Una politica industriale europea nel settore dell’energia

, di Domenico Moro

Una politica industriale europea nel settore dell'energia

Circa cinquant’anni dopo la nascita della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio e dell’Euratom, l’energia, invece di unire, divide l’Europa. Anche se questa volta non si tratta di evitare una guerra, la posta in gioco non è meno importante per il futuro dell’Europa: si tratta di decidere se l’Unione europea vuole diventare una protagonista del mercato mondiale, ristrutturando il proprio sistema produttivo al fine di dargli una dimensione europea, oppure divenire un mercato satellite dei grandi mercati continentali: da quelli tradizionali, come il mercato americano, a quelli nuovi, come il cinese l’indiano.

L’energia è il settore-chiave di un’economia moderna e lo è tanto più per l’Europa, che dipende per circa il 50% dalle forniture estere per la copertura del proprio fabbisogno, una dipendenza destinata ad aumentare fino al 70-80% nell’arco dei prossimi venti anni. La prova che questa dipendenza richiede una politica europea si è avuta quando, con il nuovo anno, è scoppiata la crisi del gas tra la Russia, uno dei principali fornitori europei, e l’Ucraina. Lo scontro ha messo a dura prova i rapporti tra questi due paesi, ma l’opinione pubblica europea ha colto l’aspetto di lungo termine della vicenda, costituito dalla dipendenza dell’Unione dalle forniture di gas russo. Come è mancata una risposta europea alla crisi russo-ucraina, nel senso che l’Unione non ha proposto l’adozione, fino ad oggi, di misure in grado di ridurre la dipendenza energetica dall’estero e dalla Russia in particolare, così è mancata una risposta europea quando il governo spagnolo ha avanzato riserve sulle iniziative dell’industria tedesca dirette a crescere sul mercato spagnolo, con la proposta di acquisto di una delle sue principali aziende energetiche ed il governo francese ha promosso la fusione tra Gaz de France, impresa controllata per l’80% dallo Stato francese, e Suez, per ostacolare l’acquisizione di quest’ultima da parte dell’Enel.

Queste reazioni nazionali non possono essere passate sotto silenzio, perché la posta in gioco è molto alta: il futuro del mercato unico europeo. Quando iniziò a circolare l’euro, l’Unione era ormai entrata in una fase avanzata di liberalizzazione del mercato dei capitali, dei beni e servizi e del lavoro. Era, quindi, ragionevole attendersi una forte spinta dell’iniziativa privata verso la razionalizzazione dell’apparato produttivo su scala europea. All’atto pratico, poco di tutto questo si è verificato: l’industria europea se, paradossalmente, escludiamo gli interventi di capitali extraeuropei, come quelli dell’indiana Mittal, ha compiuto qualche timido passo avanti verso forme di concentrazione europea. Oggi che questo processo sembra essersi messo in moto, i governi nazionali esitano ad assecondarlo fino in fondo, soprattutto quando tocca un settore strategico come l’energia.

Come ha messo in evidenza un recente rapporto della Commissione Attività Produttive della Camera, l’Unione europea ha fonti di approvvigionamento energetico diversificate, nel senso che la Francia ottiene una quota sensibile di produzione di energia elettrica dal nucleare, la Germania dal carbone e l’Italia dal gas. Il problema è, però, che non c’è una politica energetica europea e, nonostante la crisi russo-ucraina, non è ancora stata avviata la realizzazione di una rete di trasporto di energia integrata su scala continentale e di una riserva strategica europea, sul modello dell’americana Strategic Petroleum Reserve, istituita dal governo USA all’indomani della crisi petrolifera degli anni ’70. La dipendenza energetica europea dalle forniture di gas algerino, medio-orientale e russo, sostenuta da crescenti consumi, è destinata ad aumentare, non a ridursi.

Di fronte a questa prospettiva, l’Unione reagisce con misure nazionali, mentre il problema della scarsità di energia è mondiale e la struttura dell’industria richiede dimensioni continentali, soprattutto, un’integrazione dell’industria su scala europea, non solo nazionale. La reazione francese al lancio di un’Offerta Pubblica d’Acquisto ostile, da parte dell’Enel sulla Suez, con la proposta della fusione di quest’ultima con Gaz de France non sembra attaccabile dal punto di vista formale.

