Parliamo di ambiente e di climate-skeptic, e di come questo possa essere un problema per la battaglia ambientalista

Vedo ma non credo, il problema della scienza climate-skeptic

, di Mariasophia Falcone

Vedo ma non credo, il problema della scienza climate-skeptic
Photo by Sergei Akulich on Unsplash, https://unsplash.com/photos/-heLWtuAN3c

Le crisi globali degli ultimi anni, inclusa quella sanitaria attuale, hanno messo in secondo piano il dibattito sulla crisi climatica. Tuttavia, il malessere sociale che hanno causato ha portato all’incremento di posizioni scettiche e negazioniste nei confronti della crisi climatica sia tra l’opinione pubblica che nella politica.

Recentemente le posizioni negazioniste (quindi che negano l’esistenza del cambiamento climatico) hanno lasciato il posto ad altre che possono essere definite come “climate-skeptic”, accomunate dall’uso di uno scientific framing, pur essendo di fondo anti-scientifiche (o con un bias anti-scientifico) sia per il contenuto che per il fine. Questo tipo di posizioni sono profondamente diverse da quelle negazioniste: per quanto riguarda il contenuto, non mirano solo a screditare la comunità scientifica che sostiene l’esistenza del cambiamento climatico antropogenico, ma tenta di rovesciare tutto ciò che sappiamo di esso, ponendolo come una fase (non negativa ma neutra) che sta attraversando il nostro pianeta e i cambiamenti che ne derivano sono normali nel ciclo di vita della Terra. Sono inoltre diverse anche per il loro intento: se le posizioni negazioniste rifiutano di entrare nel dibattito sulla crisi climatica perché lo negano del tutto, i climate-skeptics invece vogliono manipolarlo, ma non dove effettivamente un dibattito c’è, quindi su un eventuale aspetto di policies, ma laddove non c’è spazio di dibattito, ovvero sul dato scientifico.

Da un punto di vista disciplinare la scienza climate-skeptic si sovrappone con quella mainstream, includendo l’ecologia, la meteorologia e tutte le scienze multidisciplinari sul clima, comprese le scienze ambientali. Questo aspetto non è da sottovalutare, in quanto dimostra come, a livello di discipline coinvolte, questa pseudo-scienza scettica del cambiamento climatico ormai coincide in parte con la scienza mainstream e non ne è al di fuori (Niederer, 2013).

Infatti, lo studio condotto da Niederer (2013) ha rivelato come gli scettici del cambiamento climatico pubblichino sulle quattro maggiori riviste sul clima e su altre pubblicazioni accademiche di altrettanto alto profilo come Nature, Science, e Journal of Climate. È ancora più evidente quindi la sovrapposizione tra la scienza mainstream, che sostiene il cambiamento climatico antropogenico, e la pseudo-scienza climate-skeptic, rendendo più labile il confine fra scienza e disinformazione. In questo modo, gli scettici, non più rappresentati come una “frangia estremista/negazionista” o come una scienza underground, entrano di diritto nella scienza mainstream e nella ricerca sul cambiamento climatico. Si va, infatti, oltre il rischio di fare disinformazione, ma di camuffarla con un travestimento che ai più è impercettibile, dato che non tutti riescono ad individuare i meccanismi linguistici impliciti o verificare la correttezza di tutti i contenuti scientifici.

Questi scettici sono in realtà scettici “di professione”. Infatti non si occupano solo di mettere in discussione i dati accertati sul cambiamento climatico antropogenico, ma si occupano di altri temi che sono simili dal punto di vista della logica che sfruttano come il fumo, la “mucca pazza” (encefalopatia spongiforme bovina) e l’agricoltura biologica. Non è di certo una sorpresa che questi autori, direttamente finanziati o collegati a istituti che ricevono sovvenzioni da multinazionali del petrolio, think tank ultraconservatori made in USA e presunti istituti scientifici legati ai partiti sovranisti in Europa, si occupino di quei temi che meglio si prestano alle logiche del complotto, sfruttando il senso di emarginazione delle persone, che, seppur per le giuste ragioni, si sentono progressivamente al di fuori del dibattito pubblico sui grandi temi di oggi. Infatti, una delle argomentazioni più diffuse è che gli scienziati del clima facciano parte di una grande cospirazione politica finalizzata ad aumentare le regolamentazioni statali, le tasse e in generale la presenza dello stato nella vita dei cittadini. È evidente come ci siano pattern di argomentazioni ricorrenti simili a quelli quelle delle forze sovraniste. E che ci ricordano come sia in atto un’unione tra estrema destra, nazionalismo e movimenti anti-establishment che parte dagli Stati Uniti per arrivare in Europa, come rivelato dalle dichiarazioni di Steve Bannon degli ultimi anni.

