Gli studenti e i federalisti incontrano Massimo Cacciari

, di Salvatore Romano

Gli studenti e i federalisti incontrano Massimo Cacciari

L’evento «Europa ed elezioni europee: per una scelta consapevole» è stato ospitato al dipartimento di Scienze giuridiche dall’Università di Verona lo scorso 1 marzo ed ha visto partecipare centinaia di studenti, con un’ottima copertura sui media locali.

Giorgio Anselmi, presidente del Movimento Federalista Europeo (MFE), fa una breve introduzione. Non vuole togliere minuti all’ospite d’onore. L’aula è piena, non ci sono posti a sedere. Gli ultimi arrivati stazionano, come sentinelle, lungo il perimetro dell’emiciclo dell’aula di Scienze Giuridiche. Le sirene del Carnevale non hanno fatto presa. Studenti, professori, uomini e donne, sono venuti qui per parlare di Europa, e ascoltare la voce e il pensiero, forse uno dei più lucidi e chiaroveggenti, del professore Massimo Cacciari. Un incontro voluto e organizzato dal MFE in collaborazione con l’Università di Verona, affinché di Europa se ne parli sempre di più, ma con giusta causa e buon senso. Anselmi fa da apripista: «La crisi che investe i partiti nazionali in Italia, come in Francia, in Germania, o nel Regno Unito, da trent’anni a questa parte, è colpa dell’Italia, della Francia, della Germania, e del Regno Unito». Le classi dirigenti sono incapaci di dare risposte ai problemi all’ordine del giorno, perché, mentre resistono assediate nella cittadella dei loro valori e programmi, il terreno gli sta franando sotto i piedi. Il vecchio mondo sta scomparendo, e uno nuovo sta sorgendo con vorace insistenza. Lo stato nazionale, residuo di un mondo di ieri che non tornerà, è uno strumento superato e inutile per affrontare le sfide del presente. Non si possono dare a problemi nuovi vecchie risposte.

Sovranismo. Tommaso della Massara, docente di diritto romano, moderatore del dibattito, esordisce con una notizia delle ultime ore: «Le aule di Salonicco, in Grecia, sono vuote. Gli studenti sono andati tutti all’estero a studiare». E lascia la parola al professor Cacciari: «Non c’è da stupirsene. Oggi, lo sappiamo benissimo, la ricerca, l’innovazione, non si fanno qui o a Castelfranco Veneto, secondo una vecchia leggenda metropolitana, ma ci pensano le grandi multinazionali ad essere il polo attrattivo dello sviluppo scientifico. Non c’è bisogno di andare in Grecia per accorgersene.». Basta pensare che il fatturato di uno di questi colossi supera di gran lunga il Pil di un singolo stato, e la frase “padroni a casa nostra” acquista tutto un altro senso: «Ma padroni dove? Padroni di cosa?». Il sovranismo di cui si va all’accattonaggio oggi, non sarà più quello degli Stati ottocenteschi, ma il sovranismo degli staterelli. Un sovranismo impotente. «Se speriamo di sopravvivere nel mondo oggi, l’Unione europea è il minimo indispensabile. E non è detto neanche che sia sufficiente. Ci preoccupiamo sempre della Cina, ma la Corea del Sud? E il Vietnam? Paesi dove la robotizzazione e la digitalizzazione hanno raggiunto livelli che ci sogniamo».

Governo federale. Si vuole smantellare l’Ue e tornare alle anacronistiche sovranità nazionali? Rimarranno gli staterelli in una perenne guerra tra di loro: «Una guerra come? Con i coltelli, visto che i fucili non li abbiamo neanche più? No, una guerra commerciale, che distruggerà anche quel poco di Welfare che è stato messo in piedi». «Ma se il progetto dell’Unione europea naufragasse, gli Stati nazionali sopravvivrebbero o piuttosto non si tornerebbe in un Medioevo, dove gli stessi Stati cesserebbero di esistere?», chiede Giorgio Anselmi. Cacciari è sicuro anche di questo, e i dati demografici sono già preoccupanti: «Si vuole erigere una bella muraglia attorno l’Europa e non fare entrare più nessuno? Si sappia allora che fra cinquant’anni gli ultraottantenni saranno i due terzi della popolazione, fra cento anni non rimarrà più nessuno». D’altronde il ritornello ricorrente di un interesse nazionale che confliggerebbe con l’interesse europeo è «una favoletta», un imbroglio in cui non bisogna cadere. Il vero interesse nazionale si può fare e salvaguardare solo a livello europeo, ma per attuarlo ci deve essere: «Un governo federale». A meno che non si voglia, volontariamente, essere spazzati via dalla Storia, e allora: «È giusto che chi va alla guerra impreparato, o con le armi sbagliate, perisca».

