Il continuo rifuggire le proprie responsabilità, cercando in qualcosa di esterno la concausa del problema, è lo stesso atteggiamento che oggi vede le persone contrastare il piano di contenimento governativo, accusato di essere lento, inefficace, poco tempestivo, di non fare il proprio dovere, di star limitando le libertà individuali. Perché dopo aver accusato cinesi e immigrati, ora si accusa il governo. Non ci si riesce a rendere conto di essere il problema, oggi più che mai. Il senso di responsabilità, che questa epidemia dimostra manca in tantissime nazioni del mondo, è una parte fondamentale del problema della democrazia. Come è possibile prendersi cura di qualcosa come un sistema democratico, se non si è capaci di restare a casa o a Milano per due settimane, dinanzi la sempre più certa evenienza di contagiare l’intero paese, possibilmente mandando a morire centinaia di persone indebolite da altre malattie o dall’età, persone che possono contare solo sugli altri cittadini come scudo contro il virus? Come è possibile essere responsabili se ancora ora gruppi di mamme molto esperte gridano al complotto delle case farmaceutiche e dichiarano di rifiutare fin da ora qualsiasi vaccino, anche per i loro figli?
Siamo vittime non solo della paura, ma del più ancestrale terrore in tutto ciò che non possiamo capire. H.P. Lovecraft lo aveva abilmente scritto nei suoi racconti a inizio secolo scorso, ma oggi più che mai la sua chiave di lettura è attuale: si ha paura, terrore, di ciò che non possiamo comprendere. Il mondo del XXI secolo è un mondo che non riusciamo a comprendere, ivi ne abbiamo paura. Non sappiamo quali siano tutti gli effetti collaterali di un vaccino né da cosa sia composto, quindi lo temiamo. Non sappiamo quali siano gli effetti di un decreto come quello sul Covid-19, quindi tremanti di paura corriamo ai supermercati, probabilmente diffondendo ancora peggio il virus.
In un sistema, sociale ed economico, che ha puntato tutto sulla semplificazione dei problemi, delle interfacce e delle soluzioni, crolliamo dinanzi alla complessità. Crolliamo perché nessuno ha pensato di costruire un sistema pubblico che fosse capace non di spiegare ma di dare gli strumenti per capire, laddove fosse sorto qualcosa di complesso. Non semplificare semplicemente, ma dare lo strumento che permetta alle menti di semplificare, da soli, in autonomia, le cose che ha bisogno di comprendere. Abbassare l’asticella della difficoltà virtualmente ha solo reso più complicato affrontare problemi complessi.
Non serve che ogni cittadino sia medico, né che sia esperto di fenomeni migratori. Che sia però capace di dire la più semplice frase, ovvero “Io ho bisogno di saperne di più”, prima di decidere o urlare, prima di cedere al panico. Ecco, qui c’è l’assedio della democrazia, la sua crisi e la sua ultima battaglia. La democrazia non può vivere se non in un mondo capace di criticare. In un mondo incapace di questo, che cede agli uomini forti, alle urla e alla violenza, al panico ingiustificabile ma da qualcuno giustificato stupidamente, ecco che la democrazia non attecchisce né sopravvive.
Crisi ambientali, migratorie, conflitti, Covid-19, hanno dimostrato al mondo occidentale che viveva nella bambagia e nella sicurezza della semplificazione e del successo, che il mondo è molto più complesso di così. Che il ragazzo che si unisce a Daesh ha delle ragioni proprie, ma anche delle cause sociali; che i virus esistono, si diffondono e limitarli vuol dire modificare i propri comportamenti; che i fenomeni migratori hanno punti di partenza, specifiche motivazioni e che le soluzioni sono collettive, di certo non violente. Si potrebbe continuare a lungo.
Un momento di crisi come quello di questo 2020 è a sua volta un punto di svolta, perché nelle situazioni di crisi si trovano le soluzioni, che possono essere passi avanti, o passi indietro. Entrambi sono possibili e tutto dipende da quali forze si lasceranno vincere, quali agire, quali rimarranno silenti. La democrazia è sotto assedio e sotto pressione, questo non vuol dire che non sia possibile imparare dagli errori che ci hanno trascinato a questo preciso punto della storia. Si può scegliere di agire sulle cause del nostro problema, che sono la rottura di quel patto di fiducia della popolazione e del suo governo (da tutti e due i casi), e allo stesso tempo fornire quegli strumenti alle persone, tutte le persone, di mettere in dubbio e di mettersi in dubbio: una capacità più che mai necessaria per prendere decisioni che siano dettate dalla volontà, non dalla pancia.
Molti diranno: mai è stato così. Anche un mondo in cui i conflitti non sono più la prima causa di morte globale non è mai stato fino ad oggi, eppure è successo. Il cambiamento è necessario se si vuole crescere come razza e come specie e la democrazia, nonostante i suoi difetti, è davvero fino ad ora il miglior sistema possibile, perché è l’unico fino ad ora a tenere al suo centro il potere dai cittadini e non a calarlo da un ente esterno, quale una divinità. Ha dei difetti, e la sua stessa essenza è forse il suo stesso punto debole, ma questo non vuol dire che non meriti di essere difesa.
Covid-19 e la globale sfida climatica e dei suoi effetti dimostrano più che mai che è necessario rendere tutti i cittadini partecipi di queste battaglie, non passivamente, ma come attori attivi. È solo con una lotta proattiva, che sia empowerment dei cittadini e che riformi quel legame spezzato, che possiamo sperare di creare le fondamenta per una democrazia capace di esistere ora come cento anni nel futuro. Bisogna, soprattutto oggi, pensare alle conseguenze non solo a breve, ma a medio e soprattutto lungo termine.
Su questo, l’Unione Europea può essere lo strumento necessario e finale per generare un cambiamento assolutamente oggi necessario, Le entità nazionali hanno mostrato i loro limiti, i loro paradossi e la loro impossibilità a combattere efficacemente le sfide che si celano nel futuro del pianeta.
Certo, ci saranno da combattere l’idiozia e le urla mandate via web e per le piazze del “Vaffa” passato. Ci saranno da combattere gli estremisti, gli odiatori per passione e professione, ma questo non vuol dire che non ne varrà la pena. Almeno per sperare, che è qualcosa già in più del semplice aspettare la prossima crisi mondiale.
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