Essere Migranti ai confini dell’Europa. La Luna di Vasilika ci racconta i campi profughi di Salonicco

, di Virginia Sarotto

Essere Migranti ai confini dell'Europa. La Luna di Vasilika ci racconta i campi profughi di Salonicco

La Grecia ospita ad oggi circa 50.000 richiedenti asilo, il 90% dei quali risiede in campi la cui totale capienza dovrebbe essere 6000 persone. Tanto nei centri costruiti sulle isole egee dalle autorità greche con il supporto dell’Unione Europea quanto nei campi sulla penisola, i migranti subiscono da anni – e soprattutto in seguito all’accordo tra UE e Turchia del 2016 – una serie di violazioni dei diritti umani fondamentali. Infatti è diffusa l’impossibilità di accedere ai servizi sanitari per ricevere cure di base così come la persistenza di condizioni di vita degradanti nei campi, dovute alla mancanza di beni di prima necessità come il cibo e un bagno oltre che alla sistematica violenza patita, sotto varie forme di abuso, dalle persone più vulnerabili che abitano i campi ossia donne e bambini. Inoltre, se in Grecia lo stesso diritto all’asilo era già seriamente a rischio in seguito all’accordo UE-Turchia del 2016, la situazione si è ulteriormente aggravata a inizio marzo 2020, quando il governo greco ha deciso di sospendere le registrazioni delle domande di asilo in seguito alla nuova ondata di persone che dalla Turchia hanno tentato di superare il confine con la Grecia a febbraio. Abbiamo parlato di tutto ciò con Nathalie e Lorenzo, coordinatori della ONG italiana La Luna di Vasilika che dal 2016 opera nei campi profughi di Salonicco. Di seguito riportiamo le loro risposte, fatte di parole e immagini scattate durante il loro lavoro, ad una serie di domande che speriamo possano fare un po’ di luce sulla realtà e il significato della condizione di migrante ai confini dell’Europa.

Come nasce il progetto della Luna di Vasilika? Da quali bisogni e osservazioni siete partiti per aprire questa organizzazione e lavorare nei campi a Salonicco?

La Luna di Vasilika nasce dall’esigenza di continuare a fare qualcosa per delle persone esattamente come noi con la sola differenza di essere nate in un paese teatro di guerre e soprusi ormai da decenni. I rifugiati sono Bambini, Donne, Uomini, con i nostri stessi sogni, gli stessi desideri: un lavoro, una famiglia, una casa in cui sentirsi al sicuro, qualche giorno di vacanza in un’altra città a trovare dei parenti, la laurea, un ruolo in una squadra di pallavolo importante. Se ascoltassimo le loro storie ad occhi chiusi potremmo dire di ascoltare i nostri vicini di casa, e siamo sicuri che tutti sarebbero un po’ più pronti ad aiutarli. E invece, ad occhi aperti, si rivelano una pelle più scura e degli abiti differenti e questi esseri umani diventano dei Diversi, degli Estranei, e tutto si fa più complicato. Siamo coscienti di non potere fermare le guerre, ma crediamo che aiutare queste persone, fossero anche solo poche centinaia, anche solo temporaneamente, sia importante. Dall’inizio delle sue attività, La Luna di Vasilika opera attivamente nel tentativo di assicurare a queste persone il diritto, sempre a rischio, di ricevere cure mediche, grazie a volontari sanitari. Consegniamo inoltre beni di prima necessità, come pannolini, assorbenti, spazzolini da denti, occhiali da vista. Cose che sembrano banali e scontate e la cui mancanza invece pesa come un ulteriore macigno quando vivi in una tenda in un campo profughi. Questi bambini crescono senza scuola, momento fondamentale per ognuno di noi, base per poter essere indipendenti e avere un giorno un lavoro, qualsiasi esso sia, ma anche solo per sapere comunicare con gli altri e far di conto. Noi cerchiamo di fornire loro qualche ora di lezione, perché vogliamo che abbiano delle carte da giocarsi quando, speriamo presto, usciranno dal limbo in cui si trovano. La Luna è nata anche per dare voce a queste persone, per far sì che il resto del mondo sappia cosa hanno subito e cosa stanno ancora affrontando. Testimoniare, raccontare, mostrare è cruciale. Per noi della Luna questi obiettivi sono simboli di un’umanità che r-esiste ancora. Una luce che illumina nel buio, come una Luna che brilla nel cielo.

