Guérot: Un invito a pensare coraggiosamente sul futuro dell’Europa

, di Michael Vogtmann, tradotto da Oscar Polli

Guérot: Un invito a pensare coraggiosamente sul futuro dell'Europa

Ulrike Guerot, fondatrice del ‘European Democracy Lab’ Berlino, ha pubblicato un libro in tedesco: “Perché l’Europa ha bisogno di diventare una Repubblica! Un’utopia politica”. Alcuni mesi prima del referendum sulla Brexit Treffpunkteuropa.de/ Eurobull.it l’ha incontrata per discutere di questa utopia.

Treffpunkteuropa.de: è legittimo definirLa un insider della politica europea. Nonostante Lei non abbia lavorato attivamente come politico, è stata indirettamente occupata ad influenzare la politica europea. Che cosa l’ha inspirata a scrivere questo libro? Quali sono le sue motivazioni?

Ulrike Guérot: Già dai primi anni ’90, durante la negoziazione del Trattato di Maastricht, lavoravo per Karl Lamers nel gruppo di lavoro degli affari esteri. Successivamente, ho lavorato molto in centri di ricerca che si occupavano di questo tema. La mia vita è stata strettamente legata al progetto europeo. Ho scritto il libro perché 25 anni dopo il Trattato di Maastricht, dal 1992 ad oggi, non abbiamo ancora realizzato un unione politica. E credo che durante la crisi dell’eurozona e grazie a alla medesima, abbiamo perso ogni collegamento a come questo progetto politico fu inteso.

Immaginiamo che io sia un lettore interessato a questa intervista, che cosa mi direbbe? Perché dovrei spendere i miei soldi per il suo libro?

Perché il mio libro introduce un nuovo e diverso contributo al dibattito e allarga la prospettiva. È un invito a pensare coraggiosamente al futuro dell’Europa senza barriere. Nel libro ho sottolineato come l’Europa potrebbe veramente funzionare. La questione centrale è il concetto di sovranità, che noi sempre colleghiamo allo stato nazionale. Attualmente, stiamo testimoniando che la sovranità nazionale si scontra sempre con il comune interesse europeo come nella crisi dei rifugiati ma anche nelle crisi della Brexit e Grexit. Per questo, provo a disintegrare il termine sovranità per dimostrare come l’Europa deve essere istituzionalmente differente cosi che un’Europa democratica possa veramente evolversi.

Nel suo libro lei critica duramente l’Unione europea. Il suo libro è in qualche modo ostile all’Unione?

Ostile? Prima di tutto dobbiamo chiarire cosa intendiamo per ostile. Comunque formulo una critica veramente dura nei confronti dell’Unione europea. Puntualizzo chiaramente i difetti del sistema dell’Unione, che essa non è in grado di funzionare, di produrre beni e sostenibili soluzioni europee per i cittadini europei. Da questo punto di vista mi puoi chiamare ostile verso il sistema, perché penso che a queste condizioni l’Unione europea non è in grado di a) riformarsi e b) di produrre ragionevoli soluzioni europee.

Nel suo libro scrive che partiti politici come il Fronte Nazionale in Francia, il partito della libertà in Austria e adesso l’Alternativa per la Germania beneficiano dal fatto che loro denunciano le debolezze dell’Unione europea, mentre il centro politico sta evitando un dibattito critico. Non pensa che questa sia una argomentazione molto limitata?

Certamente! Infatti questo è anche pericoloso e provocatorio. Ma lo sostengo perché voglio rendere chiaro questo: anche Jürgen Habermaas indentifica strutture tecnocratiche e un deficit democratico all’interno dell’Unione europea e ne parla apertamente come accademico. Adesso la domanda è, perché ad un accademico è permesso dirlo mentre nel mondo politico non ci è concesso? La conclusione dovrebbe essere che noi osserviamo seriamente questo deficit democratico sottolineato dagli accademici e che decidiamo di correggere questi errori.

Inoltre, Lei dichiara che l’Unione europea non è popolare, ma comunque due terzi dei cittadini europei hanno un desiderio ardente di Europa. Tuttavia, quando guardiamo ai risultati delle elezioni, come recentemente in Austria o alle elezioni regionali in Germania, possiamo osservare una grande crescita dei partiti nazionalisti ed euroscettici, che mette in forte dubbio la precedente affermazione.

