Berlino e Budapest, racconto di due (più che) Seminari

, di Cesare Ceccato

Berlino e Budapest, racconto di due (più che) Seminari

Le scorse settimane ho vissuto, uno in fila all’altro, due Seminari internazionali, quello federalista di Berlino organizzato dalla JEF Deutschland e quello su gioventù e diritti umani di Budapest, realizzato in collaborazione da JEF Europe, Council of Europe e European Youth Foundation. In questo articolo, racconto di cosa queste esperienze mi hanno lasciato e del motivo per cui credo sia riduttivo etichettarle come semplici Seminari.

Ho sempre avuto un rapporto altalenante con le lingue del mondo, un po’ le adoro, mi incuriosiscono i vari vocabolari, la grammatica, vorrei impararne di nuove come vorrei rafforzare quelle che già conosco, allo stesso tempo hanno troppe cose che non mi quadrano e continuano a non farlo anche quando ai miei dubbi vengono presentate soluzioni logiche. Cose che mi fanno fumare il cervello. È una delle stranezze con cui convivo, ognuno ha le sue, io sono turbato da certi concetti linguistici. Ad esempio, perché se land è in italiano terra o Paese, e di conseguenza England trova traduzione in Inghilterra e Netherlands in Paesi Bassi, lo stesso discorso non si applica con Scotland o Deutschland, rispettivamente Scozia e Germania? Perché le occasioni di formazione e di dibattito organizzate dai federalisti europei prendono il nome di Seminario? Lo so, deriva dal verbo seminare, spargere i semi sul terreno affinché germoglino, ma proprio qui voglio arrivare. Nelle ultime settimane ho vissuto, uno in fila all’altro, due Seminari internazionali, quello di Berlino organizzato dalla JEF Deutschland, arrivato alla sua ventiduesima edizione e durato un weekend, e quello di cinque giorni di Budapest su gioventù e diritti umani, realizzato in collaborazione da JEF Europe, Council of Europe e European Youth Foundation. Posso assicurare che in entrambe le occasioni non sono solo stati sparsi semi, sono sorte idee e riflessioni, sono emerse e cresciute qualità, si è sviluppato un notevole spirito di squadra, insomma sono spuntati frutti che già viene voglia di ficcare nel cestino.

Nel raccontare, vado con ordine e parto da Berlino, dove sono atterrato giovedì 12 maggio. Ad accogliermi, oltre alla viva e immensa capitale tedesca, la cui travagliata storia trova parole in ogni angolo, una compagnia di quasi quaranta giovani, di età, esperienze, voci e interessi diversi, ma accomunati dalla voglia di acculturarsi e mettersi alla prova. Nonché di divertirsi; mai sentito parlare del flunkyball? Fino a quel giorno nemmeno io. È un gioco, non mi dilungherò sui dettagli, basti sapere che gli ingredienti base sono birra (ovviamente tedesca), mira, agilità, riflessi e una palla (o, all’occorrenza, una scarpa).

La prima occasione di accrescimento delle proprie conoscenze e di discussione si è materializzata alla Europäisches Haus, sede della rappresentanza della Commissione Europea in Germania e ufficio di collegamento del Parlamento Europeo che sorge ai piedi della Porta di Brandeburgo, uno dei simboli della città. Tra le quattro mura del palazzo si respira l’Europa, grazie a simboli, bandiere, cenni a episodi storici, anche ai ritratti pop art di alcuni degli indiscussi protagonisti del processo di integrazione europea, tra cui Robert Schuman e Ursula Hirschmann. A fare gli onori di casa, nella sala grande, Patrick Lobis, Presidente della rappresentanza regionale della Commissione, che dopo un’introduzione sul funzionamento della struttura ha stimolato il dialogo con i presenti; tanti i temi toccati, dal concreto futuro dell’Unione ai prossimi piani per la Germania, fino alle serie opportunità presentate all’interno dell’anno europeo dei giovani. Al widening di Lobis sull’Istituzione madre, è toccato al deepening su uno degli argomenti più dibattuti in ambito europeo dell’ultimo periodo, non sto usando questi termini a casaccio dato che l’argomento è quello dell’allargamento dell’Unione. Viktoria Palm, Vicedirettrice di Südosteuropa-Gesellschaft e.V., ha mostrato - dati alla mano - una netta discordanza sul punto tra gli Stati membri, con i più longevi a favore dell’espansione e con gli entrati nel XXI secolo più scettici a riguardo. Non si pensi che tra i partecipanti ci fosse invece totale accordo, sì, crediamo in un’Europa che unisca il più possibile, ma vogliamo vedere riforme importanti al suo interno e sfruttando menti.com, siamo stati in grado di individuare tanti motivi per l’ingresso quanti per il non ingresso. Alcuni a cui io - e sono certo, altri all’interno di quella stanza - non avevo mai pensato.

