“Coloro che detengono il potere, infatti, dovendo opprimere per governare, sono condannati ad agire sensatamente; e se, trascinati dalla passione o costretti dagli avversari, oltrepassano i limiti della ragionevolezza, scendono su una strada lubrica, e con ciò stesso, da soli segnano l’inizio della loro rovina” [2]. È così che Ivo Andrić descrive uno dei caratteri del potere politico nel suo romanzo Il ponte sulla Drina, importante affresco storico della Bosnia-Erzegovina. Leggendolo si comprendono molte delle contraddizioni sociali ed etniche del Paese, messe in luce di recente dalle elezioni politiche del 2 ottobre 2022. I cittadini sono stati chiamati a rinnovare i Presidenti e gli organi istituzionali della Repubblica Srpska e della Federazione croato-musulmana, le due entità che compongono lo Stato Bosniaco, insieme al distretto autonomo di Brčko. Nel corso della campagna elettorale e delle elezioni sono riemerse le divisioni tra i due gruppi etnici principali del Paese, bosgnacchi musulmani e serbi ortodossi. Il leader serbo della Repubblica Srpska Milorad Dodik, riconfermato alla presidenza in queste elezioni, ha minacciato più volte la secessione dalla Federazione. Gli annunci separatisti fanno seguito alle crescenti tensioni etniche e al costante intervento di soggetti internazionali nelle questioni politiche interne, come ad esempio l’Alto Rappresentante Onu per la Bosnia-Erzegovina. In un contesto caratterizzato da tale instabilità, è facile comprendere come il Paese non sia ancora riuscito a trovare un equilibrio al proprio interno.
Il sistema politico e costituzionale dello Stato Bosniaco, basato sugli accordi di Dayton del 1995 che posero fine alla guerra in Bosnia, prevede un’equa partecipazione nei poteri statali dei tre gruppi etnici costituenti, bosgnacchi musulmani, serbi ortodossi e croati cattolici. Questa rappresentazione egualitaria si riflette nel sistema elettorale e nella presenza di tre Presidenti, uno bosgnacco, uno croato e uno serbo, che condividono la presidenza. Il potere statale più importante, tuttavia, è nelle mani dell’Alto Rappresentante ONU per la Bosnia-Erzegovina, una figura internazionale designata alla sovrintendenza dell’applicazione delle leggi e all’annullamento delle stesse nel caso in cui esse collimano col mantenimento della pace e degli accordi del 1995. Questo quadro avrebbe dovuto impedire l’insorgere di discordanze a livello politico e sociale.
Nella realtà tutto ciò non è accaduto: la separazione etnica è stata ripresa dai leader serbi della Repubblica Srpska sin dalla fine della guerra, e amplificata nel corso degli ultimi anni. In particolare, il provvedimento che condanna il negazionismo sul Genocidio di Srebrenica, approvato dall’Alto Rappresentante ONU per la Bosnia-Erzegovina, è stato osteggiato dai rappresentanti serbi, che lo hanno bollato come discriminante verso la componente serba del Paese. Infatti, la retorica negazionista sugli avvenimenti del luglio 1995 è largamente diffusa in questa parte della popolazione, ed è utilizzata a sfondo propagandistico in vista di una secessione della Repubblica Srpska. A questo scopo vengono anche impiegati simboli che ritraggono esponenti militari e politici che hanno condotto la guerra del 1992 come eroi serbi, evidenziando come la volontà di riconciliazione sia ancora lontana da quella auspicata dagli accordi di Dayton.
La riluttanza a trasferire alcuni poteri dall’amministrazione serba a quella centrale, le tensioni politiche crescenti e la forte presenza internazionale attraverso l’Alto Rappresentate sono solo alcune delle criticità che di fatto impediscono un avvicinamento all’Unione Europea. In particolare, un criterio ritenuto fondamentale ai fini dell’integrazione è la titolarità dei poteri politico e giuridico, ossia la totale indipendenza e capacità dello Stato di attuare riforme e leggi. La mancanza di coesione politica e la presenza intrusiva di una figura internazionale rendono la Bosnia-Erzegovina ben lontana dal soddisfare questo principio [3]. Tuttavia, la Commissione Europea ha dichiarato, in una nota del 12 ottobre 2022, che l’UE è pronta a garantire lo status di candidato alla Bosnia-Erzegovina, solo dopo che questa avrà rispettato le 14 raccomandazioni, riguardanti principalmente la riforma della pubblica amministrazione e i provvedimenti per contrastare la dilagante corruzione nel Paese [4]. Il nodo principale riguarda in ogni caso la disponibilità delle diverse parti che compongono lo Stato a voler realmente collaborare alla costruzione del Paese, ma ad ora questa possibilità sembra essere molto remota.
Quando interpellate sulla Bosnia odierna, molte persone rispondono che “si stava meglio quando c’era la Jugoslavia”. La guerra degli anni ’90 segna ancora oggi il destino di un Paese che non sembra mai essersi ripreso e che è pervaso da tensioni quasi impossibili da attenuare. L’Unione Europea si dice interessata ad un allargamento dei suoi confini, dati i cambiamenti del contesto geopolitico internazionale; tuttavia la Bosnia-Erzegovina non sembra pronta ad avviare il processo di integrazione che presupporrebbe dapprima una concreta coesione al proprio interno.
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