Europa senza potere

, di Sante Granelli

Europa senza potere

Molta preoccupazione ed una certa meraviglia vengono espresse da commentatori, esperti e politici (ed anche in diversi ambienti federalisti) per il fatto che, alle prossime consultazione elettorali europee, i partiti e movimenti populisti ed euroscettici potrebbero, secondo le stime di autorevoli sondaggi, raggiungere o superare il trenta per cento dei voti espressi. Non solo Grillo in Italia, ma anche Wilders in Olanda, Marine Le Pen in Francia, Farage in Gran Bretagna ed altri in Austria e Finlandia, per non parlare di Orban in Ungheria, si troverebbero a guidare il primo partito in termini di voti nei rispettivi Paesi, superando le formazioni tradizionalmente europeiste.

Lecita la preoccupazione, ma perché tanta meraviglia? L’opinione pubblica europea (gli elettori) sanno giudicare i fatti meglio di quanto non facciano i commentatori “esperti” ed i politici, che guardano in genere solo ai propri interessi particolari – e quindi nazionali. Ed i fatti parlano chiaro. Cosa sta facendo l’Europa, questa Europa e la classe politica che la dirige, per disinnescare la crisi ucraina, se non accodarsi alle iniziative nord-americane? E spostandosi dai confini europei dell’Est a quelli del Sud, sanno i dirigenti europei (dell’Unione e dei singoli stati nazionali), che qualcosa di importante si sta muovendo in Medio Oriente ed in particolare in Palestina? Sanno i dirigenti di questa Europa che Hamas ed Abu Mazen stanno raggiungendo un accordo di collaborazione, accordo che la dirigenza israeliana boccerebbe come impedimento alle trattative di pace, inducendo il Segretario di Stato americano John Kerry a bollare Israele come uno stato ove si pratica l’apartheid? Gli USA parlano ed agiscono – magari non necessariamente nella giusta direzione come nel caso ucraino – ma la dirigenza europea è totalmente assente e si guarda bene dall’intervenire in scelte che avvengono ai suoi confini e che non possono non influenzare gli interessi dei propri cittadini.

In una pagine interna (taglio basso – come un po’ a nascondere la notizia) del Corriere della Sera del 29 aprile u.s., si poteva leggere che in un maxi processo alla Fratellanza musulmana in Egitto sono bastati cinque minuti “per condannare a morte 682 ‘terroristi’”, cioè quasi settecento oppositori del regime militare che si è recentemente ri-impadronito del potere in Egitto. Si tratta di appartenenti alla Fratellanza musulmana, lo stesso movimento che aveva vinto le ultime elezioni, valutate da molti come le prime elezioni democratiche del Paese arabo. E nello stesso articolo, si poteva anche leggere che gli Stati Uniti – su pressione dei regimi (reazionari – sarebbe bene dirlo con chiarezza) di Israele ed Arabia Saudita – hanno ripreso ad appoggiare, economicamente e militarmente, il nuovo regime militare egiziano.

E l’Europa? Cosa fa? Cosa ha fatto per dare spazio e speranze alle primavere arabe? Cosa fa l’Europa per fermare i massacri in Siria? Cosa fa per consentire la fondazione di un vero e sovrano stato palestinese, senza il quale la metastasi del Medio Oriente continuerà ad aggravarsi con esiti imprevedibile ma certamente dannosi per i cittadini europei?

Il fatto è che la classe politica che guida l’Europa, non solo i governi ma anche i partiti che li sostengono come pure le istituzioni europee – che altro non sono che un’emanazione dei poteri tenuti ben saldi nelle mani nazionali – ha tradito le speranze dei cittadini, non tenendo fede e non realizzando gli obbiettivi dei Padri fondatori, dal “forte stato internazionale” richiesto nel Manifesto di Ventotene alla dichiarazione Schuman. Un potere europeo non esiste, non esistendo uno stato (federale e democratico) che sia in grado di dialogare da pari a pari con le altre potenze continentali (USA, Russia, Cina, etc) e che sappia quindi farsi carico della tutela dei legittimi interessi dei suoi cittadini sul fronte delle relazioni internazionali, neppure con riguardo a ciò che avviene ai suoi confini.

Si fa un gran parlare di crisi economica e finanziaria che ha investito l’Europa e molti dei suoi Stati e si formulano piani per il rilancio dell’economia, per uno sviluppo sostenibile e per la lotta alla disoccupazione e non ci si chiede cosa sarà di questi piani se, in conseguenza di un probabile aggravamento della crisi ucraina (e di una nuova Intifada in Palestina), il prezzo del gas russo o del petrolio medio-orientale raddoppierà e tutti i bei piano elaborati dagli esperti europei e nazionali (tutti inward looking) andranno a farsi benedire.