La Storia è l’irrazionale incarnato. «Un’internazionale sovranista è improbabile che nasca», ma nella storia tutto può succedere, e fare previsioni è rischioso. Anche se è difficile immaginare che ispirato da buona volontà «Orbàn chiami “compagno” Salvini e gli domandi di cosa ha bisogno». Per i sovranisti ognuno fa per sé. Ma «tutto può capitare, Leopardi diceva la Storia è l’irrazionale incarnato». Per capire le sfide del presente e saperle affrontare, le classi dirigenti si devono armare di buon senso, quando spesso hanno peccato di cecità. L’Europa atlantica, conosciuta nel secondo dopoguerra, non esiste più. Le mire del governo americano si sono spostate altrove, in Asia. Sulla sponda orientale c’è la Russia, e la Russia rimane un gigante, un impero con ambizioni imperialistiche: «La Russia è Dostoevskij, la Russia è Guerra e Pace. È caduta l’Urss, ma è tornato lo zar. Non si può non accorgersene e far finta di niente». Una delle cause del malfunzionamento dell’attuale Unione, è stato l’allargamento sconsiderato e prematuro a quei Paesi dell’est che uscivano da una dittatura. Ancora la cecità della classe politica. I tempi della Storia sono diversi, «il 2019 non è uguale per tutti, non è lo stesso in Uganda, in Polonia, o in Italia». I Paesi dell’est stanno vivendo «il loro risorgimento», e le pulsioni nazionalistiche sono più forti lì che altrove. L’assenza di una politica mediterranea per un continente che si affaccia sull’Africa, sulle zone calde del Medio oriente, è un’altra deficienza dell’attuale Ue. Come la mancanza del principio di solidarietà, che non crea i presupposti dell’unione politica: «Se all’interno di una famiglia c’è un membro malato, non si può pensare che costui spenda per i suoi bisogni come un membro sano. È ovvio che dovrà spendere di più». La professoressa di Diritto del lavoro, Donata Gottardi aggiunge che una maggiore trasparenza all’interno del Consiglio europeo, responsabilizzerebbe i politici di fronte alle loro scelte, mettendoli nella posizione di dover risponderne ai cittadini.

La nota sul futuro è pessimistica. Non si può prescindere dal continente africano, e un’ Europa federale dovrà nel tempo per forza essere superata da un unione politica allargata anche a quei paesi, ma si sa che: «Se volessimo fare una cosa intelligente e prendere zero voti, ci dovremmo presentare alle elezioni europee con lo slogan Euro-Africa». Le risate dal pubblico restituiscono la distanza materiale che c’è tra quel progetto e la sua realizzazione. Resta il primo posto mondiale nei consumi. Ma per quanto ancora? Quanto tempo ci metteranno quei Paesi che in una o due generazioni sono diventate fabbriche del mondo, a diventare anche grandi consumatori? Le due ore dell’incontro sono terminate. L’aula è ancora piena. Le persone ora escono lentamente, qualcuno sembra perso in uno stato di ipnosi. Fuori l’aria è fredda. La calda bolla mentale, che aveva catturato gli ospiti del pomeriggio, esplode. Ma ancora nelle orecchie risuonano i pezzi di un ragionamento così preciso, di un filo che si vorrebbe mantenere intatto, e non confondere con la multicolore tempesta di coriandoli sparsi per le strade, ormai buie.

Fonte immagine: Flickr.

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