Dentro le stanze della lotta, lo spazio politico di #DemocracyUnderPressure nelle case dei militanti di tutta Europa

, di Diletta Alese

Dentro le stanze della lotta, lo spazio politico di #DemocracyUnderPressure nelle case dei militanti di tutta Europa
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Articolo pubblicato nell’ambito della campagna 2020 «Democracy Under Pressure» della JEF-Europe, 16-22 marzo 2020.

Si conclude oggi la settimana di mobilitazione per la campagna paneuropea #DemocracyUnderPressure degli Young European Federalists. Nata nel 2006 come “Free Belarus Action”, per protestare contro l’“ultima dittatura europea”, la campagna prende nel 2014 il suo nome attuale, diventando uno strumento permanente di mobilitazione e di monitoraggio sulla salute della democrazia e dello stato di diritto in tutta Europa. L’azione si inserisce nella lotta quotidiana di chi va in “direzione ostinata e contraria”, non potendo ignorare un contesto caratterizzato da crescenti violazioni perpetrate all’interno degli Stati nazionali, da quelli già definiti illiberali a quelli in costante o singhiozzante “transizione illiberale”, per opera degli stessi governi che spezzano il patto costituzionale con i loro cittadini in nome di nuovi autoritarismi.

Quest’anno la campagna ha avuto una declinazione necessariamente differente, poiché quasi tutti i militanti delle tante sezioni del movimento, si sono ritrovati a casa rispettando le misure messe in atto dalle autorità competenti per contrastare la diffusione del COVID-19. Non potendo popolare le strade, le piazze, le scuole e le università, la campagna è tornata ad occupare l’intimo delle nostre case, i più piccoli spazi delle nostre stanze o dei nostri balconi, animando dibattiti online, legando le vite di tutti i militanti “sospesi” nelle loro abitazioni, rivelando ancora una volta il nodo di comunità e continuità che li tiene insieme anche a chilometri di distanza. Tutti abbiamo riempito il nostro piccolo “spazio”, perché ogni spazio è politica. Ogni spazio di espressione è democrazia, soprattutto nei momenti di crisi e di emergenza.

I militanti hanno postato le loro foto imbavagliati per rivelare le storie quotidiane di quelli che oggi vengono messi a tacere, hanno condiviso informazioni sui paesi considerati più a rischio, dall’Ungheria alla Polonia, da Malta all’Italia, dalla Repubblica Ceca alla Bielorussia (la lista è purtroppo ancora lunga). Hanno scritto articoli, e seguito e condiviso quelli pubblicati da Eurobull.it o dalle altre webzines gemelle nelle loro edizioni multilingue. Le sezioni e i militanti hanno diffuso in rete messaggi di lotta e di protesta, e, al contempo, un messaggio di speranza, rivelando la strutturale crisi delle democrazie liberali nazionali, che interessa tutti, senza distinzioni di sorta. Hanno mostrato l’inganno di una democrazia incompiuta, ancorata ai soli Stati nazionali, incorniciata dalle così preziose garanzie costituzionali oggi messe in discussione e violate dagli stessi capi di Stato e di governo, o rimaneggiate e distorte producendo regimi de facto autoritari o illiberali.

I militanti hanno provato a scoperchiare il vaso di pandora, proponendo un futuro e un presente alternativo, in cui la democrazia trovi il suo “spazio” su tutti i livelli, da quello locale a quello sovranazionale e dove i diritti trovino le loro garanzie di salvaguardia in ogni dimensione sociale e politica, tramite la costruzione di istituzioni almeno continentali all’altezza di quei valori. L’attuale assetto dell’Unione Europea non riesce infatti oggi a contrastare le violazioni dei propri Stati, non avendo strumenti sufficienti per farlo. D’altro canto, gli Stati membri o gli altri Stati nazionali, pur essendo firmatari delle carte internazionali, attuano continuamente violazioni delle stesse, in assenza di un sistema istituzionale di reciproca responsabilità e, soprattutto, di solidarietà. Vige di fatto l’anarchia internazionale anche in tema di diritti. In questo senso il destino dei cittadini europei e dei cittadini in transito, nel limbo del loro essere apolidi (vediamo i migranti al confine), non possono essere realmente tutelati né dagli Stati di cui portano la cittadinanza, né dalla loro aspirazione di diventare portatori di diritti a tutti gli effetti.

