In ogni caso il tema scottante dell’indipendenza energetica europea (o più esattamente della dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia di Putin...) occupa e perturba le relazioni “euro-russe” almeno dall’inverno scorso.
Una questione delicata che ha recentemente dato luogo alla redazione di un « Libro Verde » appositamente dedicato a questo tema da parte della Commissione Europea. Una questione la cui risoluzione è stata recentemente proclamata come una delle priorità strategiche dell’attuale presidenza finlandese dell’Unione.
In breve, ad oggi appare molto chiaro che bisogna ormai - per evitare nuove crisi energetiche come quelle dell’inverno scorso - implementare una politica energetica europea integrata. Allora: che ne sarà dell’Europa dell’energia?
Un’Unione Europea dipendente
Oggi più del 50% del gas naturale e più del 75% del petrolio consumato nell’Unione europea sono importati da paesi esterni all’UE. In nostri principali fornitori, solo di gas naturale, sono la Russia, la Norvegia e l’Algeria (che rappresentano rispettivamente il 33%, il 30% e il 25% delle importazioni per i paesi dell’UE-15).
Ma da qui a una ventina d’anni e con l’esaurimento dei giacimenti norvegesi, questa dipendenza energetica degli Stati Membri dell’Unione Europea nei confronti della Russia aumenterà certamente in modo considerevole.
Nel dettaglio, la parte di gas russo nelle importazioni europee rappresenta tra il 90 e il 100% del consumo di gas naturale nei paesi baltici e in alcuni paesi dei Balcani [1], dal 70% all’80% circa per certi paesi dell’Europa centrale e balcanica [2], circa il 60% in Polonia e Turchia, circa il 50% in Ucraina e Bielorussia, circa il 33% in Germania e Croazia, e circa il 25% in Francia e Italia [3].
Quando il nostro principale fornitore si fissa dei nuovi obiettivi politici...
In effetti, il principale produttore (e primo esportatore mondiale) di gas naturale è oggi proprio la Russia [4], che possiede oggi delle riserve di gas naturale stimate in circa 50.000 miliardi di metri cubi [5] . La produzione [6] e la spedizione di questa risorsa sono oggi assicurate dall’impresa semi-pubblica Gazprom, che ad oggi è il primo consorzio del gas al mondo e di cui lo stato russo detiene il 51% del capitale. E’ anche l’impresa la cui cifra d’affari rappresenta oggi da sola circa il 7% del PIL della Russia...
Tuttavia, il governo russo si è recentemente posto dei nuovi obiettivi in termini di politica estera e in materia di politica energetica. Si tratta sia di assicurarsi nuove parti di mercato in un mercato europeo delle energie che oggi è in piena espansione, sia di utilizzare le proprie risorse energetiche come strumento di pressione al fine di portare la Russia alla ribalta della scena mondiale e di restituirle l’influenza e il rango internazionale cui questa antica potenza imperiale aspira visibilmente ancora oggi [7] .
Abbiamo così visto l’inverno scorso come la Russia ha usato e abusato di questa “arma energetica” per chiamare all’ordine i suoi vecchi satelliti post-sovietici (Ucraina, Georgia, Armenia, ecc.) che avevano allora imprudentemente dichiarato in via ufficiale di desiderare un’apertura verso l’Occidente, piuttosto che verso la Russia.
Il tutto in un contesto geopolitico molto particolare di ritorno della Russia sulla scena internazionale in cui, come si è visto, sembra che il 50% del prezzo economico ufficiale sia di fatto di natura strettamente politica. Allo stesso modo che in occasione della crisi energetica dell’inverno scorso, si sono visti certi paesi dell’Unione europea soffrire di un approvvigionamento energetico insufficiente.
Così la Polonia, la Romania e l’Italia (per esempio) hanno visto le consegne di gas tagliate fino al 40% di ciò che prevedevano i loro contratti iniziali di approvvigionamento. Per i paesi dell’Unione europea, questo è suonato come un avvertimento poiché si poneva loro la questione della sicurezza e della continuità delle nostre consegne di gas naturale provenienti dalla Russia.
Una crisi benefica?
La recente crisi energetica del gas dell’inverno scorso ha dunque permesso di portare alla ribalta i problemi di dipendenza energetica dell’Unione europea (e della mancanza di coordinamento in materia da parte degli Stati membri). Una crisi la cui ampiezza ha in ogni caso permesso di meglio percepire la necessità di un vero approccio comunitario alla politica energetica.
In effetti, i trattati attualmente in vigore non offrono una base giuridica specifica in materia di energia. E nell’ipotesi in cui, domani, arrivasse una nuova crisi energetica, le istituzioni europee non potranno che fare delle “raccomandazioni”. Niente di più.
L’impotenza comunitaria in materia è eloquente. Così gli esperti della Commissione ammettono essi stessi di non conoscere il vero livello delle riserve dell’UE (poiché le statistiche sono impostate indipendentemente in ogni paese e non sono di competenza delle autorità comunitarie). Ma c’è di peggio: anche se la Commissione disponesse di queste statistiche, non saprebbe che farsene dato che la politica energetica comune resta ad oggi chiaramente ancora da costruire Fonti : « A Bruxelles, on plaide l’impuissance », [8] .
