Dopo le elezioni di fine ottobre, la Georgia ha ricominciato a fare parlare di sé. Migliaia di persone si sono riversate in piazza, come già accaduto nelle ore precedenti al voto e, ancora prima, lo scorso anno, per affermare con forza la loro volontà che il Paese aderisca all’Unione europea. Nella prima seduta del nuovo Parlamento, la cui legittimità è stata a lungo dibattuta date le significative discrepanze tra gli esiti degli exit poll e gli effettivi risultati dello scrutinio nonché gli episodi di violenza accaduti ai seggi, il Primo Ministro Irak’li K’obakhidze e gli esponenti del suo partito, Sogno Georgiano, hanno annunciato di non intendere partecipare ad alcun negoziato per aderire all’Unione europea prima del 2028.
Questa mossa ha suscitato indignazione tra i cittadini e le opposizioni, che vedono nell’integrazione europea una via di emancipazione economica e politica dal giogo delle influenze esterne, in particolare della Russia. La Georgia, pur avendo ottenuto lo status di Paese candidato all’adesione sullo scadere dello scorso anno, era già in ritardo nel percorso di integrazione europea rispetto ai due Stati fratelli nel Partenariato Orientale, Moldova e Ucraina. Questo soprattutto a causa di due leggi approvate dai parlamentari di Sogno Georgiano durante lo scorso mandato: quella sugli agenti stranieri, di chiara ispirazione russofila, e quella di restrizione alla propaganda LGBT.
Ciò significa che Sogno Georgiano sta scegliendo la Russia a scapito dell’Unione europea per il futuro del Paese? La risposta è tutt’altro che scontata. La prima impressione è che K’obakhidze stia combattendo una battaglia personale contro la Presidente della Repubblica Salomé Zourabichvili, indipendente eletta nel 2018 proprio con i voti di Sogno Georgiano e oggi in scadenza di mandato. Zourabichvili, forte europeista, aveva contestato con forza le leggi promosse dal partito di maggioranza che avrebbero allontanato la Georgia dall’Unione ed era arrivata a chiedere che i partiti di opposizione, qualora avessero ottenuto la maggioranza elettorale, formassero un Governo di larghe intese volto ad abrogare tali leggi. In risposta, dopo le elezioni, K’obakhidze ha minacciato di mettere al bando i partiti di opposizione, ed è poi arrivato a pronunciarsi sullo slittamento dei negoziati con la scusa di temere infiltrazioni comunitarie nel processo democratico georgiano.
Per comprendere pienamente l’odierna situazione in Georgia occorre fare più di un passo indietro e osservare gli ultimi vent’anni di storia del Paese. Nel 2004, la Repubblica di Georgia è giovane e ancora non si è completamente emancipata da Mosca. Il Presidente è Eduard Shevardnadze, ultimo Ministro degli Esteri dell’Unione Sovietica e braccio destro di Michail Gorbačëv, il cui partito, l’Unione dei Cittadini della Georgia, risultava avere vinto le ultime elezioni parlamentari. Una sorpresa, considerata la sempre più viva volontà popolare di abbandonare il passato sovietico e di avvicinarsi a Europa e Stati Uniti. Infatti, la missione di osservazione elettorale internazionale, composta da membri dell’OSCE [1] del Consiglio d’Europa, del Parlamento europeo e dell’ODIHR [2], arrivò alla conclusione che le elezioni parlamentari non rispondessero agli standard OSCE e di altri enti internazionali per essere considerate effettivamente democratiche. Il vero vincitore era il Movimento Nazionale Unito di Mikheil Saak’ashvili.
Ci fu quindi quella che passò alla storia come la Rivoluzione delle Rose, una protesta popolare pacifica che prese il nome dal simbolico atto delle forze di opposizione di recarsi in Parlamento con delle rose in mano, mentre, al di fuori del palazzo, movimenti studenteschi, organizzazioni non governative e altre branche della società civile chiedevano le dimissioni del Presidente e nuove elezioni immediate. La voce del popolo fu talmente incisiva da portare le forze dell’ordine a deporre le armi e a voltare le spalle al Governo. Shevardnadze dovette dimettersi. Elezioni libere premiarono il Movimento Nazionale Unito e sulla poltrona più alta della Repubblica si sedette Saak’ashvili.
Con Saak’ashvili, grande amico dell’allora Presidente americano George W. Bush, la Georgia iniziò ufficialmente il suo percorso di adesione all’Unione europea e alla NATO, ma senza rinnegare la sua vicinanza storica e culturale alla Russia. Da un lato, già nei suoi primi mesi di presidenza, Saak’ashvili riuscì a liberare la regione dell’Agiaria - allora Repubblica autonoma in territorio georgiano - dall’autoritario e filo-russo Aslan Abashidze, che ne era leader fin dallo scioglimento dell’Unione Sovietica, dall’altro mantenne aperto un canale di comunicazione con il Presidente russo Vladimir Putin. Questo aspetto segnò la fine della sua carriera politica in Georgia.
