Il Federalismo: un disegno di pace

, di Daniele Baldinelli

Il Federalismo: un disegno di pace
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Un commento sulla Marcia per la Pace, svolta ad Assisi il 21 settembre, a cui ha partecipato la sezione di Perugia della Gioventù Federalista Europea.

«[…] Il pacifismo, la nonviolenza, non sono inerte e passiva accettazione dei mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio metodo che non lascia un momento di sosta nelle solidarietà che suscita e nelle noncollaborazioni, nelle proteste, nelle denunce aperte». Così descrisse l’esperienza della prima marcia Aldo Capitini, ideatore della Marcia per la Pace Perugia-Assisi nel 1961, nel suo libro Opposizione e liberazione. Oggi, più di sessant’anni dopo quell’incredibile esperienza collettiva, l’evento ci impone l’analisi di un mondo sempre meno pacificato e pacifista.

Vittoria Ferdinandi, sindaca di Perugia, Stefania Proietti, sindaca di Assisi e candidata alla presidenza della regione Umbria, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, e gli europarlamentari Leoluca Orlando, Matteo Ricci, Marco Tarquinio e Carolina Morace sono solo alcuni dei politici che hanno preso la parola nell’intensa mattinata di conferenze per attaccare, proporre, spiegare, protestare. La preponderanza dei contenuti sulla retorica nella gran parte di questi contributi mi spinge a consigliare, a chi legge, di recuperare sul web almeno alcuni di questi interventi.

Quando alle 15 circa si è messa in moto la marcia, eccezionalmente più breve per lasciare maggiore spazio alla condivisione mattutina (da Santa Maria degli Angeli, anziché la più lontana Perugia, fino alla piazza del comune di Assisi), nel variopinto cielo assisano che tanti stendardi ha mosso con il suo vento, c’era una bandiera sconosciuta ai più: la bandiera bianco-verde del Movimento Federalista Europeo. Essere lì come Gioventù Federalista Europea - con alla testa la neonata sede di Perugia - significa offrire una risposta ovvia e necessaria a molti degli interrogativi che la giornata suscita nei partecipanti.

Il Federalismo, prima di essere benessere, prosperità, giustizia ed equità, è pace. Mettere in comune la produzione di carbone e acciaio, negli anni ‘50 del XX secolo per due Stati confinanti perennemente sul piede di guerra come Francia e Germania, voleva dire iniziare a costruire la pace cominciando dalla chiave di volta: federarsi, mettere in comune risorse, regole e istituzioni. La guerra è per antonomasia uno strumento di risoluzione di controversie fra parti che non possiedono una legge condivisa e un potere in grado di farla rispettare. È esattamente il principio dello Stato: io non sono in guerra con il mio vicino di casa poiché posso denunciarlo - se credo di aver subito un torto - a un’autorità in grado di punirlo secondo delle regole da noi tutti riconosciute e accettate.

Indagare le ragioni profonde per cui il processo di federazione europea, e poi mondiale, auspicato già da Altiero Spinelli nel Manifesto di Ventotene si trovi impantanato in questa palude di immobilismo non è semplice. Ma è molto più complicato, all’avviso di chi scrive, comprendere come sia possibile che una soluzione così incredibilmente ovvia sia trattata alla stregua di un innominabile convitato di pietra presso un evento che ha la pace nel mondo come oggetto ed obiettivo. Tutto ciò non solo basterebbe per spiegare la nostra presenza alla Marcia per la Pace, ma affida a noi federalisti il ruolo di rasoio di Occam nel dibattito europeo sulla cessazione delle guerre. Più semplice è meglio: federiamoci.

La nostra parte attiva, la nostra lotta, riprendendo Aldo Capitini, deve essere questa: dobbiamo bussare alle porte di chi parla di pace - dalla politica alla società civile - e raccontare il federalismo per quello che è nella sua essenza più profonda: un disegno di pace.

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