Envicrime: miliardi di euro in profitti illegali

Envicrime: miliardi di euro in profitti illegali

, di Anicet Delporte

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Envicrime: miliardi di euro in profitti illegali
Il taglio di legna non controllato e non regolamentato fa parte dei cosiddetti envicrime. Foto di Jonathan Lampel su Unplash

Uno dei principali crimini connessi sia nel mondo che in Europa, secondo l’ONU, e sta crescendo di circa 5-7% ogni anno, garantendo miliardi di dollari di profitto. Ma i crimini ambientali sono ancora poco definiti, poco conosciuti e per questo poco combattuti. Ne parliamo con Lorenzo Colantoni, ricercatore dell’Istituto Affari Internazionali, in questa intervista condotta da Anicet Delporte di «Think Tank+».

Anche nel diritto internazionale ha fatto breccia il grave illecito ambientale. L’ambiente non è più, ormai, visto come un problema di hippie e ambientalisti, né come una risorsa che si può sfruttare e sfruttare senza limiti. A maggiore attenzione sono corrisposte maggiori regole in termini di sostenibilità ambientali, volti alla preservazione anche in termine di sostenibilità generazionale, tesa verso il futuro.

Nonostante ciò, ad un maggior numero di regole sono corrisposte anche violazioni, illegalità, tentativi di aggirare la legge per profitto e vantaggio. L’Europa, nonostante tutto, non è esente da questi crimini ambientali. Ne parliamo nell’articolo di oggi, un’intervista, che si propone di affrontare il problema degli envicrime, come l’Unione Europea li affronta, come sono visti nel discorso pubblico, anche specialistico, contemporaneo. Lo facciamo con Lorenzo Colantoni, che è ricercatore presso l’Istituto Affari Internazionali di Roma. Lavora come giornalista freelance e come consulente, ed è specializzato in energia e ambiente, con particolare attenzione alle politiche e al contesto europee. In precedenza ha lavorato per il CEPS a Bruxelles nel settore dell’energia e anche per la Commissione europea (DG DEVCO) in materia di risorse naturali e sicurezza alimentare. È co-autore, insieme a Margherita Bianchi, di Fighting Environmental Crime in Europe, il primo rapporto del progetto [AMBITUShttps://www.iai.it/en/ricerche/time-has-come-reverse-movement-ambitus], diretto dal Ministero dell’Interno francese e finanziato dal Fondo di sicurezza interna dell’UE per combattere il reato ambientale internazionale. Qui è intervistato da Anicet Delporte, il fondatore di Think-Tanks’+ (una piccola agenzia di stampa dedicata ai gruppi di riflessione - think tank - con sede a Parigi).

Qual è la definizione di “reato ambientale”?

A dire il vero, il principale problema riguardo al reato ambientale è la mancanza di una definizione comune e chiara sia a livello europeo che a livello mondiale. Nel nostro rapporto abbiamo citato la posizione della Commissione europea che considera reato ambientale qualsiasi reato che determina un “danno o rischio significativo per l’ambiente e la salute umana”, ma questa è certamente ben lungi dall’essere una definizione corretta. Esistono singole definizioni per singoli reati riguardanti, per esempio, il traffico di rifiuti o di specie selvatiche, ma non abbiamo un approccio generale. Probabilmente questo è il più grande aspetto negativo dell’azione contro il reato ambientale, almeno per i Paesi europei.

“Envicrime” è la forma abbreviata di “environmental crime”?

Sì, è solo una scelta stilistica per evitare di ripetere ogni volta “environmental crime” nel testo e significa “reato ambientale”.

Ho sentito di recente che le ONG ambientaliste non si basano necessariamente sulla stessa definizione di envicrime su cui si basano i governi…

I Governi si concentrano sugli aspetti legali delle definizioni, invece le ONG possono avere una sfera d’azione più ampia nelle loro attività ambientali. Le istituzioni sono a volte più lente nell’inserire il reato ambientale nel loro quadro giuridico e questo ha come conseguenza che i reati ambientali vengono fatti rientrare in altre categorie di reati oppure non vengono considerati affatto dei reati. Ecco perché a volte vi è una discrepanza tra le due definizioni.

