Diamo una chance alla cultura

, di Cesare Ceccato

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Diamo una chance alla cultura

Una delle aree più tralasciate dai Governi dei vari Stati europei e dall’Unione stessa per la ripartenza del dopo-pandemia è la cultura. Che questa noncuranza sia una pessima mossa si nota dalle preoccupazioni dei lavoratori di tale settore, dalle parole degli artisti e, soprattutto, dalla storia.

“La musica è la nostra vera radice di europei ed è quella che ci fa eliminare ogni confine”, così si esprimeva Ezio Bosso nel 2018 davanti al Parlamento europeo. La scomparsa del compositore, pianista, direttore d’orchestra e, dichiaratamente, cittadino europeo, ha riportato il mondo a ragionare sulle sue parole di due anni fa, parole che suonano amplificate nel periodo dell’attuale emergenza pandemiologica nella quale la musica, come tutte le altre forme di arte e cultura, è messa a dura prova.

Giulio Tremonti, tempo addietro, fece un’infelice uscita che rimase fissa nelle menti degli italiani, “con la cultura non si mangia”. Purtroppo, da come la cultura sta venendo trattata nei piani per la ripresa, sembra che gli attuali Governi europei siano dello stesso avviso, sebbene tale frase sia un’enorme fesseria. Si pensi a quante professioni includa il cinema, la cosiddetta ottava arte; oltre ad attrici e attori, vi sono migliaia di donne e uomini che lavorano nel campo della regia, della sceneggiatura, della fotografia, delle luci, del trucco, dei costumi, eccetera. Se è dura per loro, si pensi poi ai gestori delle sale cinematografiche, più di 1.200 solo in Italia, che rischiano di essere uccise dal virus come il video uccise le star della radio nel tormentone dei The Buggles del 1979. Infatti, se i primi potranno tornare all’opera, con le dovute restrizioni, forse già in questi giorni, sui secondi incombe l’ombra delle piattaforme streaming, con cui le case cinematografiche potrebbero chiudere fruttuosi accordi. In più, se le soluzioni per la riapertura dei cinema saranno quelle prospettate, distanziamento rigido, con conseguente taglio dei posti a sedere e aumento dei prezzi del biglietto, non sarebbe una sorpresa vedere sempre più abbonamenti ai servizi “cinema on-demand” e sempre meno persone davanti al grande schermo. Nel corso del lockdown, il valore di Netflix (per citare la piattaforma più popolare) ha superato quella del colosso Disney, che pure ha presentato al di fuori degli Stati Uniti il suo servizio di streaming. Insomma, quando il cinema non c’è, lo streaming balla, ed è difficile immaginare differenze tra l’assenza delle sale e la presenza di sale economicamente fruibili da pochi.

In ambito teatrale, la sopravvivenza è ancora più difficile. Il bello del teatro è la sua realtà, la sua diretta, il rumore degli applausi, del brusio o delle risate del pubblico presente. Il teatro non ha la possibilità di legarsi allo streaming, se la vedono quindi nera sia i gestori, sia chiunque lavori sul palco e dietro le quinte. Va salvato, come vanno salvati i concerti, quelli del 2020 sono slittati anche di un anno, o sono addirittura stati annullati. Artisti e produttori brancolano nel buio, sapendo che, specialmente per quelli svolti davanti a un parterre, sarà impossibile rispettare le condizioni dei comitati tecnico-scientifici che vorrebbero una sola persona al metro quadro.

È indiscutibile che i settori di cui l’Europa deve occuparsi siano tanti, ma è, allo stesso tempo, incredibile che i Governi non vogliano imparare dalla storia. Con questo, faccio riferimento a una delle più grandi (se non, la più grande) crisi accaduta sinora, la Grande Depressione del 1929, che mise in ginocchio gli Stati Uniti d’America. Ebbene, a quella crisi, l’allora Presidente Franklin Delano Roosevelt rispose con il mitologico New Deal. Tale programma di ripartenza produttiva insistette molto sulla cultura. Gli artisti tutti, vennero trattati come professionisti, lavoratori di fatto, cosa che, purtroppo, raramente accade oggi. Per affrontare la disoccupazione nei settori culturali, furono intrapresi numerosi sforzi federali. Per quanto riguarda l’arte grafica, è impossibile non citare il Public Works of Art Project, programma sperimentale che impiegò artisti allo scopo di creare opere per abbellire scuole pubbliche, orfanotrofi, biblioteche, musei e sedi federali e statali. Rilevante importanza ebbe anche la Federal Emergency Relief Administration, che concesse ai Governi statali e locali sovvenzioni federali finalizzate a sostenere piccole unità di artisti, di queste, gran parte fu usufruita da piccole unità teatrali e realtà cinematografiche indipendenti e non.

È grazie agli incentivi del New Deal se, negli anni successivi, Andy Warhol e Roy Lichtenstein poterono sperimentare in campo artistico, donando al ventesimo secolo l’apprezzatissima Pop Art, se Orson Welles poté fare della sua passione un lavoro, non dovette cercare una professione alternativa, e rese grandi il Lafayette Theatre e il Mercury Theatre di New York prima di realizzare quella pietra miliare che è Quarto Potere, se l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, quella che assegna i Premi Oscar, poté vedere effettivamente realizzata, frequentata e avvalorata la prima scuola di cinema americana, fondata in collaborazione con la University of Southern California solo un anno prima della crisi. Fu una svolta radicale che portò la Land of Free a eguagliare e, sotto alcuni aspetti, a superare il vecchio continente in una delle aree di cui quest’ultimo si è sempre fatto, giustamente, vanto.

Da tempo diciamo che l’Europa è in pericolo, per le discordie interne, per lo strapotere dei grandi Stati esteri, per le campagne elettorali sovraniste, per le ripercussioni delle crisi affrontate negli ultimi anni. Ritrovare le radici, rafforzarle, annaffiarle è l’unico modo per sopravvivere; come diceva Bosso, le radici le abbiamo nella cultura, non è un caso che l’inno dell’Unione Europea sia la Sinfonia n.9 di Ludwig van Beethoven, un brano da brividi di un artista immortale. Se questo non bastasse, si guardi a cos’è successo negli scorsi giorni. Il, per ovvi motivi, non organizzabile Eurovision Song Contest di quest’anno non è stato cancellato, ma sostituito da un evento intitolato: Europe Shine a Light. In esso, gli artisti di tutta Europa (e non) si sono esibiti da casa propria, o meglio, da luoghi culturali di casa propria, dando vita a uno show ineguagliabile anche da oltreoceano. È quindi importante e necessario dare una chance alla cultura, spingerla, sostenerla, investirci proprio ora; questo non solo darebbe una mano a tanti lavoratori di quel campo, come fecero Roosevelt e il suo Gabinetto novant’anni fa, ma aiuterebbe il nostro continente a mettere a nudo un’anima che, da ormai troppi anni, sembra giacere dimenticata da qualche parte in soffitta.

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