Il deludente esito del dibattito sulle prospettive di finanziamento dell’Unione europea 2014-2020 che si è concluso nell’ultimo Consiglio europeo ha evidenziato come il procedimento intergovernativo a ventisette che caratterizza l’attuale sistema di formazione, gestione e impiego del bilancio europeo non è adeguato a promuovere la crescita, lo sviluppo e l’occupazione per fondare il rilancio economico dell’Europa. L’alternativa è rappresentata dal piano per la così detta unione economica e politica presentato nel blueprint della Commissione europea e nel documento redatto dai quattro presidenti di Consiglio, Commissione, Parlamento e Banca Centrale che prevede la creazione di “un bilancio autonomo per l’eurozona dotato di una capacità fiscale per aiutare i paesi membri ad assorbire gli shock”.
La proposta è stata oggetto di autorevoli riflessioni, tra cui quelle contenute in alcuni documenti editi dal centro studi Bruegel, in particolare A Budget for Europe’s Monetary Union, di Guntram Wolf (n. 2012/22, dicembre 2012). La riflessione prende avvio dalla storia della creazione dell’euro ed evidenzia come le proposte iniziali di accompagnarlo ad una vera unione economica non si sono realizzate, mentre le regole stabilite dal Trattato di Maastricht sono state pensate per governare una situazione di relativa stabilità, ma si sono rivelate drammaticamente inadeguate per gestire le crisi.
La creazione di un bilancio dell’eurozona aiuterebbe a restituire fiducia e credibilità sui mercati alla moneta unica e ai paesi che la utilizzano. Il suo principale scopo dovrebbe essere la politica di stabilizzazione per scongiurare il rischio di shock asimmetrici nella zona euro. L’esperienza dimostra infatti che “regional governments in a monetary union cannot provide a fiscal response to large and deep balance-sheet recessions because of the unwillingness of investors to finance external debt. National fiscal poliiy becomes ineffective. Monetary policy, by definition, does not address deep recessions that are purely regional” (p.5) [1]. Ma anche in casi di crisi che investono l’intera area monetaria la funzione di un budget di natura federale è indispensabile per invertire il trend recessivo. Le politiche fiscali regionali sono infatti poco efficienti, perché i singoli Paesi aspettano di usufruire dell’intervento dei partner e rimandano o minimizzano le politiche di stimolo; solo un intervento a livello centrale può sbloccare la situazione.
Un’ipotesi che invece non viene presa in considerazione è quella della possibilità di usare il bilancio per finanziare un grande piano di rilancio dello sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile. La proposta di un piano per la crescita è stata avanzata dalla Francia, mentre nello scenario prospettato dal Bruegel la gestione dei beni pubblici tra cui la salvaguardia dell’ambiente e il mantenimento della sicurezza sociale dovrebbe restare ancora al livello dell’Unione a ventisette.
Per quanto riguarda il finanziamento del bilancio, le risorse dovrebbero essere reperite o con l’imposizione fiscale diretta sui cittadini, che si potrebbe realizzare istituendo una tassa europea, oppure con erogazioni da parte dei bilanci nazionali. Chiaramente la prima ipotesi è preferibile in quanto il finanziamento al budget non sarebbe più basato sul metodo intergovernativo con tutte le conseguenze negative che ne derivano. Una possibilità potrebbe essere la tassa sulle transazioni finanziarie che favorirebbe la regolamentazione dei mercati e che già undici dei Paesi euro hanno adottato mantenendo però la gestione al livello nazionale. Oppure la tassa sulle emissioni di anidride carbonica, una misura che aiuterebbe la conversione della produzione verso modelli ecologicamente sostenibili.
Nello studio del Bruegel lo scenario ideale in cui istituire il bilancio ad hoc dovrebbe essere allargato a quei Paesi dell’Unione che hanno già adottato le misure necessarie per entrare nell’euro stabilendo un cambio fisso tra la loro moneta e l’euro. In seguito si presenterà la necessità di ridiscutere i rapporti economici e commerciali all’interno del mercato comune con i paesi al di fuori di quest’area.