Condividiamo tutti il destino di un limbo a-democratico, dove rimarremo confinati finché non avremo il coraggio di batterci e di realizzare il migliore dei mondi possibili. Quale? L’aspirazione dovrebbe essere quella di una reale democrazia europea, una federazione europea, in cui costruire gli strumenti per poter rispondere a sfide e fenomeni di dimensioni globali che non conoscono confini (il COVID-19 è l’ultimo triste esempio insieme al disperato bisogno di garantire beni comuni sovranazionali), e per poter essere cittadini reali di questo mondo, con strumenti democratici di tutela e di riacquisizione di una “voce” che non ci è stata mai realmente data. In ultima istanza, la speranza di poter essere parte di una comunità politica più ampia, continentale e in prospettiva globale, in cui tutelare le garanzie costituzionali anche sul livello Europeo. Se i rischi sono ormai globali, perché non possono esserlo anche i diritti, le costituzioni e le istituzioni per rispondervi?

Non si tratta infatti solo di interrompere il circolo infernale delle violazioni, oggi ormai tristemente quotidiane. La democrazia non ha solo a che vedere con il diritto di voto e la garanzia della rappresentatività (democrazia rappresentativa), ma con la risposta ai bisogni di oggi e di domani (responsività e responsabilità) e con la garanzia delle libertà fondamentali entro un arco ben definito di limiti del politico (elemento liberale, dalla garanzia delle mie libertà alla limitatezza del mio agire per il bene dell’altro e della comunità), entro la certezza della separatezza e indipendenza dei poteri.

Quello che il Coronavirus ci sta insegnando, nella tristezza delle immagini che vediamo ogni giorno, in primis quella della fila lunghissima di mezzi militari che portano sommessamente e silenziosamente le bare da Bergamo, è che serva un nuovo senso di comunità e solidarietà per poter essere pronti a reagire alle crisi del domani, e con questo, un sistema istituzionale in grado di sostanziarlo, per garantire i diritti e i beni comuni che appartengono e dovrebbero appartenere a tutti.

Questa è #DemocracyUnderPressure, una settimana di impegno nella tempesta di un mondo che ha preso strade decisamente sbagliate, da quella del neonazionalismo che distrugge il fragile sistema del multilateralismo, a quella dell’inabilità nel rispondere alla sfida del cambiamento climatico tramite gli strumenti intergovernativi, dalle contraddizioni viscerali che si concretizzano nelle (non) risposte date al fenomeno migratorio, alla violazione dei diritti fondamentali negli Stati illiberali. E questi sono solo alcuni esempi. #DemocracyUnderPressure è oggi un grido di lotta e di speranza in un momento in cui tutte e tutti stiamo limitando le nostre libertà per il bene della comunità, un atto restrittivo ma soprattutto un atto di responsabilità verso l’altro e verso quei beni comuni così fragili (il sistema sanitario in primis). Uno Stato di emergenza in cui è necessario restringere il campo delle libertà, ma durante il quale dobbiamo essere ancora più tenacemente un presidio permanente di democrazia, portando alla luce le contraddizioni di un sistema oggi in crisi e progettando e costruendo un futuro comune, ponendo nuove basi e nuovi presupposti al nostro vivere insieme. Per poter essere più liberi, tutelati, partecipi domani e poter davvero definirci cittadini di una comunità di destino senza confini. Oggi più che mai, riportando le parole di Ulrich Beck, che teorizzò la nostra “società de rischio”: «dobbiamo accettare l’insicurezza come un elemento della nostra libertà. Può sembrare paradossale, ma questa è anche una forma di democratizzazione: è la scelta, continuamente rinnovata, tra diverse opzioni possibili. Il cambiamento nasce da questa scelta». Scegliamo la migliore delle opzioni, scegliamo la democrazia e lo stato di diritto. E realizziamoli.

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