Quello che ho potuto provare durante infiniti viaggi e lezioni, è che la maggior parte dei cittadini ha intuitivamente realizzato che lo stato nazione da solo non è in grado di risolvere i problemi del continente. Dobbiamo trovare qualche tipo di soluzione europea. Il problema è che una buona Europa non è nell’offerta politica. Nelle affermazioni politiche ci sono i populisti che dicono: “Questo non è democratico! Vogliamo uscire! E gli altri dicono:” Non ci sono alternative e dobbiamo continuare cosi”.

Cosa pensa dell’attuale dominio del Consiglio europeo per politiche e decisioni essenziali? Pensa che l’UE sia diventata più comprensibile per i cittadini e più democratica, proprio perché la politica europea è condotta dai capi di stato e governo che sono più familiari?

Assolutamente no! Nell’impalcatura delle istituzioni europee, il Consiglio è un grande problema perché è all’interno di esso che l’interesse nazionale si manifesta e ognuno spinge per esso ogni qual volta si pensa sia necessario. In questo modo il Consiglio europeo è il problema centrale dell’Unione europea.

La consapevolezza che l’Unione europea non stia operando molto bene ha anche raggiunto politici affermati, ma le soluzioni che vengono cercate rispecchiano sempre l’idea di ‘più stato nazione’. Per quanto riguarda le discussioni sulla Brexit, David Cameron ha recentemente suggerito in modo diverso come riformare L’Unione. Spesso, le critiche britanniche verso L’Unione si basano su un budget europeo troppo elevato.

Quando sei membro di una squadra di tennis e dici: ”voglio partecipare ma non so giocare a tennis”, questo è stupido. Non si può semplicemente fare. Non posso apprezzare i suggerimenti di Cameron. Questo è stato un teatrino politico per evitare la Brexit. Il budget dell’Unione è troppo elevato? Naturalmente no. Esso è pari al 0.9% del PIL dell’Unione europea. Non è assolutamente sufficiente per nessuna politica importante. Per quello che deve essere fatto, ovvero un’ unione sociale e fiscale, dove l’Euro può essere inserito, è decisamente insufficiente!

Perchè la crisi dell’Euro e rispettivamente la crisi Greca sono un tema cosi centrale del suo libro?

Molto è stato pubblicato sula crisi dell’Euro, anche da ambiti scientifici accademici. In queste pubblicazioni scientifiche vengono sempre sottolineati i problemi centrali delle istituzioni che governavano l’Euro, ma nei discorsi politici c’era tutta un’altra discussione. Specialmente in Germania. Questa discussione era dominata dall’idea che noi in Germania paghiamo per tutti, che noi siamo le vittime e cosi via. Per questo, nel libro provo a decostruire questo, perché semplicemente non è vero.

Nel libro menziona ripetutamente il concetto di Stati uniti d’Europa. Quella che Lei definisce come ‘federazione di stati nazione’. Dichiara che questo concetto è morto è invece chiede una ‘Repubblica Europea’. Cosa intende con questo?

Prima di tutto ho guardato alla storia delle idee politiche, da Platone a Cicerone, da Aristotele a Rousseau e Kant: ogni volta che i cittadini si sono uniti per un progetto politico, per definizione, hanno fondato una repubblica. Il termine repubblica indica un progetto politico dei cittadini. E non dimentichiamoci che i padri fondatori Walter Hallstein e Jean Monnet dicevano sempre che l’essenza del progetto europeo è il superamento degli stati nazione. La proposta di questo libro è quella di dire: realizziamo finalmente un progetto politico europeo che veramente possa affrontare il deficit democratico e i temi sociali e fiscali. Una repubblica è molto meglio per indirizzare questi temi perché il termine e l’idea di Repubblica hanno una risonanza più positiva. Le persone posso identificarsi con essa e sono convinta che con essa potremmo ancora raggiungere le persone a livello emozionale e ispirarle.

Un concetto molto significativo della sua Repubblica Europea è l’uguaglianza di tutti i cittadini europei. Cosa intende con questo e dove vede la differenza nella situazione attuale?