Il tentativo di stabilire dei criteri per valutare quando un Paese ha diritto di ricevere l’aiuto dal bilancio dà luogo a diversi ipotesi. Uno dei metodi possibili è quello di considerare le variazioni del PIL che però non è più ritenuto un parametro esauriente per valutare la situazione economica. Un altro sistema potrebbe essere quello di osservare l’evoluzione del mercato interno; un altro fare riferimento al livello dello spread per calcolare l’entità del finanziamento a cui il Paese ha diritto. Naturalmente il Paese destinatario del finanziamento deve essere anche vincolato alla realizzazione di opportune riforme per rilanciare lo sviluppo e la produttività, in modo da arginare le preoccupazioni dei paesi più stabili dell’area che temono la possibilità che un paese più debole diventi dipendente dai finanziamenti dei partner. Per lo stesso motivo il periodo di tempo durante il quale erogare il finanziamento deve essere calibrato in modo da non essere troppo breve al punto da non lasciare il tempo di applicare le necessarie riforme; né troppo lungo, tanto da disincentivare il governo del Paese a cercare di sforzarsi di uscire situazione corrente.
Rispetto a questi studi che vogliono dimostrare, prima ancora di entrare nei dettagli tecnici delle ipotesi di realizzazione, la necessità di un bilancio comune per la sopravvivenza dell’area euro, alcuni economisti ritengono invece che l’istituzione di tale bilancio non sia indispensabile per risolvere la crisi. Ad esempio Daniel Gros, in una nota datata il 7 dicembre 2012, The False Promise of a Eurozone Budget, sostiene, rifacendosi all’esperienza americana, che solo una piccola percentuale dell’intervento a sostegno della ripresa di uno Stato della federazione viene operata dal trasferimento di fondi dal budget federale; e che quindi si rivelano più efficaci misure come quelle atte a realizzare l’unione bancaria, che serve anche ad impedire il blocco del mercato dei capitali, che di per sé ha una funzione decisiva nell’assorbimento degli shock.
Quello che Gros non sembra tenere in considerazione è sia il ruolo di un bilancio federale per permettere il corretto funzionamento dei meccanismi di stabilizzazione che il mercato mette in atto solo in contesti protetti dalla garanzia (in ultima istanza politica) che deriva da un bilancio unico efficace, sia il fatto che nessuna unione monetaria è sopravvissuta senza un’unica politica economica e fiscale. Per questo la sola istituzione del bilancio non è di per sé sufficiente, ma si deve anche completare l’unione bancaria in modo che a livello europeo ci sia un’istituzione che controlli l’operato delle banche e in caso di necessità sovrintenda al loro rifinanziamento. Considerando poi la disparità esistente tra i mercati del lavoro dei Paesi europei sono urgenti delle riforme che li armonizzino per ridurre la disoccupazione e aumentare la competitività.
Rimane infine aperta la questione di chi - e come - debba gestire il bilancio. Anche in questo caso vengono avanzate, a livello di riflessione teorica, diverse ipotesi. Una prima ipotesi prevede delle pratiche automatiche con delle regole decise a priori; questo metodo, anche se garantisce una certa rapidità delle decisioni, manca però di discrezionalità e di flessibilità. Una seconda ipotesi prevede di affidare le decisioni ai rappresentanti dei governi sotto il controllo della Commissione in modo che ogni situazione venga valutata singolarmente. Però questa soluzione si basa sulla necessità dell’accordo tra i governi, ed è un metodo che si è spesso rivelato lento e inadeguato.
Il nodo principale che non viene affrontato da questi studi è dunque quello della legittimità democratica, indispensabile nella misura in cui si devono decidere criteri di gestione del bilancio legittimi ed efficaci e quindi applicare le riforme che da queste decisioni derivano. La stessa imposizione fiscale necessaria per dotare il bilancio di risorse proprie richiede una rappresentanza veramente democratica. Questo si può realizzare solo a partire dalla differenziazione delle responsabilità e funzioni di controllo in seno al Parlamento europeo tra parlamentari eletti nell’eurozona e fuori di essa, su questioni di bilancio, fiscali ed economiche riferibili all’area euro. E in prospettiva con la convocazione di una Convenzione costituente per redigere una Costituzione che istituisca un governo per l’eurozona.
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