Fino a qui tutto bene (o forse no)

, di Sara Bertolli

Fino a qui tutto bene (o forse no)
Mahmut Bozarslan (VOA), Public domain, via Wikimedia Commons

Oggi è l’8 marzo, la Giornata internazionale della donna, volgarmente festa della donna. Un giorno in più per ricordare come la strada per la piena parità dei diritti la si sta percorrendo, ma si è ancora ben lontani dalla meta. Spesso su tale strada si cade, e alle Istituzioni ciò sta accadendo troppo spesso.

Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di 50 piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: «Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene». Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio. (La Haine, 1995)

La nostra società è in caduta libera ormai da anni. Assistiamo impotenti a crisi che non riusciamo a gestire: la guerra, la pandemia, la crisi climatica, la crisi economica, le tragedie umanitarie, la violenza di genere.

Ci affacciamo a una crisi e subito se ne palesa un’altra. La nostra generazione viene definita, a buon titolo, la “generazione delle crisi”: da quando siamo nat3 abbiamo assistito solo a tamponamenti di situazioni definite come “emergenze”, ma che erano in realtà i sintomi di un sistema profondamente malato e iniquo che non è più in grado di autolegittimarsi.

Una sensazione di sdegno, rabbia, rigurgito sale di fronte a un mondo che sta andando verso l’autodistruzione, che è intriso di violenza e ingiustizie che per la maggior parte vengono ignorate, ovviamente dalle persone privilegiate, per l’egoistico quieto vivere.

Fino a qui tutto bene, o forse no.

I privilegiati sono coloro che nella loro torre d’avorio conducono la propria vita incuranti di chi deve pagare per i loro vantaggi e il loro privilegio. E quell3 che pagano sono le donne, l3 migrant3, l3 disabili, l3 lavorator3 sfruttat3, gli omosessuali, le lesbiche, l3 trans, le persone non-binary, insomma chi non è uomo, bianco, etero, cis.

Il patriarcato, inteso come il sistema di relazioni, credenze e valori incorporati nei sistemi politici, sociali ed economici che strutturano la disuguaglianza di genere tra uomini e donne, non è purtroppo così semplice da sradicare. Le disuguaglianze, infatti, che ha generato e di cui si nutre sono prodotte e riprodotte attraverso le Istituzioni, tra cui lo Stato, la famiglia e l’istruzione, e attraverso questi elementi si sono sedimentate nel tempo e cristallizzate.

Ovviamente il patriarcato non riguarda solo il rapporto uomo-donna, ma questa discriminazione è l’archetipo di tutte le altre. Annullare le disuguaglianze sostanziali e formali di genere, permetterebbe la liberazione di tutt3, ed è compito di chi ha i mezzi e le capacità lottare anche per coloro che non possono.

È quindi nostro dovere morale combattere tutte le forme di discriminazione e criticare l’uso di un linguaggio d’odio che contribuisce solo ad alimentare ulteriori violenze ai danni delle minoranze.

Quando la seconda carica dello Stato, Ignazio Benito Maria La Russa, afferma che la parità di genere l’avremo quando una donna grassa, brutta e scema rivestirà un ruolo importante, o che accetterebbe con dispiacere se suo figlio fosse gay, oppure quando la Ministra della Famiglia afferma che “purtroppo esiste il diritto all’aborto”, o quando la prima donna a rivestire la carica di Presidente del Consiglio usa il pronome maschile davanti al titolo, ci dobbiamo allarmare.

Tutte queste non sono affermazioni neutre. Sono scelte politiche, dettate da una ben marcata adesione al modello patriarcale di organizzazione del potere, che pone le donne, e non solo, in una posizione di inferiorità. E non ci dobbiamo sorprendere se a fare queste affermazioni sono spesso delle donne, perché il patriarcato a loro ha giovato. Il patriarcato giova a chi decide di abbracciarlo, perché se tu non lo critichi, non ne denunci la profonda iniquità, può perfino farti arrivare ad essere Presidente del Consiglio.

Non smascherare queste forme di dominio così radicate, ci rende colpevoli di un sistema che abusa continuamente dei corpi delle donne, che ne viola i diritti riproduttivi – diritto all’aborto, che nega il riconoscimento della dimensione della cura e che continua a sfruttare il lavoro di cura non retribuito.

Non ci deve sorprendere, quindi, che anche nella nostra Europa, culla dei diritti, ci siano continue e persistenti violenze ai danni delle donne, e di altre comunità, penso alla Polonia, Ungheria, Cipro, Malta, ma anche nella stessa Italia, perché il patriarcato come forma di controllo sociale sui corpi non conosce confini.

Fino a qui tutto bene, o forse no.

Ecco che è un dovere morale ribellarsi e contrastare questo sistema. La liberazione del genere umano, e la sua completa pacificazione passa anche dalla distruzione del patriarcato.

Da federalist3 sosteniamo che la pace possa essere definitivamente raggiunta tramite l’istituzionalizzazione del conflitto, ossia attraverso la creazione di Istituzioni in grado, tramite il dibattito nei luoghi politici, di togliere la violenza dal conflitto e di annullare così la possibilità di guerre.

Ma se il patriarcato si riproduce attraverso le Istituzioni, e se esso incarna un sistema di pratiche sedimentate di violenza e disuguaglianze, dovremmo iniziare a chiederci quale tipo di istituzioni vogliamo, da cosa vogliamo che siano connotate.

Riflettere sull’importanza dei valori all’interno della nostra battaglia non quindi è uno sforzo intellettuale, ma è una chiara decisione politica guidata dalla consapevolezza che la neutralità delle Istituzioni è solo un’illusione, perché esse sono il frutto dell’egemonia culturale della classe dominante, nel nostro caso dei bianchi, degli uomini, degli etero, dei cis, degli abili, dei benestanti.

Il federalismo, come battaglia per la liberazione e la pacificazione del genere umano, può quindi essere la cassa di risonanza per altre lotte, compresa la lotta transfemminista alla violenza patriarcale, perché non ci sarà pace finché ci saranno violenze legittimate socialmente.

Fino a qui di sicuro non va tutto bene, ma da qui possiamo contribuire al cambiamento.

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