Chi sono le persone che abitano i campi dove lavorate? Da dove provengono, e come sono arrivati? Se provenienti dalla Turchia, quali testimonianze portano della permanenza nel paese?

La maggior parte dei rifugiati dei campi attorno a Salonicco dove lavoriamo provengono dalla Siria, dall’Afghanistan e dal Kurdistan iracheno. Hanno affrontato lunghi viaggi, cambiato numerose città della Siria in fuga dai bombardamenti che nel corso degli anni hanno martoriato tutta la regione. Una buona percentuale è transitata dalla Turchia e, quando si cerca discretamente di saperne qualcosa in più, la maggior parte scuote la testa e dopo qualche parola che non indica niente di buono preferisce cambiare argomento. Alcuni hanno attraversato i confini a piedi, qualcuno è giunto via mare. A Vasilika ricordo un ragazzino di 10 anni, a cui venne un’infiammazione acuta dell’articolazione femoro-rotulea dopo essere stato inginocchiato per più di un giorno nel fondo di un barchino. Non abbiamo potuto cancellare quell’orribile evento dalla sua vita, ma abbiamo potuto assisterlo con farmaci e con un tutore, ridandogli in breve tempo almeno la possibilità di camminare come prima.

Com’è la vita quotidiana nei campi dove operate in Grecia? Quali sono i bisogni principali su cui agite?

I volontari della Luna, guidati da due coordinatori italiani stabili in Grecia, si recano tutti i giorni nei campi, 365/365 giorni all’anno. Le attività si rivolgono a tutti i rifugiati e garantiscono una suddivisione degli orari per permettere ad esempio alle donne di partecipare in tutta tranquillità in un ambiente protetto e rispettoso della loro cultura. La Luna di Vasilika, in partnership con un’altra associazione, ha ristrutturato un magazzino industriale a pochi metri dal campo-profughi di Diavata, riconvertendolo in uno spazio ospitale munito di uffici, aule, spazi verdi, servizi igienici, infermeria, cucina e di un grande magazzino di stoccaggio dei materiali. A lavori conclusi, la cosiddetta “casa-base” è diventata quindi sede delle attività organizzate: lezioni di inglese, di tedesco, corsi di disegno artistico e tecnico, workshop artistici, laboratori di teatro e musica, attività sportive e ludiche rivolte specialmente ai bambini, ai giovani e alle donne, le categorie più a rischio dentro i campi-profughi. Un esempio tra i tanti dei risultati di queste attività è il “Thessaloniki project”, iniziativa portata avanti da alcuni tirocinanti provenienti dall’Accademia di Belle Arti di Brera che si è conclusa con l’esposizione delle opere dei rifugiati nel centro di Salonicco alla presenza, tra gli altri, del console francese. Prima dell’esistenza di questo spazio, tenevamo le attività negli spazi interni al campo profughi. Da sempre ci occupiamo inoltre della manutenzione degli spazi pubblici, unici a farlo, come segno di lotta contro il degrado pubblico di un luogo già di per sé psicologicamente devastante. Distribuiamo inoltre beni fondamentali per la vita dei residenti (pannolini, saponi, assorbenti, occhiali da vista, latte in polvere) con ripetute consegne all’interno del campo, tenda per tenda, container per container, assicurandosi che tutti ricevano secondo principi di equità ed uguaglianza. Garantiamo inoltre un servizio di assistenza sanitaria, affiancandosi ai medici greci ufficialmente responsabili del campo, grazie ai numerosi volontari medici e infermieri, rendendola una delle pochissime ONG operanti anche a livello di salute. Questi volontari effettuano decine di visite al giorno, sia nell’infermeria sia “a domicilio” all’interno dei container e tende dove vivono i rifugiati. Prestiamo assistenza anche in altri campi, sempre nei dintorni di Salonicco: un’infermeria mobile è stata per esempio organizzata all’esterno del campo di Vaiochori. In questo ed altri campi, la Luna di Vasilika opera attraverso gruppi distaccati di volontari, organizzando quindi lezioni ed attività ludico-ricreative in più luoghi contemporaneamente.

