L’Italia viola il concordato
«Il nostro è uno Stato laico, non è uno Stato confessionale. Il Parlamento è libero di discutere e legiferare (...). Il nostro ordinamento contiene tutte le garanzie per verificare che le nostre leggi rispettino sempre i principi costituzionali e gli impegni internazionali, tra cui il Concordato con la Chiesa».
A ribadire che lo Stato italiano è laico, è un cattolico come Draghi. Lo fa alla Camera il 23 giugno, nel corso delle comunicazioni al Parlamento in vista del Consiglio europeo del 24 e 25 giugno.
In questi giorni la critica è stata rilanciata da Fedez che, grazie alla sua visibilità (come accaduto nella giornata del primo maggio), è tornato a parlare del decreto e più in generale dei rapporti tra Stato e Chiesa Cattolica.
Il ddl zan
Il ddl Zan, approvata alla Camera il 4 novembre 2020, si riallaccia alla legge Mancino che contrasta i reati di razzismo e prevede il carcere da uno ai quattro anni per chi istiga alla violenza omofobica, intervenendo sull’articolo 604 bis del codice penale.Vi è poi una parte non repressiva che mira a diffondere una cultura della tolleranza: in particolare viene istituita una data italiana, il giorno 17 maggio, quale «Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia».
Dopo l’approvazione alla Camera la legge rimane per lunghi mesi in stallo in commissione Giustizia al Senato a causa dell’ostruzionismo della Lega e del suo senatore Andrea Ostellari, presidente della commissione Giustizia. Il 28 aprile la legge viene calendarizzata in commissione a Palazzo Madama ma la legge finisce in stallo. Il relatore è lo stesso presidente Ostellari, fatto che scatena polemiche fra i Partito Democratico e Movimento 5 stelle. Intanto il centrodestra presenta il suo ddl alternativo, la legge Ronzulli-Salvini.
Il concordato
Il Concordato fra Stato italiano e Chiesa cattolica era già presente nei Patti Lateranensi: vennero sottoscritti l’11 febbraio del 1929 dal regime fascista con a capo Mussolini e dal Cardinale Pietro Gasparri, l’allora segretario di stato Vaticano.I Patti Lateranensi furono gli accordi che misero fine alla disputa che da sessant’anni divideva la Chiesa cattolica e lo Stato italiano. Prima della firma non esisteva, almeno formalmente, alcun rapporto tra Stato e Chiesa: il papa si considerava un “prigioniero politico” di Casa Savoia, che per due volte invase lo stato pontificio fino a ridurlo alla sola città di Roma. L’Italia non veniva riconosciuta come stato legittimo e ai cattolici non era consentito (almeno ufficialmente) partecipare alla vita politica del Paese. Negli anni il divieto venne considerevolmente attenuato de facto, ma la il processo si concluse ufficialmente con Mussolini che il papa definì “l’uomo della Provvidenza”: i patti consistevano in concordato e trattato. Allegata a quest’ultimo (non modificato poi nel 1984) vi era la Convenzione finanziaria, che regolava le questioni sorte dopo le spoliazioni degli enti ecclesiastici. In particolare l’Italia avrebbe versato alla ratifica 750 milioni di lire e titoli di Stato per un miliardo. A seguito di questi pagamenti nacque una sezione per gli investimenti della Chiesa, l’Amministrazione Speciale della Santa Sede. Anni dopo verrà creato lo Ior.
Il Concordato regolava i rapporti tra Stato e religione cattolica , assegnando a quest’ultima una serie di vantaggi , tra cui quello di essere riconosciuta come “religione di Stato” . Riconosceva la sovranità della Santa Sede e il nuovo stato del Vaticano, regolava l’esercizio del culto e lo statuto di sacerdoti e vescovi e, tra le altre cose, riconosceva gli effetti civili del matrimonio cattolico .
Con la fine della monarchia i patti furono riconosciuti all’articolo 7 della Costituzione della Repubblica Italiana, il quale prevede anche che una loro modifica «accettata dalle due parti» non richiedesse un procedimento di revisione costituzionale. Proprio in base all’articolo 7 della Costituzione, nel 1984, dopo lunghi e difficili negoziati, il governo guidato da Bettino Craxi si accordò con la Chiesa per una serie di modifiche. Il Concordato attualmente in vigore è dunque quello che venne sottoscritto il 18 febbraio 1984.
