma pochi lo conoscono come inno europeo - , pochissimi sanno che San Benedetto da Norcia è il santo patrono dell’Unione, pochi conoscono il motto “Uniti nella diversità”, tutti – almeno ad un livello culturale accettabile – la bandiera. Di questi quattro simboli due appartengono al passato, due al presente. Posto che difficilmente si conosce anche il motto della propria nazione, credo sia interessante notare come il simbolo più efficace nell’identificare l’Europa sia la bandiera, creata per l’Unione e non riesumata da un passato, per quanto glorioso.

E’ possibile parlare di identità storica dell’Europa, ma non credo serva a molto in un momento storico in cui le sirene del micronazionalismo e microregionalismo sono così assordanti e seguite dissertare sull’importanza della letteratura provenzale nella formazione della cultura letteraria europea, o dell’importanza del Rinascimento Italiano, o della rivoluzione galileiana e copernicana, o della centralità dell’Idealismo, dell’Impressionismo et cetera et cetera. Sicuramente sono movimenti culturali che hanno segnato l’Europa, ma hanno sicuramente segnato il mondo: si studia Dante in Giappone, si legge il Siderus Nuncius alla U.C.L.A., si studia Rousseau all’Università di Sydney. E si legge Murakami, o Banana Yoshimoto in Germania, in Italia, in Russia. Monet si guarda a Boston, ci sono vasi Ming in molti musei europei. Ma ripeto, non lo trovo interessante né utile.

Utile è invece definire le nuove basi identitarie su cui il progetto politico federalista deve poggiare. Ci sarà da discutere, da mediare tra diverse istanze, ma non può essere evitato né risolto in altro modo.

Credo che l’inclusione in un progetto politico di tale respiro e importanza non debba dipendere da fattori naturalistici o storico-culturali. Theodor Mommsen nelle Lettere agli Italiani, 1870 scriveva “La nazione non è unanime se non per riavere le contrade che le appartengono attualmente per lingua e costumi.” [1] sottintendendo che l’Alsazia e la Lorena fossero tedesche indipendentemente dalla volontà di chi ci viveva. Al Mommsen rispose Numa Fustel de Coulange in un pamphlet intitolato L’Alsazia è tedesca o francese? scrivendo “non è la razza né la lingua che costituiscono la nazionalità. [...] Le convenienze geografiche, gli interessi politici o commerciali son ciò che ha raggruppato le popolazioni e fondato gli stati.” [2]

Per quanto il progetto federale superi la categoria di Stato-Nazione che è in questo scritto fortissima, credo sia importante per la Federazione europea non rincorrere un’identità culturale esistente, ma fondarne una a partire dalle contingenze economiche e politiche che sono oggi così evidenti e stringenti. Un’identità sovranazionale, che prescinda dalla lingua, dal retaggio culturale degli avi, dalle fattezze fisiche, dall’architettura delle città, perché “Il nostro principio è che una popolazione non possa essere governata che dalle istituzioni che accetta liberamente, e che non debba far parte di uno Stato che di sua volontà e libero consenso” [3].

Credo che nel caso del progetto federale europeo si debba prescindere però anche dalla componente geografica: giudico i confini geografici meramente convenzionali, e come tali rimodellabili all’interno di nuove convenzioni. Se il mito di Europa ci dice che il nome di Europa fu dato alle terre a nord di Creta, non credo che l’appartenenza di uno Stato al progetto federale debba essere vincolata alla sua posizione geografica rispetto a Creta, bensì alla sua volontà di condividere i principi identitari e politici che questo progetto ispirano.

C’è un altro aspetto cruciale nella definizione dell’identità di una comunità che ho taciuto finora: la religione. C’è già un illustre tentativo di ricondurre l’identità europea al Cristianesimo che giace sotto il titolo italiano di La cristianità o Europa, scritto nel 1799 da Novalis che si apre con un lamento: “Erano tempi belli, splendidi, quando l’Europa era un paese cristiano [dunque prima dei due scismi, d’Oriente e d’Occidente], quando un’unica Cristianità abitava questa parte del mondo [...] un unico [corsivo del testo], grande interesse comune univa le più lontane province di questo ampio regno spirituale. [...] un unico capo supremo guidava e univa le grandi forze politiche.” [4] Fortunatamente Novalis avrebbe ancora motivo di lamentela riguardo la mancanza di un capo supremo; eppure evidenzia un difetto politico capitale nell’attuale assetto istituzionale dell’Unione.

Personalmente non credo che “solo la religione può risvegliare l’Europa” [5] ; credo anzi che data la composizione sempre più multietnica delle stesse società europee sia gravemente limitativo imporre una base religiosa al progetto federalista.

Con ciò entro in uno dei casi più spinosi del dibattito europeo da qualche anno a questa parte: può la Turchia essere ammessa all’Unione. La mia risposta è sì, a patto che condivida e attui i principi politici, sociali, economici che gli Stati dell’Unione condividono e decideranno di condividere. Non credo sia giusto né conveniente estromettere la Turchia perché musulmana, perché è Stato asiatico – dopotutto le nazionali turche competono nei tornei europei. Trovo giusto porre come condizione tassativa l’abolizione della pena di morte. La Federazione europea, in quanto organismo al di sopra degli Stati nazionali, deve evitare una esplicita presa di posizione religiosa nel definire la sua politica: con ciò non voglio sminuire l’importanza del Cristianesimo nella storia europea, vorrei invece che fosse ridimensionato il suo peso nella definizione delle politiche comuni di una federazione di Stati non necessariamente cristiani. Con ciò, estremizzando le conseguenze del mio pensiero, se il Kenya o il neonato Sud Sudan chiedessero di essere ammessi all’Unione Europea e rispettassero le regole di cui sopra avrebbero tutti i diritti di condividere onori, oneri, vantaggi e responsabilità con gli altri Stati membri.

In conclusione, l’Europa ha tante identità che lo sceglierne una equivarrebbe ad imporre l’identità di una parte di Stati all’intera Unione. Ciò di cui c’è invece bisogno oggi, e in prospettiva futura, è la discussione senza pregiudizi dei capisaldi politici e sociali dell’identità fondante di un nuovo progetto politico che sarà tanto più forte quanto questa identità sarà inclusiva e non avrà bisogno di ulteriori aggiustamenti né modifiche mano a mano che il mondo si avvierà verso una condivisione ancora più fitta delle sue culture particolari. L’ottica dovrà essere dunque quella inclusiva di Fustel de Coulanges, senza la pregiudiziale geografica, per cui di fronte ad una chiara identità politica e sociale, le popolazioni di tutti gli Stati del Mondo potranno decidere se fare parte di questo progetto politico. La necessità di un’identità culturale è già feticistica: la vera cultura è già mondiale. E’ la politica che ha ancora bisogno di esserlo.

Fonte immagine: europa.eu

Note

[1Theodor Mommsen, Lettere agli Italiani (1870) in Alberto Mario Banti, L’età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all’imperialismo. Roma-Bari, Laterza, 2010 (I ed. 2009) pag. 306.

[2Numa Fustel de Coulanges, L’Alsace est-elle allemande ou francaise? Reponse a M. Mommsen, professeur a Berlin (1870) in Id, pag 307.

[3Ibid.

[4Novalis, La cristianità o Europa (1799), Milano, Bompiani, 2002 pag. 71

[5Id., pag. 123

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