Nel 2008, con il classico meccanismo che ormai tragicamente conosciamo, Putin e il suo fantoccio Dmitrij Medvedev, allora Presidente russo, approfittarono di un momento di debolezza georgiano nella gestione dei sentimenti separatisti in Ossezia del Sud e avviarono un conflitto per ottenere l’annessione dell’oblast. In pochi giorni, morirono più di centomila militari e centinaia di civili. Saak’ashvili annunciò un cessate il fuoco unilaterale, lasciando la strada spianata all’esercito russo che, con il pretesto di un’operazione di peace-enforcement, arrivò a occupare tutta la regione. Un vero e proprio accordo fu negoziato da Nicolas Sarkozy, allora Capo di Stato francese e Presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea, ma la Russia non terminò mai l’occupazione e ancora oggi mantiene il controllo diretto non solo sull’Ossezia del Sud, ma anche sull’Abcasia.
Saak’ashvili fu ritenuto responsabile. La Russia lo accusò di non essere stato in grado di proteggere le minoranze russe in Ossezia del Sud, i cittadini georgiani di essere stato morbido con Putin, sia prima sia durante il conflitto. Alle elezioni parlamentari del 2012, il Movimento Nazionale Unito fu sconfitto da Sogno Georgiano, che pure vide eletto alle presidenziali il suo primo vero leader Giorgi Margvelashvili.
Sogno Georgiano è quindi il primo partito di Georgia da più di dieci anni. Pur professandosi fermamente europeista, arrivò al potere in un momento di forte smarrimento per il Paese, che aveva chiuso definitivamente i rapporti con la Russia ma che, per il mancato intervento nel conflitto in Ossezia del Sud e per la mediazione tutt’altro che efficace, si sentiva tradito dall’Occidente. All’inizio dello scorso decennio, la Georgia non aveva forze globali di cui potersi fidare. Di conseguenza, la politica del partito fu anzitutto di consolidamento della realtà nazionale, nella concezione - impossibile, visto il posizionamento geografico - che il Paese avrebbe potuto farcela da solo, in piena autonomia. Tanti degli attuali esponenti di Sogno Georgiano che si sono avvicinati alla politica in quel periodo storico ne sono ancora convinti. Un esempio è il Sindaco di Tbilisi, l’ex calciatore di Milan e Genoa K’akhaber K’aladze, che ha sempre parlato di un futuro del Paese in Europa, ma “senza padroni”.
Il riavvicinamento della Georgia all’Unione europea avvenne nel 2014, in coincidenza della cacciata di Viktor Janukovyč dall’Ucraina, grazie al movimento Euromaidan, e della crisi in Crimea, ma il vero momento di svolta si verificò anni più tardi, con l’invasione russa del Donbass che ricordò ai cittadini georgiani quanto accaduto in Ossezia del Sud. Era il 2022 quando l’allora Primo Ministro georgiano Irak’li Gharibashvili firmò ufficialmente la richiesta di adesione all’Unione europea. Il resto, è storia recente.
L’interruzione dei rapporti tra Georgia e Russia dopo il conflitto in Ossezia del Sud è una realtà. Tuttavia, è indiscutibile che nelle elezioni parlamentari vi siano state delle interferenze. Considerata l’analogia delle pratiche osservata nelle presidenziali in Moldova e Romania, tutto fa pensare che a orchestrare ciò sia stato il Governo di Putin, consapevole che il prosieguo delle ultime politiche adottate da Sogno Georgiano allontanerebbe sempre più la Georgia da un futuro nell’Unione europea. Non si può però dare per scontato un ruolo pivotale dello stesso Sogno Georgiano nella vicenda.
Oggi, tra i cittadini georgiani che protestano nelle piazze delle principali città, chiedendo nuove elezioni libere e trasparenti, non ci sono solo elettori dei partiti di minoranza, ma anche sostenitori di Sogno Georgiano, che si sentono traditi dall’annuncio di K’obakhidze dopo una campagna elettorale incentrata sul proseguimento del processo di adesione all’Unione europea. Prevedere l’esito di questa situazione è una vera e propria scommessa, ma la storia del Paese, con i suoi due grandi momenti di svolta - la Rivoluzione delle Rose e la cacciata di Saak’ashvili - offre concrete speranze a chi auspica una Georgia europea.
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