Forse i cittadini elettori non appezzano i particolari di queste vicende ed hanno loro personali risposte, magari anche divergenti, sui singoli problemi, ma gli elettori capiscono per certo che, a fronte di queste vicende di cui certamente percepiscono la gravità – anche se i giornali le nascondono nelle pagine interne – l’Europa è dimissionaria. L’Europa è – come i federalisti dicevano un tempo nelle piazze di Milano – “divisa e impotente”. E capiscono i cittadini elettori che la classe politica europea (nazionale e comunitaria), avendo scelto di non dar vita ad uno stato federale europeo ed avendo quindi abdicato a qualsiasi ruolo di potere internazionale, grazie al quale avrebbe potuto ad esempio negoziare direttamente con la Russia uno status neutrale dell’Ucraina garantendo alla stessa Ucraina gli aiuti economici di cui ha bisogno, ha invece messo i suoi cittadini alla mercé delle scelte delle grandi potenze continentali. E saranno i cittadini che dovranno pagare il prezzo di questa impotenza e sottomissione alle decisioni di altri.

Si dirà che la risposta dei cittadini elettori a questa evidente e conclamata “impotenza” dell’Europa che c’è, è irrazionale e che non è certamente ripiegandosi nei nazionalismi ottocenteschi o peggio nei particolarismi regionali, le aporie del passato di spinelliana memoria, che si risolvono i problemi. Ma appunto, l’opinione pubblica, neppure nel ventunesimo secolo, è di necessità “razionale”. Anche nel primo dopoguerra le opinioni pubbliche di molti Paesi europei, se fossero state “razionali”, non avrebbero accettato di portare al potere non solo Hitler e Mussolini ma molti altri dittatorelli in Polonia, Grecia, Ungheria. E se fossero “razionali”, oggi i cittadini elettori non darebbe il loro voto ai vari Grillo, Le Pen, Wilders, etc.

Se i partiti che si auto-proclamano europeisti, per non dire federalisti, non capiscono che ormai è tempo per il “saldo quantico” dal regime confederale su cui è attestata l’Unione (ove il potere ultimo nelle materie fondamentali è nelle mani delle capitali degli Stati) alla fondazione di un vero e proprio Stato federale europeo, che possa farsi carico dei legittimi interessi dei suoi cittadini, noi europei – i nostri figli ed i nostri nipoti – saremo veramente perduti, perché alla prossima consultazione popolare gli euroscettici ed i populisti non si limiteranno al 30% ma raggiungeranno la maggioranza assoluta e le “aporie del passato” saranno davvero tornate.

Per questo occorre battersi sul serio e senza esitazioni per la Federazione europea, sfruttando tutte le possibilità che si sono, inclusa l’assunzione da parte del governo italiano della presidenza dell’Unione nel luglio prossimo e la campagna elettorale attuale.

Il tempo per l’Europa di Spinelli e Schuman, quella veramente federalista, sta per scadere.

Fonte immagine Flickr

Tuoi commenti
  • su 7 maggio 2014 a 20:00, di Francesco Franco In risposta a: Europa senza potere

    PARTE I Anchio concordo con Sante Granelli che questa sia probabilmente lultima occasione che ci è data per fare evolvere il sistema verso uno stato federale. Ma non sono certo che le opinioni pubbliche siano favorevoli alla federazione ed i governi miopi. Direi invece che la storia ci mostra proprio un processo contrario alla logica. La realtà è, purtroppo, che «i grandi» ed i piccoli elettori nel momenti cruciali in cui si trattava di fare la scelta definitiva verso la federazione europea»il coraggio«- per dirla con Guy Verhofstadt e Manzoni «non vollero darselo» (il parlamento francese non ratificò il trattato sulla CED facendo cadere anche la CEP ed il referendum sul trattato costituzionale trenta anni dopo fu respinto da francesi ed olandesi facendo arretrare il processo di unificazione allo stadio di trattato intergovernativo: quello di Lisbona recentemente entrato in vigore ed i cui effetti non si sono ancora tutti dispiegati) ed i governi dovettero ripiegare sul funzionalismo. In queste condizioni i Governi stretti fra la chiara necessità di federare la Penisola e l`incapacità delle opinioni pubbliche di vedere chiaramente le evoluzioni in corso ripiegarono su un processo di federalizzazione obliqua, tecnica, strisciante: il funzionalismo alla Jean Monnet. Si ebbero una serie di eufemismi per non rivelare apertamente alla opinione pubblica che si procedeva nonostante il rifiuto espresso, istintivamente, dalle popolazione europee delle campagne. Avemmo così una serie di eufemismi per non chiamare con le cose con loro vero nome: le»armonizzazioni fiscali" (unificazioni normative sulle imposte sui consumi o IVA), le direttive (leggi quadro), i regolamenti (veri e propri atti con forza di legge), il MEC (unione doganale) e poi la CEE. (Segue 1/2)