E ho letto nel tuo rapporto che persino all’interno dell’UE le definizioni di envicrime possono variare sensibilmente…

Questo è un problema di grande rilievo. Talvolta uno Stato membro ritiene che un reato sia un reato

ambientale, mentre per un altro Paese si tratta solo di un illecito non specifico. Talvolta lo stesso reato è passibile di sanzioni penali in un Paese, mentre in un altro, magari confinante con il primo, al trasgressore vengono irrogate solo sanzioni amministrative. Considerando la natura consistente e transfrontaliera della maggior parte dei reati ambientali, questa discrepanza tra gli Stati membri ha un notevole impatto sulla possibilità di un’azione coordinata contro reati che colpiscono diversi Paesi europei, spaziando dal traffico di rifiuti al disboscamento illegale.

E che alcuni Stati membri dell’UE non hanno neanche una definizione ufficiale di envicrime.

Questo è vero e si riflette nell’azione spesso non coordinata in materia da parte delle diverse forze di polizia di questi Paesi. Eppure, negli ultimi anni alcuni Stati membri hanno registrato notevoli progressi nella lotta all’envicrime, creando unità dedicate per affrontarlo, formulando una definizione al riguardo e ottenendo risultati significativi grazie a tali strutture - la Francia è uno di essi.

Personalmente non ho mai visto un envicrime, ma tu affermi che a livello globale è la quarta attività illegale più redditizia?

Sono alquanto sicuro che lo hai visto – solo che probabilmente non lo hai riconosciuto come un reato ambientale. In generale, il reato ambientale ha registrato un’impennata per il coinvolgimento di gruppi della criminalità organizzata perché è molto redditizio e le pene sono chiaramente inadeguate rispetto al suo impatto sull’ambiente e al potenziale guadagno: pensa alla pesca illegale del tonno nel Mediterraneo, allo scarico di rifiuti tossici (il cui smaltimento sarebbe altrimenti molto costoso), al disboscamento illegale. Tuttavia, il reato ambientale non consiste soltanto in operazioni in stile mafioso, ma anche attività all’apparenza perfettamente legali, il cui disinteresse per le leggi in materia di protezione ambientale causa un grande danno agli ecosistemi e alla salute umana – rientrano in queste attività i rifiuti chimici o l’inquinamento dell’aria. Dobbiamo tenere in considerazione due aspetti della questione: l’aspetto criminalità organizzata e l’aspetto “reato dei colletti bianchi”. Quest’ultima varietà di reato è spesso commessa da addetti a lavori d’ufficio o impiegati che spesso sanno poco o nulla dell’illegalità e dell’impatto delle loro attività.

Immagino che non vi siano molti envicrime nell’UE, giusto?

Sbagliato. L’UE è sempre più interessata, e in misura anche notevole, dai reati ambientali e non vi sono Stati membri che non siano colpiti da tali reati. Abbiamo problemi in tutta Europa, dal furto d’acqua in Spagna alla contaminazione con rifiuti tossici di enormi aree in Italia. Vi sono persino nuove categorie di reati che non abbiamo visto finora, quali le frodi in materia di scambio di quote di emissioni. Non siamo solo una vittima di tali reati, ma anche un Paese ricevente e/o di transito per reati commessi altrove – sto pensando alla raccolta illegale di legname dall’Africa e dall’Asia o al traffico di specie selvatiche.

Se fossi un boss mafioso, mi consiglieresti di entrare nell’attività di envicrime (economicamente parlando naturalmente, non moralmente)?

Come detto, il reato ambientale è redditizio e il rischio associato a esso è molto basso. È per questo che molti gruppi della criminalità organizzata si stanno spostando da altri settori, quali il traffico di droga o di armi, al reato ambientale. Nello stesso tempo, questo ci mostra un modo chiaro di affrontare la questione: dobbiamo colpire i trasgressori dove fa più male, vale a dire, al portafoglio. A volte, multe consistenti costituiscono il più grande deterrente perché i reati ambientali sono innanzitutto un reato economico.

Per quanto ne so, né a livello mondiale né a livello europeo esiste un centro di ricerca che si concentri esclusivamente sull’envicrime?

Ciò perché sarebbe difficile definire quali attività dovrebbe svolgere un centro di ricerca del genere. La lotta ai reati ambientali richiede una combinazione di politica, tecnologia, applicazione delle leggi, conoscenze e competenze scientifiche. E questo perché se ne occupano diverse agenzie a livello nazionale ed europeo e da diversi centri di ricerca, studiosi e ONG. Quello che manca è un centro di coordinamento centrale europeo – una “cabina di regia” per le azioni contro i reati ambientali nell’UE.

La multimiliardaria “frode del secolo” relativa alla tassa sulle quote di emissione di carbonio, come la chiamiamo in Francia, era un envicrime?