Una delle modifiche più importanti fatte negli anni Ottanta fu la rimozione della clausola che definiva la religione cattolica “religione di stato” dell’Italia, trasformando l’ora di religione nelle scuole, fino a quel momento obbligatoria, in facoltativa. L’accordo introdusse comunque la libertà della Chiesa di istituire scuole ai cui frequentanti venisse assicurato un trattamento “equipollente” a quello degli istituti pubblici.
Il Concordato da un lato provocò una separazione più netta fra lo Stato Italiano e la Chiesa, dall’altro fece alcune concessioni difficilmente compatibili con uno stato totalmente laico: ad esempio le agevolazioni fiscali concesse alla Chiesa cattolica, l’obbligo di insegnare la religione cattolica nelle scuole (poi parzialmente modificato) e lo stesso meccanismo dell’otto per mille.
La supposta incompatibilità tra ddl Zan e concordato
Il secondo articolo del testo (quello esplicitamente citato nella nota che il Vaticano ha inviato al governo italiano) assicura alla Chiesa piena libertà «di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica». L’accordo garantisce anche «ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Ma come vengono quindi tutelata la libertà di manifestazione del pensiero?
Nel ddl Zan è stata inserita una disposizione in tal senso (l’art. 4) per la quale sono fatte “salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Si collega al ben più celeberrimo art. 3, comma 1, della Costituzione italiana, dove sono contenuti il principio di pari dignità sociale dei cittadini, il principio di eguaglianza davanti alla legge e il principio della irrilevanza della “distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Secondo la Nota inviata da monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, il ddl Zan violerebbe quindi in «alcuni contenuti l’accordo di revisione del Concordato». Una Nota Verbale, quella della Segreteria di Stato vaticano, che è stata «consegnata informalmente all’Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede il 17 giugno 2021», “non vuol essere un tentativo di bloccare la legge ma una richiesta di rimodulazione per consentire alla Chiesa di esercitare la libertà pastorale, educativa e sociale". La nota del Vaticano, di per sé un atto diplomatico, esprime la preoccupazione che le disposizioni del ddl Zan “avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario”. La Chiesa teme che le dichiarazioni di alcuni sacerdoti o membri della Chiesa, se espresse in pubblico, possano essere perseguite come reato in seguito all’entrata in vigore del ddl Zan.
A preoccupare la Santa Sede è anche l’articolo 7 del ddl «Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità», che non esenterebbe le scuole private dall’organizzare attività in occasione della costituenda Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia e la transfobia. Il ddl Zan quindi attenterebbe alla «libertà di pensiero» dei cattolici. “Non si contesta la legittimità di tutelare determinate categorie di persone, ma si segnala il rischio di ferire libertà sancite dal Concordato”, commenta a Vatican News, il costituzionalista Cesare Mirabelli.
Il modello europeo, in tal senso, non è il modello francese della Repubblica laica (art. 1 cost. fr.), del pensiero modernista della terza Repubblica, della legge del 1905 e della legge sul velo del 2004 (legge n. 2004-228 del 15 marzo 2004), quanto piuttosto quello della cooperazione delle Chiese con lo Stato, tipico della maggior parte dei Paesi europei.
La stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è intrisa dei medesimi principi con il riconoscimento della “libertà di pensiero, di coscienza e di religione” (art. 10) e prevede il divieto di qualsiasi forma di discriminazione fondata, non solo “sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura”, ma anche sull’“orientamento sessuale” (art. 22.1 Cdfue).
Le differenze con il modello francese
Il presidente francese, intervistato dopo il consiglio Europeo è netto. Afferma un principio inviolabile per la Francia, quello della laicità dello Stato e della rigida separazione con le confessioni religiose: ’’In Francia decide il governo (...). Vengo da un Paese che è laico e secolare da parecchio secoli...’’. Lo sostiene sorridendo, in modo da rimarcare la dichiarazione.