Così, al momento attuale, per la mancanza di basi giuridiche, le azioni relative a tale questione si declinano oggi nell’UE nel solo quadro delle diverse politiche comunitarie (ambiente, relazioni esterne, ecc.). A limitare la trasparenza è anche l’efficacia nel prendere le decisioni. E questo sia a livello politico che industriale.
Cercare di stabilire un partenariato energetico equilibrato con la Russia
Questo perché, quando la questione del recente rialzo del prezzo del petrolio aveva già rilanciato il dibattito in materia, si può dire oggi che questa crisi del gas improvvisa e insistente ha rinforzato la necessità di costruire un vero approccio comunitario in termini di politica europea dell’energia. Il tutto cercando di stabilire un partenariato equilibrato con la Russia.
In effetti oggi la Russia ha quel petrolio e quel gas senza i quali l’Europa gelerà il prossimo inverno. E l’Europa, per comprarli, ha quei soldi senza i quali la Russia sarà condannata alla miseria. Nessuno dei due partner può quindi rinunciare ai servizi dell’altro. Questo perché la Russia ha sì minacciato di esportare la sua energia altrove, ma non potrà certamente farlo prima di quindici anni.
E l’Europa pretende di sbarazzarsi dell’invadente Gazprom, ma avrà bisogno almeno dello stesso tempo perché altri fornitori e nuove centrali atomiche assicurino il suo approvvigionamento energetico [9] . Da qui l’interesse a provare a stabilire con la Russia un partenariato energetico slegato da tutte le considerazioni politiche “neo-imperiali”.
La Finlandia, attualmente a capo della Presidenza semestrale del Consiglio dell’Unione europea, si propone di aiutare la Russia a svilupparsi per lo sfruttamento delle proprie risorse naturali da destinare ai suoi “clienti” europei. Per farlo, la Finlandia - che, contrariamente all’Ucraina, può felicitarsi di aver stretto con il suo grande vicino delle relazioni energetiche fidate (sebbene sia dipendente al 100% dal gas russo...) - ha recentemente fatto un certo numero di proposte.
Tra le recenti proposte finlandesi, dalla voce del suo ministro delle finanze M. Eero Heinäluoma [10] , quella di associare più strettamente la “Banca Europea degli Investimenti” (BEI) a dei futuri progetti di sviluppo energetico in Russia. E questo, nel quadro tecnico di “joint-ventures euro-russe” e di uno “sviluppo condiviso”.
Verso un’Europa dell’energia ?
In occasione della riunione ad Hampton Court, nell’ottobre del 2005, il Consiglio Europeo ha dato mandato alla Commissione Europea di studiare “la questione di un approccio energetico comune rinforzato”.
La stessa Commissione Europea ha pubblicato, lo scorso marzo, un « Libro Verde » appositamente dedicato a questo tema [11] in cui cerca di sviluppare un’analisi strategica comune e verosimilmente europea delle questioni energetiche: un documento in cui la Commissione avanza anche un certo numero di proposte per migliorare il funzionamento del mercato dell’energia così come la sicurezza dei nostri approvvigionamenti. E questo nel quadro di un’economia detta di “sviluppo durevole”.
Grazie a questo ’’Libro Verde’’ e grazie alla presa di coscienza del problema da parte delle opinioni pubbliche europee (e dei loro governanti...), si spera che la politica comunitaria dell’energia faccia dei grandi passi. Al punto che una tale prospettiva sembra infine essere seriamente esaminata dalle autorità comunitarie e dagli Stati membri, come sembra essere stato il caso del “summit europeo” dello scorso marzo.
E al punto che una tale prospettiva sembra oggi seriamente reputata e sostenuta dalla maggioranza dei cittadini dell’Unione [12] anche se resteranno da discutere le modalità di una tale politica energetica comune e da prendere certe decisioni come scegliere di puntare sul nucleare, di sviluppare le energie rinnovabili e alternative e/o di investire nello sviluppo della Russia (e delle sue infrastrutture).
Avremo quindi presto questa “Europa dell’energia”? In ogni caso, è stato convenuto - a conclusione del summit europeo dello scorso marzo - che la Commissione Europea dovrà ormai presentare ogni anno agli Stati membri un esposto circostanziato della situazione su questo preciso tema.
Il Consiglio e la Commissione Europea sono stati invitati a preparare « un insieme di azioni assortite in un calendari preciso». In breve, con tali buone decisioni, è chiaro che la riflessione su questo tema non può che proseguire...
Ben inteso, tutto dipenderà dalla lucidità e dal coraggio politico dei nostri dirigenti attuali. Ma sembra oggi che l’approccio comunitario integrato sia veramente l’approccio giudicato dalle differenti parti in causa come il più pertinente per regolare questi problemi.
Questo è, in ogni caso, l’approccio difeso dalla Commissione Europea e dall’attuale presidenza finlandese dell’UE. Un’ambizione comunque già definita tale e quale nell’attuale progetto di ... Trattato Costituzionale.
Traduzione di Chiara Cipolletta
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