Alla presenza sulle maggiori riviste scientifiche si aggiunge quella nella blogosfera, come illustrato ampiamente da Sharman (2014), che evidenza come la maggior parte dei blog climate skeptic in Europa utilizzino l’inglese come lingua principale e riconducano a piattaforme basate negli USA. I blog, per la loro configurazione e posizionamento come medium, hanno una più forte capacità di penetrazione e di trasmettere i concetti rispetto ai media tradizionali, reclamando così il diritto ad essere mediatori del discorso pubblico al pari di giornali e telegiornali, ed espletare la stessa funzione democratica. Ciò che rende i blog il terreno ideale per questi temi è il fatto che chiunque è ammesso in ugual misura come partecipante e attore. In questo modo la blogosfera climate skeptic diventa un’agenzia di ricontestualizzazione del discorso scientifico, facendo sì che un ampio pubblico di non-specialisti vi si senta incluso. La presenza degli scettici online, come in una vera piazza pubblica, rischia di favorire il cosiddetto effetto echo chamber, in cui la presenza di notizie già in linea con le opinioni degli utenti che le cercano e le leggono finisce per rafforzare le loro opinioni aumentando la polarizzazione del dibattito (Boykoff, 2013).

Uno degli aspetti più pericolosi della diffusione delle posizioni climate-skeptic è l’utilizzo di un approccio in apparenza “moderato” nei confronti della scienza del cambiamento climatico di cui sembra criticarne solo alcune parti. In questo modo, la scienza climate-skeptic tenta di apparire oggettiva e imparziale, seguendo le norme del dibattito scientifico ma solo in maniera superficiale, perché non c’è mai prova dei dati forniti o dei ragionamenti fatti ma solo un’imitazione della scientificità.

In questo, la vera sfida è saper riconoscere questo tipo di argomentazioni e capire che sono strategie di mitigazione usate proprio perché c’è, in realtà, un consenso sociale sulla tutela del pianeta e del clima sempre più diffuso. Allo stesso tempo però, rimane il rischio che questo tipo di discorso, proprio perché mitigato rispetto a quello negazionista e perché usa frame valoriali e un linguaggio più comune, entri nei canali di comunicazione mainstream e venga legittimato. O Ancora, c’è il rischio che le persone non siano più sicure di cosa sia la scienza e cosa no, come funzioni, o come possa e debba avere un ruolo principale nel policy making per la battaglia alla crisi climatica.

Se si guardano attentamente il modo in cui le argomentazioni climate-skeptic vengono formulate, si capisce come nel dibattito si scontrino due logiche diverse che rappresentano due concezioni diverse della realtà. La logica scettica ha sempre le stesse caratteristiche: è individualista, capitalista e domina l’idea secondo la quale limitare alcuni degli effetti del modello capitalistico attuale è in effetti una limitazione della libertà individuale. Al contrario, la logica di chi crede nel cambiamento climatico antropogenico è più egualitaria e considera rischioso per il pianeta il non-controllo sul sistema capitalista e un comportamento individualista sfrenato (Hoffman, 2011). Nella visione degli scettici il cambiamento climatico antropogenico è un concetto legato strettamente all’ideologia liberale, al comunismo e il socialismo, costituisce un attacco a tutto il loro sistema di valori e all’economia occidentale, un’intrusione del governo nelle loro vite. Nel momento in cui il dibattito è così polarizzato, poiché richiama la dimensione più intima dell’individuo e quindi i suoi valori individuali, le differenze valoriali e del discorso sono tali da causare posizioni esclusive, ristrette e rigide che sfociano in strategie di in-grouping e di out-grouping. Un dibattito polarizzato riguarda due problemi differenti e non bastano i dati scientifici per arrivare ad una sintesi perché bisogna far coincidere due sistemi di valori praticamente opposti. Tra le due logiche c’è uno scisma profondo perché le argomentazioni principali sono basate su diverse visioni del mondo e diversi frame, creando forte incomunicabilità e impossibilità di sintesi (Hoffman, 2011).