“La laicità, interpretata come separazione totale tra i poteri pubblici e le religioni, fa parte intrinseca della cultura francese da più di un secolo, ma qualcosa sembra cambiare. Rispetto alle diverse concezioni della laicità presenti nelle esperienze dei Paesi occidentali, la laicité francese appare caratterizzata da una propria specificità, non solo giuridica e istituzionale, ma essenzialmente culturale incarnata nell’idea repubblicana che, in un certo senso, rappresenta una sorta di sacralizzazione dell’unità del corpo sociale, avente quasi i caratteri propri di una religiosità potremmo dire secolarizzata”, scrive la Stampa.
La costituzionalizzazione della laicità della Repubblica segna il passaggio da una «laicité de combat», caratterizzata dal separatismo dello Stato rispetto alle religioni e intesa come lotta ostile e combattente rispetto alle pretese confessionali, ad un sistema giuridico che garantisce il pluralismo della società attraverso la separazione tra valori propri dell’ordinamento politico, valevoli per tutti, e valori espressione di fede religiosa, che attengono al privato delle coscienze.
Durante la rivoluzione francese la Chiesa cattolica perse gradualmente la maggior parte del suo potere ed influenza; la Costituzione civile del clero promulgata nel 1790 mise tutti i beni ecclesiastici sotto il controllo statale. Ci furono vere e proprie persecuzioni nei confronti dei cattolici fino a alla Convenzione termidoriana (1794-96) e lo scontro tra Stato e chiesa continuò fino al Concordato del 1801 voluto da Napoleone Bonaparte. Con la legge 1905 viene sancita la separazione totale fra Chiesa e Stato. Questa legge rimpiazza il Concordato con il Vaticano del 1801, che resta tutt’ora oggi in vigore in Alsazia-Mosella (la regione di Strasburgo). La legge del 1905 stabilisce la libertà di coscienza e dichiara il libero esercizio dei culti. Allo stesso tempo lo Stato cessa di finanziare i culti religiosi: sono quindi aboliti gli stipendi ai ministri di culto e le sovvenzioni pubbliche alle religioni. Anche le statistiche etnico-religiose sono vietate, motivo per il quale è difficile oggi fare stime.
Nel 2004 un’ulteriore legge vieta l’uso di simboli religiosi a scuola (croci, kippah, velo islamico ecc) per garantire lo spirito laico dell’istituzione pubblica. Nell’ottobre 2010 la Francia è stato il primo Paese europeo a vietare l’uso del burqa negli spazi pubblici in nome dell’apparenza repubblicana. Le donne trovate con il burqa pagano una multa di 150 euro.
D’altra parte la primazia della religione cattolica è evidente nel settore pubblico italiano: sulle pareti delle scuole pubbliche e dei tribunali si trovano crocifissi; circostanza invece impensabile in Francia. Una sentenza della Suprema Corte di Cassazione italiana del 14 marzo 2011 riguardava il rifiuto di un giudice di tenere un’udienza in un’aula contenente un crocifisso, in quanto l’esposizione di tale simbolo religioso avrebbe violato la sua libertà di religione e d’opinione. La Suprema Corte ha affermato che il giudice ha illecitamente rifiutato di eseguire la propria prestazione lavorativa. In Francia, con la vigenza di un principio assoluto di laicità nel settore pubblico, il comportamento tenuto dal giudice sarebbe risultato lecito.
In Francia il principio di laicità ha sicuramente un valore costituzionale e simbolico forte, ma non si applica alle imprese private. A tal proposito, la sentenza Baby Loup del 25 giugno 2014 ha statuito che tale principio di diritto amministrativo si applica agli enti pubblici ovvero alle imprese private incaricate di un servizio pubblico, ma non ai dipendenti delle imprese private, al contrario dell’Italia.
Sebbene il diritto dell’Unione Europea si applichi parallelamente in Italia, il quadro globale interno è in questo caso diverso, con la previsione di un principio costituzionale di laicità, temperato da una sorta di primazia, storica e culturale, riconosciuta dallo Stato italiano in favore della religione cattolica al punto tale che in dottrina si parla di principio di “laicità relativa”. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo l’ha ricordato nella sentenza Lautsi del 18 marzo 2011, sottolineando anche il fatto che si sia in presenza “di un panorama europeo assai composito e vario, dal punto di vista sia storico sia culturale”.
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