La differenza nella situazione attuale e molto chiara. Al momento noi siamo cittadini di diversi stati nazione, che si sono impegnati in un progetto politico europeo, ovvero l’Unione europea. Ma gli stati nazione determinano come noi, cittadini dell’Europa, eleggiamo, paghiamo tasse e che diritti abbiamo. Nonostante il mercato unico e l’armonizzazione legale, noi non viviamo in un unico spazio legale comune. Non condividiamo neanche una comune tassazione. Si pagano tasse diverse qui rispetto alla Francia o in Finlandia. Solo sulla base di un uguaglianza pubblica e universale saremmo in grado di fondare un progetto politico che sia una Repubblica.

Il sottotitolo del suo libro rivela che quello che Lei sta descrivendo è una utopia politica. Non sta per caso giocando un po’ con la sua stessa immaterialità?

Forse, non ho problemi a dire che attraverso il modo in cui percepisco il mondo al momento, non lo trovo molto bello. E perciò c’era il bisogno di descrivere qualcosa in contrasto con la spiacevole realtà, un disegno estetico e un po’ poetico. Questo libro è un invito al dialogo e dovrebbe ispirare le persone a pensare e sognare.

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Le domande in questa intervista sono state fatte da Michael Vogtmann.

Sull’intervistata: Ulrike Guérot è una scienziata politica europea e fondatrice del ‘European Democracy Lab’ a Berlino. Ha lavorato per vari e rinomati istituti di ricerca ed è generalmente conosciuta come esperta in politica europea. Il suo attuale progetto è ‘European Republic’.

Attenzione: il 6 dicembre alle 19, la Professoressa Guèrot terrà una presentazione sulla Repubblica Europea presso il Goethe-Institute di Roma, Via Savoia 15, l-00198 Roma!

Tuoi commenti
  • su 6 ottobre 2016 a 00:34, di Giuseppe Marrosu In risposta a: Guérot: Un invito a pensare coraggiosamente sul futuro dell’Europa

    Condivido tutto. Il problema della UE sono gli Stati Nazione. Negano all’unione una capacità d’azione indipendente dalla loro volontà, così ogni iniziativa comune è soggetta al veto di uno dei 28 governi nazionali. Poi quando puntualmente la UE fallisce, gli stessi governi si accusano l’un l’altro o accusano le istituzioni centrali UE o - ancora meglio - «l’Europa»: ché non specificando se ci si rivolga ai primi o alle seconde, non si rischia di provocare risposte.

    In altre parole tutto è da rifare. Per quanto affezionati alla UE dobbiamo ammettere che si è imboccato un vicolo cieco. Si è cercato di superare gli Stati Nazionali riunendoli in un’organizzazione internazionale. Sarebbe un po’ come cercare di far passare il vizio del bere a degli ubriaconi impenitenti riunendoli in un gruppo dell’Anonima Alcolisti, e poi stupirsi se le riunioni vengono tenute nei bar e si concludono regolarmente con delle risse tra ubriachi. Infatti è stato sorprendentemente facile convincere gli Stati ad aderire. Troppo facile.

  • su 6 ottobre 2016 a 00:36, di Giuseppe Marrosu In risposta a: Guérot: Un invito a pensare coraggiosamente sul futuro dell’Europa

    Cercare di riformare la UE non funzionerà. Tra i 28 governi ce ne sarà sempre qualcuno (tutti forse) che si opporrebbe.

    Propongo che dovremmo cercare invece di unire tra loro gli Stati che ci stanno facendoli confluire su uno Stato già esistente, alla maniera della riunificazione delle Germanie. Lo Stato che più si presta a fare il ruolo della RFT è la Francia, perché:

    1) è una repubblica;

    2) è basata su valori universali e condivisibili (libertà, equaglianza e fraternità);

    3) adotta l’euro, è membro della NATO e della zona Schengen;

    4) è abbastanza grande da garantire il successo all’operazione (se anche solo una tra Italia e Germania si uniscono), ha istituzioni solide, tecnologia avanzata, potenza militare, una grande capitale, territori oltremare, uno spazioporto e gode di uno status internazionale privilegiato...

    5) ma non è tanto grande da non aver bisogno di noi, né da poterci imporre ciò che vuole (come farebbero gli USA).

