“Il futuro non appartiene ai globalisti. Il futuro è dei patrioti.” Così il presidente degli USA all’Assemblea generale dell’Onu dello scorso anno. In attesa di quel radioso futuro, basta un virus a dare a Trump ed ai suoi sodali qualche dispiacere. Già nel presente e creando confusione nelle schiere nazionaliste. Per non andar lontano, i sovranisti nostrani prima si sono sgolati a chiedere la sospensione di Schengen e la chiusura di porti, aeroporti, frontiere. Scoperti in casa i primi focolai di epidemia, si stracciano oggi le vesti per i lombardi ed i veneti trattati come appestati. Il rapido contagio che in qualche mese ha già toccato i 5 continenti dovrebbe condurci invece a qualche pacata riflessione.
Che si tratti di epidemie o di cambiamenti climatici, il mondo è ormai divenuto una comunità di destino e non bastano certo i proclami a ridare agli Stati e men che meno agli enti regionali e locali quella sovranità che un processo sempre più impetuoso di globalizzazione ha finito per scardinare. La dimensione mondiale dei fenomeni impone, però, una maggiore capacità di governo da parte della politica e non l’abbandono alle forze incontrollate della natura, dell’economia, della tecnologia.
Non si tratta di proporre un superstato mondiale in grado di controllare tutti gli aspetti della vita dei cittadini. Al contrario, i problemi vanno affrontati seguendo i principi della sussidiarietà, della proporzionalità e della responsabilità. Nella vicina Svizzera i Cantoni godono di un’ampia autonomia, ma una norma costituzionale consente al Consiglio federale di avocare a sé la gestione di una crisi avente carattere nazionale. Norma prontamente invocata in questa situazione per determinare comportamenti omogenei su tutto il territorio del Paese. L’Italia non è uno Stato federale, ma le nostre Regioni e talvolta persino i Comuni hanno emanato decine di ordinanze senza alcun reale coordinamento e senza una chiara catena di comando.
Messi in difficoltà dalle nuove circostanze, i cosiddetti sovranisti non hanno trovato spesso di meglio che attaccare l’Europa, l’unico obiettivo che li unisce al di qua e al di là delle Alpi. Una volta distrutta l’Unione, finirebbero per scontrasi tra di loro, come avvenuto nella prima metà del XX secolo. La Signora Le Pen sì è già incaricata di fornire un’anticipazione, chiedendo prontamente la chiusura della frontiera con l’Italia. Alla faccia dell’amicizia con Salvini e dell’alleanza tra leghisti e lepenisti nel Parlamento europeo.
Non resta tuttavia meno vero che l’epidemia in corso rivela che l’Unione manca di competenze adeguate anche in un campo così sensibile come la salute dei cittadini. La crisi economico- finanziaria partita dagli Stati Uniti produsse le sue conseguenze più devastanti proprio in Europa, mettendo a rischio persino la sopravvivenza dell’Unione monetaria. L’esistenza di una istituzione sovranazionale e federale, la BCE, permise di salvare l’euro, ma la mancanza dell’unione fiscale e di un governo economico impedì ed impedisce tuttora all’UE di uscire definitivamente dalla crisi. Ad un decennio di distanza un’emergenza sanitaria scoppiata in Cina è giunta velocemente anche in Europa. Il governo cinese, dopo le prime incertezze, ha preso una serie di drastiche misure che hanno meritato l’approvazione ed il plauso dell’OMS. Non vorremmo che tra qualche anno si potesse dire che il Covid-19 ha avuto gli effetti più negativi proprio nel Vecchio Continente.
La Conferenza sul futuro dell’Europa, che dovrebbe aprirsi il prossimo 9 maggio, è l’occasione per evitare che ciò avvenga. A condizione che la Conferenza non si limiti a ipotizzare la revisione dei Trattati, ma ne elabori uno nuovo per dar vita ad un’Europa federale, come la pensavano i Padri fondatori. Se alcuni Stati membri non accetteranno questo progetto, è arrivato il tempo che i Paesi decisi a condividere una parte della loro sovranità in quei campi non più gestibili a livello nazionale vadano avanti, creando all’interno del quadro comunitario un nucleo integrato politicamente su basi federali.
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