La Conferenza sul Futuro dell’Europa ha indicato la strada da percorrere, la plenaria del Parlamento europeo del 9 giugno 2022 è stata l’invito a mettersi in marcia, quella del 22 novembre 2023 ha significato il primo passo verso il traguardo: la modifica dei Trattati europei (Trattato sull’Unione europea e Trattato sul funzionamento dell’Unione europea).
Nel corso del periodo di confronto tra Istituzioni e cittadini europei è emersa chiaramente la richiesta di questi ultimi di un’Europa unita e forte, capace di reagire prontamente alle sfide che la realtà periodicamente le pone davanti: la crisi climatica, la transizione digitale, la sicurezza internazionale, la disinformazione, citandone solo alcune. Il Parlamento europeo se ne è fatto carico.
Prima, a larghissima maggioranza, ha chiesto al Consiglio europeo che si avviasse una Convenzione per la riforma dei Trattati, poi, all’osservazione di quest’ultimo su quali ambiti la riforma dovesse avvenire, ha presentato una proposta di progetto, formulata attraverso la propria Commissione Affari costituzionali (AFCO).
Come raccontavamo qui su Eurobull dopo lo storico voto di novembre, le redini del gioco sono ora in mano al Consiglio europeo, la cui prossima seduta avverrà tra il 21 e il 22 marzo. Siccome il gioco non è semplicissimo da comprendere, è necessario guardare il regolamento, proprio il Trattato sull’Unione europea, nello specifico il suo articolo 48.
L’articolo 48
La possibilità di modifica dei Trattati (l’articolo 48) è inserita nelle “disposizioni finali” (il Titolo VI), accanto a quelli che potremmo chiamare i termini e le condizioni del contratto di adesione all’Unione europea e a un’ulteriore importante possibilità, quella definita all’articolo 49 di adeguare dei Trattati in occasione dell’adesione di nuovi Stati membri. L’articolo 48 delinea due procedure per modificare quanto stabilito nel 1992 a Maastricht, ciascuna con le sue caratteristiche, i suoi attori e il suo processo distintivo: la procedura di revisione ordinaria e la procedura di revisione semplificata.
La procedura di revisione ordinaria prevede che il Governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possano sottoporre al Consiglio europeo, ossia all’Istituzione che riunisce i Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri, progetti intesi a modificare i Trattati, anche intesi ad accrescere o a ridurre le competenze attribuite all’Unione. Ricevuto un progetto di modifica, il Consiglio europeo è chiamato a esprimersi e lo fa con un voto a maggioranza semplice. Qualora questo sia favorevole, il Presidente del Consiglio europeo convoca una Convenzione composta da rappresentanti dei Parlamenti nazionali, dei Capi di Stato o di Governo dei Paesi membri, del Parlamento europeo e della Commissione. La Convenzione esamina il progetto di modifica e adotta per consenso, cioè includendo tanto la voce della maggioranza dei suoi membri quanto le obiezioni della minoranza, una raccomandazione a una Conferenza dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri. Quest’ultima, ancora una volta per consenso, stabilisce quali modifiche apportare ai Trattati.
Un’eccezione alla procedura classica si verifica quando il Consiglio europeo reputa le modifiche proposte nel progetto ricevuto di lieve entità. In tal caso, l’Istituzione può decidere a maggioranza semplice di non convocare la Convenzione e di accelerare il processo assegnando direttamente il mandato alla Conferenza dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri.
