Che fare dopo queste elezioni europee?

, di Antonio Argenziano

Che fare dopo queste elezioni europee?

La notizia di apertura, a livello europeo è sicuramente legata all’affluenza in crescita in tutta Europa che sicuramente rappresenta un segnale positivo. Dobbiamo però registrare un trend opposto in Italia, dove la partecipazione alle europee è nettamente in calo, assestandosi su un deludente 56,08%.

Al di là delle eccezioni Trentino Alto-Adige e Valle d’Aosta in ogni singola regione italiana si è registrato un calo, spesso drastico, di partecipazione con i picchi negativi di Sicilia e Sardegna, entrambe ampiamente al di sotto del 40% di affluenza. Tali dati, prima di essere un segnale d’allarme, sono una sconfitta bruciante per la democrazia italiana, al di là dei colori politici.

Si parla di democrazia italiana non a caso. Il nostro paese è infatti ampiamente in controtendenza rispetto a quanto sta accadendo nel resto del continente. La crescita generale dei liberali e, soprattutto, dei verdi, è un fenomeno che non ha minimamente interessato il nostro paese, dove quelle sensibilità politiche sono state relegate al 3,11% di +Europa e al 2,32% di Europa Verde.

L’elemento preoccupante non è però dato dal risultato di questo o quel partito, ma dalla pochezza del dibattito politico nazionale. Seguire le maratone elettorali è stato onestamente una sofferenza. Un rincorrersi di numeri, dati e speculazioni circa possibili accordi, alleanze o, peggio, un continuo ruotare attorno al futuro politico del governo italiano dopo i risultati elettorali di Lega e Movimento 5 Stelle.

Prima ancora di ogni valutazione politica, è stato uno spettacolo noioso e a tratti difficilmente comprensibile. Ci si lamenta tanto, giustamente, della riduzione della politica a impicci e accordi di palazzo che allontanano sempre più gli eletti dagli elettori e i partiti dalla realtà. Impostare però il dibattito politico solo in questo senso è quantomeno irresponsabile giornalisticamente e contribuisce ampiamente alla diffusione di progressivo disinteresse.

Al di là di qualche vago slogan non si è parlato minimamente di alcuno dei temi cruciali del dibattito politico europeo. Dalla Brexit, ai cambiamenti climatici, dai problemi del mercato digitale alle diseguaglianze sociali. Agli italiani è stato raccontato che tutto ciò che ci si poteva aspettare da queste elezioni era capire se la prossima Commissione europea sarà dura o molto dura nei confronti di un Paese che è economicamente e socialmente sempre più in difficoltà da ogni punto di vista.

Ancora più grave è poi il fatto che si continuino ad ignorare anche i principali temi della politica italiana: emigrazione giovanile (la cosiddetta fuga di cervelli) e la sempre più prepotente questione meridionale. Questioni che dovrebbero essere al centro dell’agenda politica italiana nelle istituzioni europee e che invece sono marginalizzate rispetto alle alleanze e all’osservanza di un contratto di governo contraddittorio e ampiamente deficitario.

Tutti parlano infine di cambiare l’Europa per migliorarla. Nessuno specifica però in maniera chiara ed aperta il come, e nessuno lo ha neanche chiesto.

Si osserva giustamente che l’Italia sarà isolata politicamente nel panorama politico europeo, ma noi italiani non lo saremo solo “grazie” al governo in carica, ma soprattutto per la narrativa chiusa e limitata con cui ci autorappresentiamo, quando la realtà ci mette davanti ad un Paese che ha una necessità disperata di voltare pagina e di farlo insieme all’Europa.

Proprio nel livello europeo dovremo allora riporre qualche flebile speranza. Anche in questo caso c’è poco da essere ottimisti, ma queste elezioni ci dicono che le cose stanno finalmente cambiando. La vecchia politica della “ragionevole” difesa dello status quo si è dimostrata perdente ovunque, persino nella solida e certamente non rivoluzionaria Germania. I nazionalisti, come prevedibile, non avranno la forza politica di indirizzare politicamente l’agenda del Parlamento Europeo e all’interno di quest’ultimo lo storico predominio di socialisti e popolari è giunto al termine, ponendo entrambi di fronte all’obbligo di scendere a compromessi quantomeno con le emergenti forze liberali e verdi.

Pensare però che l’Europa abbia superato la tempesta sarebbe però il più grave errore che si possa commettere. Al nuovo Parlamento il ruolo di rilanciare il processo di integrazione, dandogli nuova linfa. Rispondere alle necessità e alle domande dei cittadini europee deve essere una priorità assoluta. Servono allora le opportune politiche, corredate dalle inevitabili riforme istituzionali che le rendono possibili. Ritrovarsi tra altri cinque anni con altri cervellotici meccanismi per decidere poco, male e in ritardo sarebbe infatti il peggior scenario che possiamo immaginare.

Quali siano i punti da cui ripartire concretamente, i federalisti di tutta Europa lo hanno affermato da tempo con l’appello I Choose Europe, ricevendo l’adesione di quasi 300 candidati da tutto il continente. Ai nuovi eletti il compito di rendere concrete quelle promesse, non per soddisfare i federalisti, ma per dare finalmente una nuova concreta speranza a tutti coloro che hanno smesso di credere nel più avanzato ed ambizioso progetto politico della storia del nostro continente: l’unificazione politica dell’Europa.

Fonte immagine: Gioventù Federalista Europea.

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