    Per superare pericoli e difficoltà, la nuova creatura politica dovrebbe ispirarsi all’esempio dell’India e degli USA, puntando decisamente alla partecipazione democratica nella sua formazione e gestione (l’Europa dall’alto non ha funzionato), nel rispetto delle diversità anche linguistiche (pur non escludendo di adottare una lingua COMUNE che non dovrà essere UNICA). Dovremmo lasciare la porta aperta ai vecchi Paesi: a quelli che soddisfano dei precisi criteri d’adesione e si candidano a entrare (anche Paesi non Europei) e a chi vuole uscire, con regole precise ed eque. Questo è fondamentale perché dare ai cittadini la possibilità di tirarsi indietro è non solo giusto e coerente con il diritto all’autodeterminazione, ma è anche un modo per vincere la paura che la nostra società si trasformi in un Superstato oppressivo e lontano dai cittadini. Quanto alla possibilità di accogliere nuovi territori questa non dovrà mai venir meno fintanto che ci saranno popoli che si vogliono unire a noi: non c’è nessuna giustificazione per chi predica valori universali e poi rifiuta di aprire la porta a qualcuno perché «non è Europeo».

    Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa la gente su questo sito di questa proposta... e anche la Professoressa Guèrot.

  • su 1 dicembre 2016 a 20:33, di duodecim stellae In risposta a: Guérot: Un invito a pensare coraggiosamente sul futuro dell’Europa

    Grazie per il tuo commento e scusa per il mio italiano. Io sonno Michael Vogtmann. Mi piace la tua metafora con gli alcolisti. Credo che abbiamo davvero bisogno di un nucleo Europeo di paesi fondatori: BeNeLux, Italia, Francia, Germania, e almeno altri 3. 9 paesi sono necessari per una più stretta cooperazione nel trattato di Lisbona.

    Sto cercando volontari per costruire reti attraverso le quali possiamo superare le barriere linguistiche e pensare a strategie per creare un’identità europea. Messa a fuoco dovrebbe includere le tre lingue più parlate dell’Eurozona: tedesco, francese e italiano. Se siete interessati potete contattarmi su twitter : @12stellae

  • su 19 dicembre 2016 a 19:14, di Giuseppe Marrosu In risposta a: Guérot: Un invito a pensare coraggiosamente sul futuro dell’Europa

    Ciao Michael, grazie per il tuo commento. Ti propongo un «nucleo» diverso. Innanzitutto anziché i soli «fondatori» sarebbe più giusto partire dai «precoci», cioè dai Paesi che sono entrati nel progetto Europeo non appena gli è stato permesso dalla Storia e non necessariamente fin dall’inizio (perché infatti pensare che l’Estonia non dovrebbe meritare lo stesso status riservato al Lussemburgo, solo perché quando sono nate le Comunità Europee essa era prigioniera dell’URSS?).

    Di questi Paesi solo le repubbliche (mi dispiace per gli europeisti del BeNeLux) dovrebbero partecipare alla rifondazione del processo di integrazione europea. Infatti la monarchia ereditaria mal si concilia con le esigenze della democrazia, che ama un ricambio rapido delle persone al potere, e alla cui base vi è l’eguaglianza (riservare il posto di Capo dello Stato esclusivamente ai membri della Famiglia Reale costituisce chiaramente una discriminazione: vedi l’Art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE). Cosa forse più importante, è impossibile mettere d’accordo Monarchie e Repubbliche sui princìpi base che devono sottendere alle leggi di ogni Stato che si rispetti. Io non mi preoccuperei del trattato di Lisbona e del limite minimo di 9 Paesi. Il primo processo di integrazione è partito da un invito della Francia alla Germania: 2 Paesi «importanti» hanno poi scatenato una reazione a catena che non si è ancora arrestata. Un nuovo processo di integrazione può prescindere dai trattati preesistenti. Se Italia e Francia decidessero di unirsi voglio proprio vedere chi potrebbe impedirlo, obiettando che mancano 7 Stati! Per quanto riguarda la tua idea di superamento delle barriere linguistiche ti invito a non dimenticarti dell’Inglese che è la lingua internazionale più importante, forse la più potente arma contro le barriere linguistiche.

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