Questo primo articolo segue le mobilitazioni dell’8 marzo 2025, Giornata internazionale dei diritti delle donne, momento globale di riflessione e lotta, per analizzare come il nazionalismo sia profondamente intrecciato al patriarcato, mentre l’intersezionalità e il federalismo possano essere una bussola di speranza.
Rivelare, amplificare e restituire il contributo delle soggettività femminili non è un mero esercizio di individuazione di spazi di rappresentazione politica traditi o ostacolati, ma un’analisi delle contraddizioni che le soggettività delle donne e di altre identità relegate ai margini portano ancora oggi alla luce nella nostra società.
Affrontare le manifestazioni delle ingiustizie significa sfidare un sistema consolidato di oppressione e sofferenza che attraversa l’umanità e la sua storia, per ricostruire, riconnettere e illuminare lotte, voci e volti a lungo dimenticati.
Ripensare la narrazione: l’intersezionalità come strumento di cambiamento
Le lotte femministe e antirazziste hanno dimostrato che l’oppressione non agisce su un solo asse, ma attraverso un sistema interconnesso di discriminazioni. L’intersezionalità rivela i molteplici livelli di ingiustizia che modellano le esperienze vissute dalle persone marginalizzate. Essa riconosce che background, genere, classe e altre categorie sociali non operano in modo indipendente, ma sono intrecciate, creando sistemi complessi di esclusione.
Mentre il nazionalismo ha storicamente cercato di dividere le persone lungo linee artificiali, l’intersezionalità e il federalismo offrono un quadro alternativo che valorizza la diversità e mira a unire lotte differenti in una visione collettiva di giustizia ed equità.
Nazionalismo e genere: una costruzione dell’oppressione
L’identità nazionale è stata costruita attraverso l’esclusione dell’“altro”. La creazione di comunità immaginate – radicate nell’etnia, nella cultura e in ruoli di genere rigidi – ha generato strutture sociali che rafforzano la discriminazione. La stessa formazione dello Stato-nazione moderno è stata intrecciata con norme patriarcali, relegando le donne a ruoli secondari e segregati nella società.
Storicamente, i movimenti nazionalisti hanno rafforzato rigide dicotomie di genere. Alle donne era assegnato il compito di incarnare l’identità culturale e nazionale, spesso rappresentate come simboli di purezza, maternità e custodi della tradizione. La loro relegazione alla sfera domestica non era accidentale, ma un meccanismo fondamentale per mantenere l’ordine sociale e la dominazione maschile. I discorsi nazionalisti hanno frequentemente raffigurato le donne come riproduttrici della nazione, sia in senso biologico che culturale, imponendo loro il fardello di preservare i valori morali e garantire la continuità dell’identità etnica e nazionale.
Inoltre, il concetto di cittadinanza è stato a lungo modellato da disuguaglianze di genere e di background. Mentre agli uomini veniva riconosciuta piena autonomia politica, le donne e le minoranze marginalizzate erano spesso considerate estranee alla propria nazione. La costruzione dell’identità nazionale ha quindi implicato un processo simultaneo di esclusione – escludendo le donne dal potere pubblico e discriminando l’“altro” come minaccia esterna.
Il paradigma nazionalista assegna ruoli specifici a donne e uomini, rafforzando gerarchie che servono gli interessi dei gruppi dominanti. I corpi delle donne sono stati strumentalizzati nei conflitti nazionalisti, con la violenza sessuale usata come arma di guerra per esercitare controllo tanto sulle donne quanto sulla nazione nemica. Allo stesso modo, i movimenti nazionalisti hanno cercato storicamente di imporre codici morali restrittivi sulla sessualità femminile, rendendo l’onore percepito delle donne sinonimo della dignità della nazione stessa.
Le ideologie nazionaliste hanno inoltre influenzato profondamente la divisione del lavoro secondo linee di genere. La partecipazione delle donne al lavoro è stata spesso definita in funzione delle necessità della nazione: incoraggiate ad assumere ruoli tradizionalmente maschili in tempi di guerra, sono poi state spinte nuovamente nella sfera domestica in tempi di pace per rafforzare strutture familiari conservatrici.
Man mano che il nazionalismo si adatta alle sfide contemporanee, il suo impatto sui ruoli di genere resta evidente. I movimenti nazionalisti moderni, spesso allineati con politiche reazionarie e autoritarie, cercano di smantellare le conquiste femministe, attaccando i diritti riproduttivi, le comunità LGBTQ+ e le politiche per l’uguaglianza di genere sotto la maschera della difesa dell’identità nazionale e dei valori tradizionali. In questo contesto, il femminismo intersezionale rappresenta un contrappunto fondamentale, rivelando come nazionalismo, patriarcato e oppressione sistemica siano forze intrecciate da smantellare collettivamente.
La minaccia femonazionalista
Una forma più insidiosa di nazionalismo è emersa negli ultimi anni, mescolando retorica femminista con politiche xenofobe. Questo fenomeno, descritto dalla sociologa Sara Farris come “femonazionalismo”, strumentalizza il discorso sull’uguaglianza di genere per giustificare agende razziste e anti-immigrazione. I partiti nazionalisti europei, ad esempio, hanno utilizzato i diritti delle donne come arma per rappresentare le comunità “musulmane” e “migranti” come intrinsecamente oppressive, rafforzando la falsa narrazione che l’uguaglianza di genere sia un valore esclusivamente occidentale.
Il femonazionalismo distoglie l’attenzione dalle disuguaglianze sistemiche presenti nelle società occidentali, esternalizzando l’oppressione di genere e presentandola come un problema confinato oltre i confini europei. Questa narrazione ideologica assolve le nazioni occidentali dalle proprie strutture patriarcali, marginalizzando ulteriormente le donne migranti e riducendole a oggetti di intervento statale piuttosto che riconoscerle come soggetti attivi della propria liberazione.
