Dal 2015 l’Europa intera sta affrontando una nuova sfida: ingenti flussi di migranti provenienti principalmente dal nord Africa e dal medio Oriente. Nulla di nuovo per l’Italia, Malta e la Grecia, che sono da sempre lido di approdo per i disperati che decidono di abbandonare i propri travagliati Paesi e di attraversare, a rischio della vita, il Mediterraneo per arrivare in Europa.
I richiedenti asilo, tra i migranti, non sono stati così tanti. Per questo l’UE ha sviluppato solo deboli politiche di asilo, all’interno dell’infame regolamento di Dublino, lasciando gravare pesanti responsabilità sulle spalle delle nazioni di prima accoglienza, ovvero quelle del mediterraneo.
Queste ultime sono state abbandonate a se stesse e si sono trovate a pattugliare i mari e le coste con i propri mezzi, a parte lo sparuto aiuto dato dal programma Frontex+, posto in essere a seguito delle pressioni dell’Italia dovute al crescente numero di sbarchi illegali, incoraggiati dall’instabile situazione politica in Libia.
Durante la guerra civile siriana i migranti hanno usato anche un altro percorso, questa volta terrestre, per raggiungere l’Europa, la cosiddetta “Balkan route”, che attraversa Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Croazia, Ungheria o Slovenia, per arrivare alle destinazioni più ambite: Austria, Germania, Danimarca e Svezia. Nel mese di agosto sono iniziati i problemi al confine tra Macedonia e Serbia, e tra Serbia e Ungheria. Il governo ungherese ha risposto con il ben noto “muro”, Croazia e Slovenia hanno rafforzato i controlli alle frontiere. L’Austria e la Germania si erano inizialemente mostrate solidali, ben presto, però, il flusso di rifugiati e migranti è divenuto troppo intenso, gli incidenti in cui erano coinvolti stranieri troppo numerosi, gli autoctoni troppo ostili e i costi troppo elevati.
Dal 1 febbraio sono stati reintrodotti controlli alle frontiere in Germania, Austria, Danimarca, Norvegia e Svezia (e Francia, dopo gli attentati del 13/11/15 a Parigi); la Svezia sta respingendo 80.000 richiedenti asilo; la Danimarca sequestrerà i beni dei migranti di valore superiore alle 10.000 corone.
La situazione si è inasprita rapidamente.
Nel frattempo, all’interno dell’UE diversi sono stati i tentativi di trovare una soluzione: introdurre le quote per la ridistribuzione dei richiedenti asilo; migliorare il controllo delle frontiere esterne; rinegoziare il regolamento di Dublino. Non si è giunti ad alcuna decisione definitiva e l’UE come istituzione sta rischiando di collassare a causa di 500.000 migranti.
Non è la libertà di movimento all’interno dell’UE il problema. La libertà e i diritti non possono essere problemi. Il problema è che, ancora una volta, gli Stati membri non riescono a trovare una soluzione comune mediante il sistema intergovernativo dell’Unione.
Porre dei limiti all’efficacia dell’accordo di Schengen è semplicemente sbagliato, perché la questione dei flussi dei migranti verso l’Europa è qualcosa che riguarda le frontiere esterne dell’UE, mentre gli Stati membri stanno cercando una soluzione per le frontiere interne. L’azione unilaterale è sbagliata, perché si tratta di un problema che riguarda l’Europa intera e pertanto necessita di un’unica, comune, risposta da parte di tutta l’Europa. Il sistema intergovernativo ha già mostrato, e mostrerà, i propri limiti: pochi governi sono in grado di danneggiare gli interessi dell’intera Unione per i propri interessi personali, senza capire che se l’Unione collasserà lo faranno anche loro. La soluzione logica è quella di implementare un’unica azione riguardante la protezione delle frontiere esterne dell’UE, l’identificazione dei migranti e l’analisi delle loro richieste di asilo, sostenuta da politiche uniche per l’asilo e la politica estera.
È assolutamente necessario superare il regolamento di Dublino e il sistema intergovernativo per procedere verso un sistema federale. JEF-Europe, credendo fermamente nella necessità di un ulterior sviluppo democratico dell’integrazione politica dell’Unione europea verso una federazione come unica possibilità per affrontare I problemi del mondo globalizzato, rispettando sempre I principi di democrazia, libertà, sussidiarietà, e stato di diritto ha chiesto alle proprie sezioni e i propri militanti (30.000 in più di 35 Paesi europei) di mobilitarsi in una campagna chiamata #DontTouchMySchengen. La campagna si è svolta sui social nella prima settimana di febbraio ed ha raggiunto l’apice il 6 febbraio con azioni in dozzine di piazza e strede europee nelle quali i militanti JEF hanno chiesto un’Europa libera, democratica e federale ed hanno protestato contro la fine della libertà di movimento in Europa. #DontTouchMySchengen!
1. su 22 febbraio 2016 a 17:28, di Andrea In risposta a: #DontTouchMySchengen: perché?
La mobilitazione si ferma ai social?
2. su 24 febbraio 2016 a 13:56, di Jacopo Barbati In risposta a: #DontTouchMySchengen: perché?
No, Andrea. In oltre 25 città europee di 8 Paesi differenti ci sono state manifestazioni pubbliche di protesta. Particolarmente degne di note sono state la marcia Perl-Schengen, riportata da "Der Spiegel", e la manifestazione di Firenze, che ha coinvolto centinaia di manifestanti. Saluti
3. su 25 febbraio 2016 a 12:01, di Andrea In risposta a: #DontTouchMySchengen: perché?
Grazie per l’informazione Jacopo. Peccato che i media italiani non abbiano dato molta eco a questa manifestazione (di cui non sapevo nulla, benché mi ritenga al corrente dell’attualità europea).
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