La vera grande occasione si è verificata però senza l’aiuto di alcuno speaker, nel confronto diretto con i coetanei e le coetanee dal resto del continente, sia informale - con i classici paragoni sullo studio, sul lavoro, sulle condizioni di vita nelle rispettive città e sulle attività e le battaglie sostenute in singolo o con la sezione federalista locale cui si appartiene - sia concentrata. Grande merito ai giovani tedeschi che hanno organizzato il Seminario è quello di aver centrato punti su cui tanto i giovani, quanto i meno giovani, possono spaziare e dare visioni che favoriscono l’apprendimento, dal significato di democrazia alle strategie concrete per rendere l’Unione più libera, giusta, equa e sostenibile per tutti, a prescindere dall’età o dalla lingua.

Lo scambio di idee corrobora e riempie di energie, quelle necessarie per godere della città. Infatti, accoppiate alle sessioni di riflessione, l’International Berlin Seminar ha previsto anche visite mirate della capitale tedesca, dal famoso Checkpoint Charlie alla sempre tremenda e impressionante Topografia del Terrore, dalla geniale East Side Gallery che ha reso opera d’arte un simbolo di guerra e divisione fino a spazi meno noti ma meritevoli di essere conosciuti come il Teufelsberg o a occasioni temporanee di vita mondana berlinese come lo Street Party for Democracy per la pace e per l’Europa di Mehringplatz. Insomma, ha contato l’arrivare a sera con mente e occhi pieni di immagini, per poi passare ai brindisi o, per chi non fosse ancora sazio, alla meraviglia dell’Eurovision Song Contest.

Ho avuto bisogno di due giorni di pausa per metabolizzare al meglio questo mio primo Seminario internazionale, quanto è bastato per prepararmi al secondo. Trolley alla mano e, martedì 17 maggio, dalla Germania sono volato in Ungheria, a Budapest. Con gli altri venti fortunati che hanno avuto la possibilità di prendere parte all’iniziativa l’ho girata in lungo e in largo. A differenza di Berlino, era la prima volta che capitavo qui, non potevo non esplorare. C’è un castello somigliante a un Parlamento e un Parlamento somigliante a un castello, e ci sono due ambienti completamente differenti a seconda della sponda del Danubio, opinione personale: più gradevole quella ovest, dove un tempo sorgevano Buda e Óbuda.

Venti fortunati dicevo, anche qui, giovani da ogni angolo d’Europa. Italia, Francia, Lussemburgo, Germania, Grecia, Malta, Finlandia, Norvegia, Serbia, Montenegro, Moldova, Ucraina. Giovani con cui è difficile esprimere a parole quanto abbia legato; come successo a Berlino, forse più di come successo a Berlino, già dopo le prime poche chiacchiere ho avuto la sensazione di conoscere tutti da anni.

A rafforzare il rapporto, a trasformarlo da mera conoscenza ad amicizia e collaborazione, ci hanno pensato i group leader e l’agenda da loro disegnata. Il processo bottom-up che ci ha portato dal pensare a cosa siano per noi i diritti umani e al perché siano importanti fino al realizzare insieme una manifestazione di piazza a Hősök Tere, in cui ci siamo rivolti al Governo ungherese affinché si unisse all’Europa nel sospendere l’acquisto di petrolio russo e - conseguentemente - il finanziamento della guerra in Ucraina, non è stato solo ispirante, ma efficace. Non ha dato solo nuovi input nel parlare di diritti umani e di combattere per questi, ma ha creato un gruppo, risultato non scontato tenuto conto dei pochi giorni a disposizione. Ogni sessione ha contribuito; la visita ad Amnesty International, le riflessioni sulle attività compiute e ancora da compiere nella propria vita da attivisti, gli approfondimenti sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile, l’organizzazione di campagne e azioni di solidarietà, anche, più di quanto si creda, le battute a pranzo e a cena.

Insomma, come ho scritto in principio, occasioni del genere dovrebbero avere un nome più appropriato di Seminario. Fanno molto più che seminare. Vale la pena cercarle, vale la pena viverle, vale la pena viaggiare per uscire dalla bolla, non solo dai confini. Non esagero nel dirlo: sono la cosa che più consiglio a chiunque faccia militanza attiva. Davanti a noi, il calendario federalista oggi evidenzia Copenaghen e Ventotene, anche solo per verificare che ho scritto il vero, non resta che farci un salto.

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