Unione africana, Unione europea, e riforma dell’onu

, di Guido Montani

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Unione africana, Unione europea, e riforma dell'onu

Il dibattito sulla riforma dell’ONU potrebbe produrre risultati importanti, forse rivoluzionari, per quanto riguarda la costruzione di un nuovo ordine internazionale fondato sui principi della democrazia.

Le iniziative più interessanti provengono dall’Africa e dall’Europa, dove il processo di integrazione su scala continentale ha già prodotto istituzioni sovranazionali.

I partecipanti al vertice di Abuja dell’Unione africana, agli inizi di febbraio 2005, hanno deciso di creare una commissione di 15 Ministri degli esteri per presentare al Segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, le proposte di riforma del Consiglio di sicurezza per conto dell’Unione Africana. A questo proposito, il Presidente sudafricano, Thabo Mbekiha ha sostenuto che l’allargamento del Consiglio non può avvenire senza la concessione del diritto di veto ai nuovi membri. Poiché i cinque membri permanenti attuali - sostiene Mbeki - dicono di voler conservare il diritto di veto, allora i nuovi membri devono disporre del medesimo diritto”. In sostanza, l’Unione africana si oppone al fatto che vi siano membri di serie A, con diritto di veto, e membri di serie B, privi di poteri. Se l’Unione africana entrerà nel Consiglio di sicurezza, rivendicherà dunque un diritto di veto. Questa presa di posizione dell’Unione africana rappresenta un solenne monito per gli europei.

L’Unione europea, infatti, non ha il coraggio di rivendicare non solo una propria presenza unitaria nel Consiglio di sicurezza, ma tanto meno un diritto di veto. La viltà europea si spiega, in parte, con il fatto che Francia e Gran Bretagna non voglio rinunciare al loro veto nazionale, in parte con il fatto che la Germania pretende di diventare un “grande” entrando nel Consiglio di sicurezza e, in parte, con il consueto timore reverenziale nei confronti del governo statunitense, che gli europei non osano sfidare apertamente, ponendosi sul suo stesso piano. Ciò nonostante, la politica mondiale sta spingendo forze diverse verso una medesima direzione.

Alla riunione del G7, le proposte degli europei per il lancio di un piano consistente di aiuti per l’Africa è stato silurato dagli Stati Uniti. Il Piano europeo è giustificato dalla necessità di raggiungere gli obiettivi che l’ONU (Stati Uniti inclusi) ha approvato, cioè dimezzare la povertà nel mondo entro il 2015. La Gran Bretagna ha proposto l’avvio di una IFF (International financial facility) che consentirebbe di raddoppiare gli aiuti da qui al 2015. La Francia ha promosso uno studio (Rapporto Landau) per una tassa mondiale (sui viaggi internazionali, sui carburanti inquinanti, sui capitali, ecc.) che potrebbe consentire, se realizzata, di raggiungere il medesimo obiettivo.

Dopo il rifiuto statunitense, gli europei potrebbero decidere di avviare le loro iniziative - quella inglese e quella francese sono complementari - almeno sul piano europeo. L’allora Presidente di turno del Consiglio europeo, il lussemburghese Claude Junker ha dichiarato: “Aspettiamo una proposta della Commissione, che è d’accordo: quindi, il Consiglio dei Ministri potrà approvarla”.

Potrebbe trattarsi di una tassa molto piccola, come il prelievo di un euro su ogni biglietto aereo. Tuttavia, rappresenterebbe il primo passo concreto nella giusta direzione: una tassa europea di solidarietà per lo sviluppo sostenibile dei paesi più poveri del mondo. Se gli europei volessero essere coerenti con se stessi dovrebbero unire a questo piano di solidarietà euro-africana quello per la riforma dell’ONU.

L’Unione europea e l’Unione africana potrebbero decidere di entrare insieme nel Consiglio di sicurezza, per cominciare a costruire un ordine mondiale fondato sulla cooperazione inter-continentale, poiché Cina, India, Brasile e Russia già rappresentano sub-continenti. Unione europea e Unione africana potrebbero anche rinunciare al diritto di veto, a patto che vi rinuncino tutti.

Ciò richiederebbe una riforma ancora più radicale dell’ONU (come la trasformazione dell’Assemblea generale in un Parlamento dei popoli). Ma, in una fase in cui si rimettono in discussione le vecchie regole del gioco, occorre avere il coraggio di guardare lontano. Questi orientamenti potrebbero certamente essere fatti propri da un governo europeo deciso a far valere il punto di vista europeo nel mondo. Purtroppo, l’Unione non ha un governo capace di agire. La sua politica estera è appannaggio di governi nazionali scioccamente ambiziosi e vanagloriosi. Uniti, gli europei potrebbero mutare le sorti del mondo. Divisi, finiranno per subire le decisioni dei paesi più forti, in primo luogo degli Stati Uniti.

Immagine : Randy Galang

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