Queste elezioni italiane sono, per la prima volta, anche un fatto europeo. E assai significativo. La posta in gioco è chiara, se letta con gli occhi di chi sa che la politica nazionale è ormai parte integrante della politica europea.
Primo. L’Italia non deve assolutamente ritornare ad essere un Paese ingovernabile perché destabilizzerebbe l’intera Eurozona. Secondo. Se l’Italia è governabile, allora può dare un contributo all’accelerazione del processo in vista delle elezioni europee del 2014.
Sappiamo che la partita del 2014 potrà vedere, per la prima volta, coalizioni europee di partiti che si contenderanno la guida della Commissione sulla base di programmi alternativi. E che da questa lotta di potere potrà nascere una prima forma di governo europeo dotato di una certa legittimazione democratica.
Sappiamo anche che in questi quindici mesi che ci separano dall’elezione europea ci sono importanti obiettivi intermedi da perseguire: il consolidamento dell’unione bancaria, l’unione di bilancio, l’unione economica. Occorre dunque che l’Italia stia non solo ‘in piedi’, ma anche che abbia un governo ‘europeista’ e omogeneo, per poter dare un contributo positivo al raggiungimento di questi obiettivi.
La partita di queste elezioni italiane si svolge su due livelli di scontro, uno di potere politico puro (l’egemonia), l’altro, meno visibile e sotterraneo, sul piano della composizione dei blocchi sociali che stanno dietro le formazioni politiche.
La partita per l’egemonia politica è qualcosa che va al di là della questione di chi guiderà fisicamente il prossimo governo. Sappiamo che molto probabilmente sarà Bersani a guidarlo perché in democrazia i voti contano. Ma l’egemonia politica è un qualcosa che ha a che fare non solo con la maggioranza che si forma nel quadro nazionale, ma anche con le compatibilità del quadro europeo. In altri termini: per governare l’Italia con successo occorre che le scelte da effettuare sul piano interno siano coerenti con l’evoluzione del progetto europeo, alla cui definizione la stessa Italia deve concorrere.
La partita sulla scomposizione e ricomposizione dei blocchi sociali che alimentano le formazioni politiche è quella che evidenzia maggiormente il mutamento profondo della società italiana. È quella meno visibile, ma più reale nell’indicare il cambiamento dei comportamenti politici. Non è questa la sede per un’analisi sociologica del problema. Ma alcune cose possono essere indicate.
Primo. La caduta politica (ed irreversibile) di Berlusconi un anno e mezzo fa ha aperto il problema della rappresentanza politica del blocco sociale che lo ha sostenuto per vent’anni. Il governo ‘tecnico’ di Monti, per il solo fatto della sua esistenza e della sua politica volta a metter fine a una spesa pubblica senza controllo, ha cominciato a incrinare la solidità di questo blocco sociale che è formato non solo da imprenditori, professionisti e lavoratori autonomi (35%) ai quali si garantiva tolleranza sul piano fiscale, ma anche da clientele locali legate alla riproduzione della spesa pubblica, nella quale spesso si manifesta in Italia il connubio tra politica e malaffare.
Secondo. Il ritorno in campo del Cavaliere [1] ha questo preciso significato. Evitare la frantumazione del suo blocco sociale che, a seguito di una sconfitta elettorale, si ritroverebbe privo di una rappresentanza politica adeguata. La partita reale che si gioca con queste elezioni italiane è proprio questa. Si tratta di vedere: a) quanto tiene sul piano elettorale questo blocco sociale per la parte costituita dal mondo di quelle imprese che si barcamenano tra competizione internazionale, da una parte ed evasione fiscale e dipendenza dalla spesa pubblica, dall’altra; b) quanto il risultato elettorale inciderà sull’accelerazione della crisi di questo blocco sociale. Da questo punto di vista, è chiaro allora che la vera partita, sul piano elettorale, è quella che si gioca tra Berlusconi e Monti, perché è in questa area sociale che si tratta di decidere se sopravvivere, in quanto impresa, contando sull’assistenzialismo sociale e fiscale oppure se misurarsi fino in fondo con la competizione internazionale.
Tradotto in termini politici tutto ciò significa che occorre vedere se dalle urne esce un risultato che consente oppure no di dar vita ad una formazione politica dai connotati del riformismo europeo di tipo liberal-popolare, in un’area finora rappresentata dall’egemonia berlusconiana. Una formazione del genere segnerebbe l’inizio della fine del berlusconismo, dopo la sconfitta politica di Berlusconi. Ciò sarebbe di grande utilità anche per l’area democratico-progressista perché costringerebbe quest’ultima a definire con precisione valori e programmi alternativi all’area liberal-popolare, anziché campare di rendita sulla critica degli aspetti comici dell’anomalia berlusconiana, come ha sostanzialmente fatto per vent’anni.
