Viviane Reding e la questione Rom

Indignazione e Istituzione

, di Stefano Pietrosanti

Viviane Reding e la questione Rom

Nella vicenda nata dalla dichiarazione di Viviane Reding si sono delineati due fronti identificabili: uno maggioritario, riconoscibile nelle istituzioni europee e nella maggioranza degli Stati dell’Unione, che sostiene la Reding sui contenuti ma la censura nei toni, l’altro minoritario, composto dalla Francia e dall’Italia, che prende una posizione rozzamente nazionalista, non riconoscendo alcun diritto di ingerenza alle autorità comunitarie negli affari nazionali.

Voglio provare a pormi in un’altra posizione: e se la Reding fosse imprecisa nei contenuti, ma perfetta nei toni? Anzi, se un serio sostenitore dell’Unione dovesse sentirsi obbligato a un franco applauso a questa signora in improbabile giacca rossa? Cosa ha detto Viviane Reding? Che nessuno Stato dell’Unione può presentare una politica di espulsione dicendo, in sintesi, “cacciamo i rom”. Il che è tragicamente buffo, buffo quanto la definitiva foglia di fico: gli Stati membri non possono scrivere su una circolare che cacciano i rom, ma possono cacciarli in quanto poveri,

... un franco applauso a questa signora in giacca rosa ...

in quanto fastidiosi, in quanto pericolosi; gli Stati dell’Unione affacciati sul Mediterraneo, invece di stimolare una seria, umana politica europea (azzardiamo federale?) sul problema dell’immigrazione, possono trattare singolarmente con le dittaturucole del Nord-Africa perché queste affamino, torturino, internino gli aspiranti migranti, ma “ehi ragazzi, purché non si dica che sono negri”. Certo, ma almeno un organismo istituzionale non mostra evidente razzismo. Certo, dico io, ma un paese dell’Unione può tranquillamente avere partiti quasi da venti per cento, che esprimono ministri importanti, con esponenti come Borghezio che vanno a disinfettare i posti in cui avevano trovato sedute persone di colore, o a fare i guru internazionali del “come essere fascisti e – sfruttando l’amore democratico per i localismi e le tradizioni delle minoranze per bene – prosperare felici e contenti”. O, per non rimanere in Italia e andare alla prossima presidenza di turno dell’Unione (l’Ungheria): “che nessuno scriva cose razziste nei comunicati, vi prego”, ma non c’è problema se squadre fasciste, come la Guardia Magiara, si aggirano per il paese in nome dell’ordine, senza che nessuna forza dell’ordine vera le ricacci da dove sono venute a forza di manganellate. Insomma signori, niente rutti a tavola, ma nessuno scandalo per una discreta abitudine all’incesto nello stanzino, purché attentamente insonorizzato. Attenzione: non dico di non capire, o di non concordare con la censura di vergogne come la circolare francese, o di considerare lo scrivere “li cacciamo come rom” irrilevante. E’ un passo avanti verso la barbarie e il razzismo espresso in un documento ufficiale è realmente un episodio abnorme, ma non pensiamo che arginare simili manifestazioni sia sufficiente, o anche utile nel lungo periodo, se nessuno si occuperà del necessario riallineamento democratico del continente, di definire chiaramente, senza buonismi ed eccessive spese di carta, quali sono i pochi e fondamentali valori su cui si deve basare l’Europa moderna e che questi vanno assolutamente rispettati, nella forma quanto nella sostanza.

Ma con che tono è stato espresso questo richiamo? A prescindere dalla riflessione amara che mi provoca, il tono sì era quello giusto: il tono di un’istituzione che vede in se stessa un’istanza di civiltà e progresso e che vede quelli che sono suoi fondamentali pezzi sfuggire maleducatamente alla civiltà e al progresso. Questa istituzione ha preso voce nella bocca di Viviane Reding e ha detto che “uno Stato membro non deve permettersi”, non “insomma, suvvia, cari signori, non sarebbe il caso… poi andiamo, che vergogna coi vicini dell’oceano accanto” come di solito accade. E per fortuna, mi viene da dire! Che liberazione! Una persona che lavora in Europa e che finalmente si sente ferita, davanti al nostro cerchio di stelle in campo blu, perché i valori che in

... Europa un potere in fieri ...

questo cerchio sono inscritti hanno subito ulteriore lapidazione. Una signora che parla in nome dell’Europa pensando che l’Europa possa avere una voce forte, decisa, magari anche arrabbiata e che – diamine! – abbia tutto il diritto di adirarsi. Almeno qualcuno ha aperto un attimo le tende su un grande scenario cui si dovrà guardare, se non vorremo rassegnarci al tragico marginalismo che aleggia sul continente da troppo: lo scontro di potere tra l’Europa e le sue riottose componenti. Certo, la Reding è stata subito silenziata dal solito Barroso, ma potrebbe essere il primo colpo di tosse di un’influenza necessaria. Ogni volta che si parla di Europa, bisognerebbe ricordarsi che si parla di un potere in fieri e che, a lungo andare, nello stesso ambito di competenze più poteri non possono convivere sullo stesso livello. Come non possono convivere, all’interno della democrazia, le istituzioni legalitarie e costituzionali con le istituzioni informali che vogliono sostituirsi a queste: siano esse poteri criminali, partiti eversivi, bande armate ideologiche, o semplicemente pubblici funzionari e rappresentanti eletti che non capiscono che servire uno stato democratico e liberale richiede un atto di fedeltà ai principi che ne sono la base, che le istituzioni non possono essere occupate da chi ne rifiuta la cultura. Quando si presentano innumerevoli situazioni di simili convivenze uno scontro, almeno nel lungo periodo, è probabile. Uno scontro che in qualche modo dovrà avvenire, su cui non è possibile nessuna previsione e che sarà fondamentale per dare alla nostra generazione un futuro un po’ più grande del nostro di singoli uomini.

Fonte dell’immagine: World Wide Web

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