Quali sono le criticità burocratiche maggiori che devono affrontare i richiedenti asilo residenti nei campi profughi in Grecia come quelli dove operate?

Il percorso burocratico dei rifugiati è molto lungo e complicato, e varia molto spesso. Noi non siamo in alcun modo parte di questo processo, tutto si svolge tramite il governo greco e l’UNHCR, i quali hanno degli uffici all’interno del campo. Non possiamo fare nulla per aiutarli e da un certo punto di vista non “vogliamo” farlo, perché noi li sosteniamo su altri aspetti imponendoci di dare a tutti la stessa fornitura e assistenza. Non siamo avvocati né burocrati né membri del governo greco né personale dell’UNHCR, quindi rischieremmo solo di interferire con queste pratiche. È ovvio che siamo a disposizione se succedesse qualcosa per cui possiamo dare una mano o in situazioni di emergenza, ma lasciamo che siano gli organi competenti ad occuparsi delle pratiche burocratiche. I rifugiati spesso attendono settimane in piccole tende con scarsissime protezioni dalle intemperie, prima di essere ufficialmente registrati. Alcuni di loro hanno parenti già ufficialmente impiegati e residenti in paesi europei e tentano il ricongiungimento, altri attendono l’assegnazione casuale in un paese europeo, altri rimarranno in Grecia ad aspettare l’assegnazione di un alloggio in una città che può non essere Salonicco, altri ancora non otterranno lo status di rifugiato (rari casi di persone provenienti da alcuni paesi dell’Africa, ad esempio) e saranno rimpatriati. Tutto ciò segue delle logiche molto complicate e, spesso, illogiche. I rifugiati registrati, se vi è posto, vengono collocati in Isobox (container con piccoli bagni e cucine interni, capacità fino a 6/8 persone in circa 10 metri quadri) o in tende ufficiali UNHCR (con i bagni chimici esterni) e hanno diritto a dei pasti consegnati giornalmente da una ditta greca esterna o ad una cashcard con circa 300€ mensili a famiglia, insufficienti per acquistare cibo e tutto il necessario per vivere come pannolini, saponi, eccetera. La qualità dei loro pasti, sia che forniti sia che acquistati, è purtroppo spesso davvero mediocre ed è per questo che, quando possibile, cerchiamo di distribuire alimenti freschi e ricchi di vitamine. Non è purtroppo sempre possibile distribuire questi alimenti in quanto i costi per rifornire oltre mille persone sono alti. Il percorso burocratico è molto lungo anche per coppie o genitori singoli con bambini: ci sono famiglie nel campo di Diavata che attendono fino a 2-3 anni per una collocazione definitiva.

In seguito all’accordo tra UE e Turchia di marzo 2016, sono continuati gli arrivi a Salonicco? Come sono cambiati in questi 4 anni?

Abbiamo operato in diversi campi, alcuni dei quali oggi chiusi come Vasilika e Derveni, e la situazione non è variata di molto. Certo, rispetto alle migliaia di persone arrivate nel 2015 e 2016 gli spostamenti sono divenuti meno massicci, ma gli arrivi sono costanti: a volte solo una famiglia al mese, a volte 20 persone. Qualcuno arriva dalle Isole, qualcuno dalla frontiera greco-turca a piedi, qualcuno viene rispedito indietro dai Balcani a seguito di tentativi falliti di passaggio clandestino in altro paese europeo… è difficile tracciare un quadro preciso.

I campi di Salonicco hanno risentito in qualche modo della crisi sul confine greco-turco di fine febbraio 2020, quando il presidente turco Erdoğan ha annunciato l’apertura delle frontiere con l’Europa ma la Grecia le ha tenute sigillate e ha sospeso le registrazioni d’asilo?