Infatti, la legislazione europea sulle OPA, peraltro approvata a suo tempo dal Parlamento europeo con il concorso della principale forza politica al governo in Italia, consente l’adozione di misure difensive per scoraggiare acquisizioni non gradite di imprese nazionali. Dal punto di vista sostanziale, il comportamento del governo francese, come di quello spagnolo nel caso di Endesa e, nel recente passato, del governo italiano, quando EDF acquistò una quota di partecipazione in Edison, ostacola oggettivamente il processo di concentrazione su scala continentale, che favorirebbe la nascita di “campioni europei”.

Il fatto è che il processo di consolidamento dell’industria su scala europea è stato messo in moto dal mercato, senza che vi sia un governo europeo dell’economia in grado di offrire garanzie all’opinione pubblica, ai governi ed ai parlamenti europei in merito al fatto che questo processo risponda agli interessi ed alle preoccupazioni dei cittadini europei. La responsabilità, però, non è solo dei governi nazionali (che, come ricordava Spinelli, sono sia l’ostacolo che lo strumento del processo di unificazione europea), quanto dei partiti politici e delle istituzioni europee che, quando si presenta loro l’occasione, esitano ad attribuire all’Unione più poteri in materia di politica industriale.

Quale avrebbe potuto essere una proposta europea in un settore strategico come quello dell’energia, a fronte delle preoccupazioni nazionali di perdere ulteriore potere in un settore sensibile che non può essere lasciato solo alle forze di mercato? Innanzitutto, la richiesta di trasformare l’Euratom in una vera e propria Agenzia europea dell’energia come strumento di regolazione del mercato, incaricata di promuovere: il risparmio energetico, la diversificazione delle fonti geografiche di approvvigionamento, la diversificazione delle fonti energetiche a favore di quelle rinnovabili, la realizzazione e gestione di una Riserva Strategica di Energia - gas e petrolio - europea, l’accelerazione della ricerca applicata sull’energia nucleare da fusione, il passaggio dalla fissazione del prezzo del petrolio e del gas in dollari a quello di un paniere di valute di cui faccia parte anche l’euro e, quindi, al pagamento dell’energia in valuta europea. In secondo luogo, se i governi nazionali, per certi aspetti giustamente, esitano a dare al solo mercato il controllo di un settore strategico come l’energia (non succede neppure negli Stati Uniti e, tanto meno, in Russia), si può rispondere con la richiesta di dare più poteri in campo industriale alla Commissione europea e consentirle di dar vita ad una o più imprese pubbliche europee nel settore dell’energia. Questa non sarebbe una novità in assoluto.

Nel settore della difesa, è già successo e l’esempio migliore è la nascita della società European Aeronautic Defence and Space Company (EADS)che, oltre a controllare Airbus, è presente nella produzione di velivoli per il settore militare, vale a dire in un campo di attività altrettanto sensibile e strategico come quello dell’energia. Ma,soprattutto, si può ricordare l’”Impresa comune Galileo”, un successo tecnologico e commerciale europeo, nato dalle proposte della Commissione europea ed al cui capitale partecipano, oltre a quest’ultima, anche i governi nazionali, attraverso l’Agenzia Spaziale Europea. Quello, però, che tocca principalmente ai federalisti ricordare è che le preoccupazioni suscitate dall’integrazione dell’industria su scala europea non si sarebbero poste nei termini in cui si stanno attualmente discutendo in Europa se fosse entrata in vigore la Costituzione europea. Quest’ultima, come nel caso della tanto discussa Direttiva Bolkestein, avrebbe consentito di tenere conto efficacemente dei timori dei cittadini europei, perché sarebbe nato un esecutivo europeo in grado di promuovere, nell’esercizio delle sue funzioni, la ristrutturazione dell’apparato industriale europeo ed il Parlamento europeo avrebbe avuto il compito di vigilare affinché questa politica venisse portata avanti nel rispetto degli interessi del popolo federale europeo.

Photo: (cc) blumsy

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