Potrebbe sembrare che la diffusione delle posizioni scettiche non causi un problema a chi si occupa di diffondere e sostenere la lotta al cambiamento climatico antropogenico, ma in realtà quello che questa situazione suggerisce a noi che stiamo dall’altro lato della barricata è che non bastano solo i dati per diffondere il messaggio politico, che non basta solo basarsi sui fatti per essere progressisti. Questa crisi verrà superata soltanto se si terrà conto delle implicazioni ideologiche e valoriali del cambiamento climatico e tenendo conto di esse nel progettare le policy responses. I nostri avversari nella lotta al cambiamento climatico sono tutt’altro che disorganizzati e ormai fanno parte a tutti gli effetti della produzione di una scienza alternativa, ma non per questo con tratti meno mainstream, presente sugli spazi occupati tradizionalmente dal discorso scientifico.

Il fatto che il cambiamento climatico non sia un cambiamento visibile tutti i giorni, e che ancora non sappiamo come si manifesterà a livello locale, lascia spazio ad una profonda complessità per la situazione degli anni a venire. In questo sarà fondamentale pianificare una strategia che comprenda anche il livello valoriale e la parte emotiva per provare a dare maggior sicurezza alle persone di fronte a questa sfida: “the planet cannot carbon-tax its way out of trouble” (McKiea, & Galloway, 2007). Infatti, sebbene il cambiamento climatico ponga rischi per l’umanità, in questa fase sono in pochi a vederli e viverli direttamente, soprattutto chi non vive nelle regioni dell’Europa o dell’America del Nord. Per questo motivo, molti vedono il problema solo attraverso loro lenti culturali e valoriali. Questo ci richiede uno sforzo maggiore nel fare leva sulla parte emotiva delle persone, sostituendo alla paura, sfruttata da scettici e negazionisti, la solidarietà tra le comunità umane e l’ambiente, attraverso un messaggio politico che finalmente vada oltre gli orizzonti elettorali.

Come per altri temi, i movimenti sovranisti spopolano sul web e costituiscono una minaccia seria al consenso che finora a fatica il cambiamento climatico antropogenico si è costruito, avendo inoltre dalla loro i social media che per loro natura e per l’effetto echo chamber galvanizzano le posizioni più estreme. Per questo è necessario un ruolo attivo di tutte le forze progressiste: non basta pensare che le persone sceglieranno la parte giusta da cui stare in questa battaglia epocale, ma bisogna costruire un fronte per frenare i rischi per il pianeta e per la democrazia. Per fronteggiare la crisi climatica non solo servono quindi, gli strumenti scientifici per far fronte all’emergenza, ma gli strumenti culturali e sociali per far fronte alla questione epocale di come l’uomo possa abitare il pianeta terra in armonia con gli ecosistemi.

Breve bibliografia

Boykoff, M. T. (2013). Public enemy no. 1? Understanding media representations of outlier views on climate change. American behavioral scientist, 57(6), 796-817.

Hoffman, A. J. (2011). Talking past each other? Cultural framing of skeptical and convinced logics in the climate change debate. Organization & Environment, 24(1), 3-33.

Mckiea, D., & Galloway, C. (2007). Climate change after denial: Global reach, global responsibilities, and public relations. Public Relations Review, 33(4), 368-376.

Niederer, S. (2013). ‘Global warming is not a crisis!’: Studying climate change skepticism on the Web. NECSUS. European Journal of Media Studies, 2(1), 83-112.

Sharman, A. (2014). Mapping the climate sceptical blogosphere. Global Environmental Change, 26(1), 159-170.

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