Nel frattempo, la realtà della violenza di genere in Europa resta una questione sistemica. Nonostante i progressi del femminismo, la violenza di genere continua a mietere vittime in tutto il continente. I dati mostrano che violenza domestica, femminicidi e violenza sessuale sono ancora diffusi, con governi nazionali che faticano a implementare misure adeguate di prevenzione e supporto. La retorica nazionalista, pur dichiarando di voler proteggere le donne da “minacce esterne”, ignora spesso la violenza strutturale e sistemica perpetrata all’interno delle stesse società europee, in particolare da uomini vicini o legati alle donne che ne sono vittime. Questa contraddizione smaschera l’ipocrisia delle narrazioni femonazionaliste, che usano i diritti delle donne come strumento politico ma non affrontano la violenza profondamente radicata nei propri sistemi culturali e giuridici.
Donne come soggetti rivoluzionari
Nel corso della storia, le donne hanno svolto ruoli fondamentali nei movimenti rivoluzionari, nonostante la loro sistematica esclusione dagli spazi politici. L’intersezione tra genere e altre forme di oppressione ha posto le donne in prima linea nelle lotte per la giustizia, dai movimenti anticoloniali alle battaglie contemporanee per i diritti riproduttivi e la tutela del lavoro.
La teoria femminista, in particolare nella sua declinazione intersezionale, offre un quadro analitico per comprendere non solo l’oppressione di genere, ma anche le strutture più ampie che la sostengono. Come suggeriva Antonio Gramsci con il concetto di egemonia culturale, il potere si mantiene non solo attraverso la coercizione, ma anche tramite la normalizzazione di credenze e strutture sociali. Il femminismo sfida queste strutture egemoniche, mettendo in luce come leggi, istituzioni e norme sociali perpetuino la disuguaglianza di genere.
Verso un futuro federalista
La risposta al crescente nazionalismo e alle disuguaglianze dilaganti risiede in una visione politica che valorizzi la diversità, promuova una comunità fondata su valori condivisi e istituisca un sistema istituzionale radicato nel principio di sussidiarietà. Il federalismo, come alternativa al nazionalismo, propone un’organizzazione politica basata sulla cooperazione e sulla risoluzione pacifica dei conflitti di fronte alle sfide globali. A differenza delle ideologie nazionaliste, che si nutrono di divisione, il federalismo promuove l’unità attraverso il riconoscimento reciproco e il governo condiviso, immaginando un mondo in cui l’umanità e il pianeta siano soggetti politici centrali.
Il federalismo non è soltanto un sistema di governo; è un modello che assicura una distribuzione equa del potere su più livelli. Fornisce una struttura in cui l’autorità è condivisa tra diversi enti di governo, prevenendo la centralizzazione del potere che spesso genera esclusione e oppressione. Un approccio federalista rispetta le differenze culturali e regionali, assicurando al contempo il rispetto universale dei diritti e delle libertà fondamentali.
Al cuore del federalismo si trovano valori fondamentali: la pace al centro, interdipendente a democrazia, solidarietà, giustizia sociale, uguaglianza e sostenibilità. La pace non è semplicemente assenza di guerra, ma la base su cui poggiano tutti gli altri diritti e libertà. Senza pace, la democrazia non può prosperare e la giustizia rimane irraggiungibile. L’interconnessione di questi valori fa del federalismo non solo un modello di governance, ma una visione di mondo in cui la cooperazione sostituisce il conflitto.
Le istituzioni federali svolgono un ruolo cruciale nella difesa del principio di sussidiarietà – secondo cui le decisioni devono essere prese al livello più vicino possibile alle persone, mentre i livelli superiori intervengono quando necessario per proteggere diritti e garantire equità. Queste costruiscono anche la capacità di investire nei beni comuni, in grado di affrontare le oppressioni e le disuguaglianze.
Oltre ai suoi aspetti strutturali, il federalismo rappresenta una trasformazione socio-culturale più ampia. Promuove una società interculturale e intersezionale, che abbraccia la diversità come fonte di forza, anziché di divisione, dove l’oppressione è riconosciuta e affrontata. Una società federalista è una società che trova unità nella diversità, fondata su valori comuni. È una società che si riconosce nell’empatia tra persone di luoghi diversi, dove si partecipa insieme alla costruzione di un futuro comune e pacifico.
Conclusione: un appello all’azione collettiva
La lotta contro il nazionalismo, il patriarcato e l’oppressione sistemica non può essere condotta in isolamento. Richiede una rielaborazione collettiva delle strutture politiche, che metta la giustizia al centro, rifiutando l’esclusione e privilegiando la cooperazione alla divisione. Lo sguardo femminista intersezionale offre uno strumento potente per comprendere e sfidare l’oppressione in tutte le sue forme, mentre il federalismo rappresenta un’alternativa concreta alle politiche escludenti del nazionalismo.
Il cammino da seguire non consiste in una ritirata verso ideali reazionari, ma nella costruzione di nuove alleanze e di un futuro radicato nell’inclusività, nella giustizia e nella liberazione collettiva. Se il nazionalismo è la politica della divisione, allora l’intersezionalità e il federalismo possono diventare la politica della speranza e dell’unità. La battaglia non è contro una sola forma di oppressione, ma contro le strutture che la rendono possibile – per garantire che il potere di tutte le persone, in particolare di chi è stato storicamente marginalizzato, venga riconosciuto e sostenuto nella costruzione delle società di domani.
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