Concerto del primo Maggio 2021, festa dei lavoratori. Una giornata ricca di valore simbolico, festeggiata da più di un secolo in tutto il mondo. Giornata che nel 2021 ha ancora bisogno di essere festeggiata e che può essere il pretesto per portare nel dibattito pubblico (e parlamentare) dibattiti quali il salario minimo, la riduzione della settimana lavorativa, gli infortuni sul lavoro: come quello recente di una ragazza, che, complice la sua giovane età (e bellezza, sic), è riuscita ad avere risalto nazionale.
Il discorso di Fedez
E’ evidente che il claim del primo maggio non è più il lavoro. Oggi il concerto del primo maggio, più che uno spazio per parlare di diritti dei lavoratori si è trasformato in un palco per etichette discografiche che vogliono promuovere i loro artisti (con buona pace dei tesserati dei principali sindacati italiani che pagano per la sua organizzazione). Quest’anno Fedez, nome d’arte di Federico Lucia, una delle persone con la più alta visibilità a livello nazionale (e non, grazie anche al lavoro di sua moglie, Chiara Ferragni). Durante il concerto espone il suo (suo?)discorso a favore del Ddl zan (di cui parlo approfonditamente qui ). Un discorso che evidenzia le sua grandi capacità comunicative e che parla di parte dei diritti civili, oggi ancora molto dibattuti all’interno del nostro Paese. La prima domanda che mi sono posto vedendo quel bel discorso è: ma qual è l’attinenza con il primo maggio? Qual è l’attinenza con i discorsi sopra citati che (come il Ddl Zan) hanno così bisogno del risalto che solo un gigante della comunicazione come Fedez può dare? E’ stato davvero (come ripreso da più testate) coraggioso? Se il coraggio si misura in ciò che si ha da perdere non molto. Da bravo politologo (qualsiasi cosa significhi) ho cercato una risposta che forse risulta scontata, ma a cui a mio parere non si è dato sufficiente risalto:Fedez ha isolato il discorso a una specifica porzione di diritti (poco coerente con la giornata ma molto sentita dal pubblico dello spettacolo) che rappresenta il proprio settore di mercato. Un’operazione di marketing indirizzata alle persone che ancora non lo conoscevano. Il brand pubblicizzato? La nike (di cui aveva il cappello?) Ovviamente no, lo stesso Fedez.
Fedez è un brand e genera volume. Il video del suo discorso dopo 24 ore aveva totalizzato 5 milioni di visualizzazioni in meno di 24 ore, guadagnando decine di migliaia di euro sia dalle singole visualizzazioni sia dal risalto che ha avuto il brand.
Le lotte per diritti civili costano vite ed esclusione. Oggi i brand promuovono queste battaglie. Se affidiamo al mercato questo compito il rischio è che il prossimo che offrirà di più sposterà le sue posizioni. Solo se si ottengono diritti da un punto politico possiamo gridare: “diritti ottenuti!”.
Nella politica
Nella sfera politica le nozioni di marketing e di brand communication si sono arricchite di molteplici significati, soprattutto in relazione alle trasformazioni tecnologiche, comunicative e di mercato che hanno interessato la fase della cosiddetta “diluizione”. Da un lato l’interesse sempre più acceso del marketing nei confronti del sistema culturale dall’altro invece la diffusione di una cultura dell’understatement che va in netta controtendenza rispetto alle logiche spettacolari degli anni ottanta. I due termini chiave su cui si misurano tanto le teorie della comunicazione politica quanto le analisi dei giornalisti sono: la spettacolarizzazione e la personalizzazione. Un binomio sempre più dibattuto da parte degli stessi media che, a ben vedere, fu esaminato dalla sociologia italiana già negli anni ottanta. Negli anni 90 Si assiste pertanto a uno scollamento tra personalizzazione e spettacolarizzazione, dovuto in parte anche alla crisi politico-valoriale. La personalizzazione richiede un nuovo frame che possa garantire la legittimazione dell’uomo politico in seguito al collasso dell’intero sistema istituzionale, mentre si ridimensiona e muta la natura dei processi di spettacolarizzazione che tendono a diluirsi sempre più nel quotidiano. Una crisi generale di credibilità che nel caso della politica italiana gettò le basi per la discesa in campo del potere berlusconiano, mentre su scala globale determinò una rigenerazione del sistema dei brand grazie alle nuove strategie di comunicazione e di marketing non convenzionale.
I brand diventano politici
Inserirsi in discussioni che sono sotto la lente d’ingrandimento dei media online, se da un lato ha permesso loro di rientrare nella lista dei brand dal ’volto social’, in grado di dialogare con la propria audience senza aver paura di prendere una posizione rispetto alle questioni politiche e sociali più discusse, dall’altro ha comportato il rischio, per queste compagnie, di avere a che fare con un pubblico di consumatori esigenti e con opinioni divergenti, capaci di distruggere con un solo tweet la loro reputazione. Una recente ricerca di Sprout Social condotta su più di 1.000 consumatori statunitensi, ci aiuta a comprendere come e perché un brand può trarre dei vantaggi dal prendere una posizione politica sulle piattaforme di social media. Le persone vogliono che i brand prendano una posizione Secondo una ricerca, il 66% dei dichiaranti ha indicato che è importante per un brand prendere una posizione pubblica sulle principali questioni politiche e sociali, quali l’immigrazione, i diritti umani ed i rapporti interrazziali.
Anche se solo una piccola parte ritiene che ciò sia ‘molto importante’, la maggioranza concorda nel ritenere che sia ‘alquanto importante’ che questi dichiarino apertamente la loro posizione. Inoltre, la maggioranza degli intervistati ritiene che i social media siano la migliore piattaforma per comunicare con gli utenti/consumatori.
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