Per quanto riguarda la procedura di revisione semplificata, questa si applica quando al Consiglio europeo sono sottoposti, sempre dal Governo di qualsiasi Stato membro, dal Parlamento europeo o dalla Commissione, progetti intesi a modificare in tutto o in parte le disposizioni della parte terza del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, quella dedicata alle politiche e alle azioni interne dell’Unione. Per chiarezza, quella parte che regola l’agire dell’Unione, coerentemente con la sua sfera di competenza, che spesso è condivisa con gli Stati, su temi quali il mercato interno, la libera circolazione di persone, merci, e capitali, le regole di concorrenza, le disposizioni fiscali, la politica sociale, l’industria, l’ambiente e così via. Davanti a un progetto di questo genere e non inteso a estendere le competenze europee, il Consiglio europeo ha la prima e direttamente l’ultima parola. Senza il bisogno di convocare alcuna Convenzione o Conferenza, e con la semplice consultazione preventiva di Parlamento e Commissione, il Consiglio europeo può approvare le modifiche con un voto favorevole all’unanimità.
Il progetto di riforma del 2023
Il progetto di riforma a firma Verhofstadt, Simon, Bischoff, Freund e Scholz è completo e di ampia portata. Composto inizialmente da 267 emendamenti agli attuali Trattati, ridotti a 249 dopo il voto del Parlamento europeo di fine 2023, sarà necessariamente sottoposto alla procedura di revisione ordinaria.
Una volta che questa sarà avviata, tutti gli organi coinvolti non si limiteranno a esprimere solo un giudizio favorevole o contrario alle disposizioni testuali del progetto, ma analizzeranno e faranno sintesi delle proposte. Solo i temi trattati saranno gli stessi, come il maggiore ruolo decisionale del Parlamento europeo, la possibilità di avviare procedure di infrazione davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea per violazioni del diritto europeo da parte degli Stati membri, oltre alle nuove competenze comunitarie in settori come la politica estera, la sicurezza, la salute e l’ambiente. Non il testo.
Già nella seduta dello scorso dicembre ci si aspettava che il Consiglio europeo potesse discutere l’avvio della Convenzione, dando il vero e proprio là, o il definitivo stop, alla procedura. Così non è stato, e il prossimo momento utile per farlo sarà la riunione del 21 e 22 marzo.
Se anche stavolta la questione non sarà inserita all’ordine del giorno, si slitterà al mese di luglio e, se allora il Consiglio europeo ne discuterà e si esprimerà favorevolmente, le carte in tavola saranno diverse.
In virtù delle elezioni europee che si svolgeranno a inizio giugno, l’Unione europea sarà dotata di un nuovo Parlamento e di una nuova Commissione, le cui posizioni potrebbero non coincidere con quelle delle Istituzioni che hanno rispettivamente approvato e supportato il progetto. Considerato che nella Convenzione, tra gli altri, si prevede che lavorino membri del Parlamento e della Commissione, è da tenere in considerazione questo “twist”.
Cosa aspettarsi
A conclusione dei lavori della Conferenza sul Futuro dell’Europa, ben 13 Stati membri si erano espressi contro una possibile modifica dei Trattati, definendo l’idea prematura. Tenuto conto che la stessa compattezza non si è vista a favore da parte dei restanti 14 Stati, appare evidente che, qualora le opinioni non cambino, la tempistica del Consiglio europeo - sia a marzo che a luglio - non avrebbe alcun impatto sull’avvio della Convenzione, che non avverrebbe.
Tuttavia, da allora sono passati quasi due anni e la maggioranza degli Europarlamentari di 4 di quei 13 Paesi contrari ha poi votato in supporto al progetto. Inoltre, al recente Congresso del Partito Popolare Europeo, gruppo più numeroso del Parlamento europeo nonché casa di partiti che sono al Governo in 16 Paesi europei, anche in quelli degli anti-riforma, c’é stata una timida apertura verso una “Convenzione che nei prossimi anni discuta e decida dei possibili sviluppi dei Trattati”.
Queste piccole ma importanti aperture fanno sperare in un voto favorevole del Consiglio europeo, che rimane però tutt’altro che scontato. Intanto ci si aspetta almeno che quella del 21 e 22 marzo sia l’occasione buona perché si discuta e si decida dell’apertura del processo di riforma, senza attendere ulteriormente.
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