La situazione di tensione al confine con la Turchia si è purtroppo ripercossa su tutte le realtà della Grecia relative ai rifugiati in quanto sono state sospese le pratiche di richiesta di asilo per coloro che sono entrati in territorio ellenico dall’inizio della crisi sino a data da destinarsi. Quelli che invece sono riusciti ad entrare i primi giorni successivi alla dichiarazione di apertura da parte del Governo di Ankara hanno subito un destino ancor più beffardo, venendo rinchiusi in campi e strutture di detenzione con la prospettiva di venire deportati in Turchia una volta cessate la crisi tra i due paesi e la pandemia del coronavirus. I campi dell’area nord della Grecia, già sovraffollati rispetto alle rispettive capienze massime, hanno subito quindi un’ulteriore chiusura e tutti coloro giunti nell’ultimo periodo, seppur composti in nuclei familiari con soggetti ritenuti sensibili quali bambini e anziani, hanno visto negato l’accesso alle strutture.

Avete notato un cambio nell’atteggiamento della società civile greca nei confronti dei rifugiati, dopo il cambio di governo di luglio? In altre parole, è possibile riscontrare a livello politico e sociale qualcosa di simile a quello che è avvenuto in Italia quando la Lega di Salvini è andata al governo, ovvero un aumento della xenofobia e del razzismo nei confronti degli immigrati?

Come premessa alla domanda va detto, ad onor del vero, che la maggior parte del popolo greco si è distinta in fatto di accoglienza e sensibilità nei confronti dei rifugiati nel corso degli anni dall’inizio del fenomeno migratorio. Negli ultimi anni sono cambiate però alcune dinamiche riguardo la Rotta Balcanica in generale, che hanno variato anche l’atteggiamento del popolo greco. Più che un mutamento derivante dall’arrivo alla guida del paese di Kyriakos Mītsotakīs e del partito di centro destra che egli rappresenta, la grande differenza è rappresentata dalla presenza di moltissimi migranti provenienti dal nord Africa. Fino a due anni questo fenomeno era pressoché inesistente in Grecia e negli altri paesi della famigerata Rotta Balcanica, ma poi il fenomeno è esploso successivamente alla crisi in Libia e al giro di chiave delle rotte nel Mediterraneo. Ad oggi l’accesso mediante aereo in Turchia e il successivo ingresso in Europa è la soluzione più accessibile e paradossalmente meno rischiosa. Proprio a causa di ciò il Paese ha conosciuto un’ondata migratoria diversa dalla precedente. Conseguentemente sono purtroppo aumentati in modo esponenziale i crimini e le problematiche sociali e di conseguenza anche le tensioni sociali con il popolo greco. A pagarne il prezzo sono ancora una volta i rifugiati, vittime di diffidenze e generalizzazioni.

Che percezione dell’Europa hanno le persone nei campi? Che cosa rappresenta per loro, e cosa vorrebbero che fosse? Quale consapevolezza c’è tra le persone giunte in Grecia della propria situazione, dei propri diritti e del contesto in cui si trovano?

Per molti l’Europa è una speranza, un miraggio di una vita nuova, poi però pian piano si rivela la sua cruda, difficile realtà. Molti sperano o speravano che l’Europa potesse aiutarli, almeno fino a quando non fosse stato possibile tornare a casa, ovvero l’obiettivo di quasi tutti i rifugiati. Invece tutto è molto complicato, e il risultato sono anni e anni passati in tende o container ad aspettare. Molti sono quindi disillusi. La questione è sicuramente molto complessa, moltissimi sono gli aspetti in gioco e risulta di conseguenza incomprensibile sotto tanti aspetti anche per noi, che spesso preferiamo quindi lavorare al massimo per sostenerli in questa lunga fase della loro vita piuttosto che porci domande a cui risposta non c’è. Questo è possibile grazie al grande numero di volontari che hanno scelto di agire concretamente (circa 600 persone in 5 anni) venendo in Grecia per periodi più o meno lunghi, e alle persone che effettuano donazioni, le quali ci permettono di agire in fretta laddove sono necessari farmaci e beni di prima necessità, senza dover aspettare i lunghi tempi delle grandi associazioni e organizzazioni.

L’articolo è stato precedentemente pubblicato su «Il Bradipo Federalista», blog della sezione GFE di Bologna. Link originale: https://ilbradipofederalista.wordpress.com/2020/04/13/essere-migranti-ai-confini-delleuropa-la-ong-luna-di-vasilika-ci-racconta-i-campi-profughi-di-salonicco/

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