Se ti riferisci alla truffa delle quote di mercato da 1,6 miliardi di euro, sì, è chiaramente un reato ambientale. Questo è un buon esempio di quanto sia difficile a volte definire un reato ambientale, perché è una categoria che si evolve man mano che si iniziano ad affrontare nuovi problemi, quali il cambiamento climatico.

Talvolta nuove norme ambientali possono generare un envicrime.

Non direi che possono generare un reato ambientale. Talvolta, un eccesso di norme può determinare sovrapposizioni che, a loro volta, possono creare dei buchi attraverso i quali i reati ambientali passano restando impuniti. In generale, dobbiamo trovare un equilibrio tra l’affrontare i problemi con leggi dedicate e l’evitare l’inflazione normativa che potrebbe complicare il lavoro delle forze di polizia, poiché queste ultime dovrebbero possedere una conoscenza incredibilmente vasta da dover aggiornare costantemente.

Gli envicrime sono senza vittime?

Assolutamente no. La questione qui è che i reati ambientali sembrano senza vittime perché il loro impatto è visibile spesso nel medio o persino lungo periodo. Penso all’inquinamento da smaltimento illegale di rifiuti o all’inquinamento dell’aria o dell’acqua e al loro impatto sulla popolazione che vive nelle vicinanze. In Italia, ma anche in tutta l’UE, abbiamo un gran numero di esempi di popolazioni che hanno scoperto di essere state avvelenate solo decenni dopo l’inizio delle attività illegali. Persino reati evidenti, quali gli sversamenti di idrocarburi, hanno effetti duraturi e diffusi che spesso non siamo in grado di prevedere completamente.

La spedizione illegale internazionale di rifiuti costituisce il 25% di tutte le spedizioni di rifiuti!

Sì, come stavo dicendo, si tratta di un esempio di come i reati ambientali vanno esaminati da un’angolatura sia nazionale che internazionale; e affrontare la questione richiederà sia di lavorare a livello nazionale sia di rafforzare la cooperazione internazionale.

Hai esempi di envicrime commessi in Europa da società di capitali famose?

Non sono a conoscenza del coinvolgimento in reati ambientali di società di capitali famose, ma i reati locali sono spesso collegati alla domanda internazionale di merci prodotte o raccolte illegalmente. È stato il caso, per esempio, del disboscamento illegale in Romania, che è stato spinto dalla domanda di legname delle società di altri Stati membri dell’UE.

L’attuale crisi economica probabilmente faciliterà il lavoro dei gruppi della criminalità organizzata coinvolti negli envicrime.

Probabilmente. In generale, i reati ambientali attecchiscono in aree in cui vi sono meno possibilità di guadagnarsi da vivere. Spesso sono attività facili, a basso rischio e remunerative che, comunque, hanno un impatto sulle potenzialità delle aree di essere produttive nel medio e nel lungo periodo. In questo senso, sono un cattivo investimento, ma spesso le crisi economiche spingono le persone a cercare soluzioni immediate e i gruppi della criminalità organizzata ne traggono vantaggio. Sarà di cruciale importanza per il fondo per la ripresa e per tutte le misure di sostegno adottate contro la pandemia del COVID occuparsi delle aree vulnerabili e tenere conto del già evidente aumento dei reati ambientali.

Lorenzo, per concludere la nostra discussione con una nota positiva, cosa diresti?

Anche se è vero che i reati ambientali sono in aumento, è anche vero che viviamo in un’epoca in cui disponiamo di tutti gli strumenti per combatterli. Non è un caso che il progetto Ambitus, in virtù del quale è stato scritto e pubblicato questo rapporto, ha come slogan “È arrivato il momento di cambiare direzione”. Da un punto di vista politico, il Green Deal ha inserito tra i suoi obiettivi fondamentali la protezione della biodiversità e prevede anche una revisione della Direttiva del 2008 in materia di reati ambientali. In diverse occasioni il Consiglio ha indicato che la questione è una delle sue priorità principali e lo stesso hanno fatto molti Stati membri. Da un punto di vista tecnologico, la facilità di adozione e condivisione di database online, l’uso del GIS, dei droni e di altre forme di monitoraggio stanno rendendo la raccolta e lo scambio di informazioni più accurati e semplici che mai. Una crescente consapevolezza ambientale inoltre sta mettendo questi problemi in cima alle agende politiche. In altre parole: adesso è il momento di agire.

Pubblicazione tradotta in italiano dall’originale in inglese, già uscito su «The New Federalist» il 18 dicembre.

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