  • su 7 maggio 2014 a 20:17, di Francesco Franco In risposta a: Europa senza potere

    PARTE II Ma il processo funzionalista mutuato dai sistemi di unificazione tecnica internazionale e nazionale se si adatta bene alla unificazione della forma e delle dimensioni delle carte di credito, raggiunge la sua massima estensione quando di applica alla moneta non potendosi certo pretendere di avere una moneta UNI (unificata per forme, tagli, dimensioni e colori) se non esiste unarea economica omogenea come dimostrarono gli economisti alla Mudell (per questo insigniti di premi Nobel). LEuro rappresenta ben il terzo tentativo di unificazione monetaria della Penisola (i precedenti due si ebbero nel 1865 e nel 1933: ma quello che è più inquietante è che dopo ogni fallimento dei due più antichi si ebbe una guerra fratricida tra le potenze europee. Dovendosi dunque evitare ad ogni costo il fallimento dellEuro, pena una terza guerra che non possiamo non permetterci sul nostro suolo, è imperativo e categorico dunque rileggere e dare completa attuazione al rapporto Delors il quale proponeva, appunto, ladozione di tutta una serie di misure al contorno (unione bancaria, fiscale, ed economica). I problemi attuali di euroscetticismo secondo me non nascono dalla insipienza della classe politica ma dal fatto che ci troviamo in una fase di crisi sistemica nel corso della quale si realizzerà un processo di distruzione creativa in cui taluni gruppi dominanti lasceranno il potere ad altri. Lesito democratico del processo è tuttaltro che scontato. La reazione della opinione pubblica è negativa perché si è accorta che si è proceduto lo stesso su un sentiero che è, si badi bene, «giusto, razionale e necessario» ma senza convincere pubblicamente l`opinione pubblica della necessità ineludibile della federazione per perseguire gli interessi del piccolo continente. Si rischia di pagare ora caramente il conto della scelta «tecnocratica» ed in qualche misura «elitista» che comportò l’adozione del metodo funzionalista - salvo, grazie alla nuova elezione europea, ricorrere urgentemente nei fatti alla messa in opera di un sistema di governo parlamentare europeo. Per altro le costutuzioni non debbono necessariamente essere sempre e solo scritte. Quella della monarchia costituzionale inglese non lo è (Fine)

  • su 7 maggio 2014 a 23:10, di Francesco Franco In risposta a: Europa senza potere

    Senza una costituzione siamo cittadini in patria ma sudditi in Europa

    Post Scriptum: Larticolo di Sante Granelli mi stimola ancora una reazione in merito al ruolo dellopinione pubblica ed al ruolo del Parlamento Europeo che quell`opinione pubblica potrebbe aver contribuito a tradire.

    Noi popolo europeo, dovremmo prendere atto che, se siamo «cittadini» dei nostri paeselli della penisola (è perché i parlamenti ci hanno permesso di ottenere il riconoscimento dei diritti umani inalienabili attraverso ottenendo dai tribali sovrani, le costituzioni), ma se ci pensiamo bene siamo ancora sudditi nell’ambito delle relazioni internazionali ed europee (proprio perché a quel livello manca ancora appunto una costituzione). E continueremo ad esserlo, sudditi, fino a quando il Parlamento non prenderà il coraggio a due mani e si darà un ruolo costituente! Forse sarebbe utile spiegare ai parlamentari europei che se la loro Assemblea non assume le iniziative politiche adeguate che i sudditi-cittadini si attendono, saranno sempre di meno gli elettori che si recheranno a votare in occasione delle prossimi elezioni dirette e, si generà un circolo vizioso: i parlamentari, eletti da sempre più sparute minoranze, saranno sempre meno influenti e sempre meno in misura di influire sulla politica dell’Unione Europea, sicché diminuiranno ancora di più i votanti e così via di seguito.

    Se non si riesce a far prendere l’iniziativa al Parlamento tutto intero (in questo caso, forse si potrebbe convocare un’assemblea separata, come quella della Rivoluzione francese della pallacorda): si può immaginare che parlamentari degli Stati in difficoltà prendano l’iniziativa di redigere un progetto federale da sottomettere ai governi? Per farlo ratificare non da tutti gli Stati ma ad almeno 12 dei 17 stati della zona euro, così da evitare che qualche territorio marginale faccia naufragare tutto per ragioni contingenti ed interne?

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