Si parla oggi di Afghanistan dal punto di vista dei diritti delle donne e di ciò che potrebbe cambiare nei prossimi mesi

I diritti delle donne in Afghanistan: problemi di tutela in un Paese nel caos

, di Giulia Sulpizi

I diritti delle donne in Afghanistan: problemi di tutela in un Paese nel caos
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Stiamo assistendo in questi giorni ai terribili fatti che animano l’Afghanistan. Il paese, interessato per decenni dalla presenza americana, è caduto nel caos dopo l’annuncio del ritiro delle truppe statunitensi e della coalizione NATO. I Talebani hanno preso il controllo della capitale e l’ex Presidente, Ashraf Ghani, si trova ora in Oman ed è diretto verso gli Stati Uniti, dopo che gli è stato negato l’atterraggio in Tagikistan. Il personale delle ambasciate sta abbandonando lo Stato e molti civili hanno tentato di lasciare le loro case e tutto ciò che hanno al solo scopo di mettere in salvo se stessi e i propri cari.

“Noi, afghani, ci troviamo nella situazione in cui era l’Europa nel 1940. Siamo soli, a resistere. Non cederemo mai”: queste le parole di Ahmad Massoud, figlio del leggendario comandante Massoud e capo delle forze di resistenza afghana del Panshir, in un testo trasmesso a “La Règle du Jeu”. “Popolo afghano, Mujaheddin, amici della libertà ovunque nel mondo! La tirannia trionfa in Afghanistan. La schiavitù si instaura con chiasso e con furore. La vendetta odiosa si abbatterà sul nostro paese martire. Kabul già geme. La nostra patria è in catene. Tutto è perduto? No. Ho ricevuto in eredità da mio padre, l’eroe nazionale e comandante Massoud, la sua lotta per la libertà degli afghani. La sua guerra oramai è la mia. I miei compagni d’armi e io stesso daremo il nostro sangue, con tutti gli afghani liberi che rifiutano la schiavitù e che io esorto a raggiungermi nella nostra roccaforte del Panshir, ultima regione libera nel nostro paese in agonia”: con questa testimonianza Massoud ci rappresenta la reale situazione in Afghanistan, che sta spaventando sempre più i governi dei paesi europei ed extraeuropei.

A destare grande preoccupazione nelle menti di noi, giovani abitanti dell’Unione, è la condizione femminile nel Paese. A Kabul le donne sono sparite dalle strade per paura di azioni da parte dei Talebani, come ha testimoniato la giornalista Shabnam Bayani. Quest’ultima ha anche denunciato il fatto che dalle regioni più lontane dalla capitale Kabul, come Helmand e Herat, provengono notizie di donne fatte schiave, dopo che i loro parenti maschi sono stati uccisi dai Talebani, o costrette a sposare dei combattenti.

“È lecito aspettarsi il peggio” ha dichiarato Toni Capuozzo a “Morning News”, commentando il dramma delle donne in Afghanistan dopo il ritorno dei Talebani nel Paese. “Gli uomini che abbiamo visto, intenti a cancellare la figura delle donne dalle vetrine, sono gli stessi commessi e proprietari dei negozi. Lo hanno fatto poche ore prima dall’arrivo dei Talebani perché sanno quello che aspetterà loro”: così argomenta il giornalista, che conosce bene la situazione del Medio Oriente. “A noi non resta che augurarci che i Talebani di oggi siano meno rigidi dei loro fratelli maggiori che hanno combattuto venti anni fa” conclude Capuozzo, sconsolato ed affranto.

Da qui sorge spontaneo un importante quesito: cosa può – e, soprattutto, cosa deve – fare l’Unione europea di fronte a questa tragedia?

Il ruolo dell’Europa nella tutela dei diritti, specialmente delle donne, è fondamentale. Non è un caso, infatti, che sia l’articolo 23 della Carta di Nizza del 2001 a sancire che “La parità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione” e che “Il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato”. Il primo comma di questo articolo è stato basato sull’articolo 2 e sull’articolo 3, paragrafo 2 del Trattato CE, ora sostituiti dall’articolo 3 del trattato sull’Unione europea e dall’articolo 8 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che impongono all’Unione di mirare a promuovere la parità tra uomini e donne. Non è, dunque, solo assicurata un’eguaglianza formale tra i due sessi, ma si stabilisce, altresì, che sia necessario ed opportuno incoraggiare l’adozione di azioni positive per evitare l’insorgere di discriminazioni di qualsiasi genere.

L’emancipazione femminile in Europa ha subito un’importante evoluzione nel corso dell’ultimo secolo, che ha visto molte donne accedere a cariche pubbliche e a lavori in precedenza prettamente maschili. Ciò è avvenuto non senza alcune resistenze da parte della società civile dell’epoca. Eppure, oggi il “sesso debole” ha trovato un suo posto nel mondo e ha riscoperto la sua voce. Sono stati necessari decenni di lotte e di battaglie per arrivare a tali conquiste, ma ne è valsa la pena.

Per tale ragione è impensabile ritenere che l’Unione, che ha visto le sue donne crescere e prosperare in ogni campo, possa voltarsi dall’altra parte e legare la questione afghana al solo fenomeno migratorio, che, verosimilmente, colpirà l’Europa nei prossimi mesi. Non occuparsi dei diritti fondamentali che la Carta dei diritti ha propugnato e non lavorare ed impegnarsi affinché essi siano assicurati anche al di fuori dei confini dell’UE costituiscono delle debolezze non di poco conto per l’ordinamento comunitario.

Come si può pensare che l’Unione possa trasformarsi in una federazione se non supervisiona ed incoraggia la tutela dei più basilari diritti fondamentali dell’uomo? Come si può pensare ad uno Stato unitario e forte, se l’Europa non si riesce ad esprimere, con chiarezza e durezza, su una situazione così grave e drammatica?

Fondamentali sono state le parole pronunciate dal Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, che ha sottolineato l’importanza di un’azione europea congiunta per garantire i più deboli e, soprattutto, le donne. Molte attiviste, non a caso, hanno già dato per scontato di essere morte entro la fine del mese. Oggi, in Afghanistan, essere una donna con un lavoro o un giovane oppositore è un rischio non di poco conto, quasi una certezza di una fine prematura.

anche una dichiarazione da parte del Presidente Biden non si è fatta attendere, che, nel suo discorso a Camp David, ha ribadito ancora una volta l’attuale politica estera americana. Adesso, però, l’obbiettivo principale consiste nel cercare di salvare più civili possibili tramite azioni congiunte di più Paesi, impresa non semplice. Già unire le posizioni dei Paesi europei è una sfida: trovare una linea comune tra più nazioni, anche extra-UE, è, al momento, quasi un miraggio.

“Il mondo sta seguendo gli eventi in Afghanistan con il cuore pesante e profonda inquietudine per ciò che ci aspetta. Tutti noi abbiamo visto le immagini in tempo reale. Caos, disordini, incertezza. E paura. Molto è a rischio, il progresso, la speranza, i sogni di una generazione di giovani donne e ragazze, ragazzi e uomini afgani”: queste sono state le dichiarazioni del Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, durante la riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza.

È il futuro dei più fragili e, in particolare, delle donne una delle problematiche all’ordine del giorno in Afghanistan. È un’immagine terribile quella che sorge dalle ceneri di questo Paese: quella di una nazione divisa e spaventata, da cui moltissimi stanno cercando di fuggire.

E per le donne non si prospetta un futuro roseo. Le opportunità di un tempo sono, purtroppo, in pericolo. E sta all’Unione – e ai suoi leader – impegnarsi affinché i diritti della compagine femminile siano assicurati.

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