Terzo. Se è stata questa Europa a buttar giù Berlusconi [2], solo un’Europa che mostra di accelerare sulla via dell’unità politica può frantumare definitivamente quel blocco sociale che da vent’anni alimenta ed è alimentato dal berlusconismo. Solo un’Europa che, con un proprio governo dotato di risorse proprie, delinea una nuova politica economica basata sullo sviluppo della società della conoscenza può mettere in moto quegli investimenti in R&S, nelle grandi infrastrutture, nelle reti energetiche e telecomunicative europee, nell’ambiente, nell’istruzione di alto livello. E, per tal via, far nascere imprese che vivono grazie allo sviluppo del mercato europeo e sulla competizione internazionale, come pure soggetti sociali affrancati dalla dipendenza della spesa pubblica nazionale. Solo un’Europa che ridisegna l’erogazione dei beni pubblici secondo i principi del federalismo e della fiscalità europea può responsabilizzare l’erogazione della spesa pubblica, spezzando la manomorta del clientelismo locale.
Ed è dunque su questo punto preciso che si può realizzare la congiunzione tra il ‘cambiamento dell’Italia e la riforma dell’Europa’: l’Europa politica come mezzo per cambiare l’Italia, l’Italia europea come mezzo per favorire il sorgere dell’Europa politica. È anche questa la battaglia di civiltà che ci pone l’elezione italiana del 24-25 febbraio 2013.
1. su 15 febbraio 2013 a 14:59, di Trevisani Giuseppe In risposta a: Una battaglia di civiltà
Gentile sig. Longo: Condivido in pieno l’analisi che fa in questo articolo, tuttavia una costatazione la devo fare: Qual’è la ragione per cui la Germania svolge un ruolo egemone in ambito UE e UM? Certo non è solo per la dimensione della sua popolazione e nemmeno per la grande capacità di produrre, esportare ed influenzare il commercio mondiale, nonostante queste siano componenti importanti che concorrono alla sua ledership Europea, ma sopratutto ciò che incute riverenza è il suo assetto politico sociale ed istituzionale. E’ alquanto paradossale presentarsi ai consessi Comunitari armati di buona volontà a spingere la causa del Federalismo, come noi MFE la intendiamo, avendo alle spalle una situazione politico-istituzionale poco credibile e o quantomeno inaffidabile che, suscita sorrisetti e frasi del tipo - prima di pretendere l’evoluzione delle istituzioni comunitarie mettete a posto le vostre istituzioni nazionali-. Questo per dire che se non andranno in porto le riforme, in primo luogo istituzionali-tipo di governo,riassetto del sistema amministrativo territoriale dello stato, federalismo, giustizia- non facciamo illusioni, non acquiosiremo la credibilità, che un grande paese fondatore dell’UNIONE EUROPEA dovrebbe avere.
2. su 16 febbraio 2013 a 12:52, di Luciano Corradini In risposta a: Una battaglia di civiltà
Occorre un’Italia compatibile col processo di unificazione europea e un’Europa rispettosa, che sappia aiutare l’Italia a uscire dalle sue difficoltà e dai suoi colpevoli ritardi.
3. su 17 febbraio 2013 a 19:04, di Antonio Longo In risposta a: Una battaglia di civiltà
Sul rapporto tra Italia ed Europa noi federalisti abbiamo indicato nel concetto di «Italia europea» l’esigenza che il nostro Paese diventi, attraverso una serie di riforme, credibile. In tal modo potrà svolgere un ruolo propulsivo verso la federazione europea, definendo, assieme agli altri Paesi, modalità e tappe. Su questo punto rimando ad un mio articolo di un paio di anni fa, anticipatore degli eventi. Cfr.http://www.eurobull.it/Un-Governo-d-emergenza-costituzionale-per-un-Italia-europea. Quanto all’egemonia tedesca, essa è tale perchè in campo economico e politico l’Unione è un sistema ancora intergovernativo. Quindi, contano ancora i rapporti di forza tra gli stati. Per questo occorre andare verso la federazione politica.
4. su 21 febbraio 2013 a 16:38, di Patrizio In risposta a: Una battaglia di civiltà
Condivido “in toto” la sua analisi sul berlusconismo. Desidererei sapere, invece, accertato il peso non trascurabile che la chiesa cattolica continua ad avere sulla politica italiana, cosa ne pensa circa il ruolo che questa istituzione(e i valori che essa propone) può avere in ordine alla formazione di una coscienza più spiccatamente europeista in Italia anche nella prossima tornata elettorale.
5. su 21 febbraio 2013 a 23:42, di Patrizio Maccari In risposta a: Una battaglia di civiltà
Condivido “in toto” la sua analisi sul berlusconismo. Desidererei sapere, invece, accertato il peso non trascurabile che la chiesa cattolica continua ad avere sulla politica italiana, cosa ne pensa circa il ruolo che questa istituzione(e i valori che essa propone) può avere in ordine alla formazione di una coscienza più spiccatamente europeista in Italia anche nella prossima tornata elettorale.
6. su 25 febbraio 2013 a 19:54, di Antonio Longo In risposta a: Una battaglia di civiltà
Mi dispiace, ma non ho un’opinione precisa in merito. L’unica cosa che posso dire è che le religioni - e in in particolar modo la cristiana-cattolica - sono generalmente universalistiche, quindi psicologicamente favorevoli all’unità europea. Ma questo non può tradursi necessariamente in comportamenti politici conseguenti, perchè il compito della Chiesa è altro e quando si confronta con il potere tende generalmente a confrontarsi con quello esistente, non quello da costruire.
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